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Le stragi di Parigi, Bruxelles e Dacca. Un'analisi semiotica

La narratività dell’informazione

La comunicazione giornalistica viene oggi intesa come un vero e proprio genere pragmatico e, in quanto tale, esso prevede proprie regole esattamente come qualsiasi altro genere narrativo. Per effettuare un’analisi sociosemiotica corretta dell’informazione non si può non prendere in considerazione l’elemento narrativo dell’informazione. Affinché un fatto divenga notiziabile, interessante, il giornale si muove lungo due linee d’azione:da un lato esso rappresenta la naturalezza del mondo, dall’altro mostra come questa naturalezza venga trasgredita dall’evento in questione. In semiotica il processo che trasforma l’imprevisto in qualcosa di normale può essere spiegato dal quadrato semiotico. Come sottolinea a questo proposito Gianfranco Marrone (2001:94): lo strano presuppone l’imprevisto, l’imprevisto è la negazione del previsto e quest’ultimo presuppone il normale.

I quotidiani hanno normalizzato l’imprevedibile, abituando i propri lettori a notizie che in altre epoche e in altri spazi sarebbero state di difficile assimilazione. Secondo la semiotica generativa, la struttura narrativa dell’apparato informativo si articola in due diversi modelli: uno profondo e uno superficiale. Possiamo distinguere articoli giornalistici di carattere narrativo da quelli non narrativi sulla base della presenza di particolari forme di coesione causale-temporale degli eventi narrati (Ferraro 2015). Nel livello profondo si cercherà un differente tipo di narratività, più profonda appunto. Si analizzerà una logica dell’azione culturale e sociale che, seppur nascosta, orienta gli attori in gioco verso un determinato comportamento.

Ogni testata ha utilizzato le proprie strategie narrative riservando a questo tipo di notizie una particolare attenzione che ha portato i lettori a vederli come eventi normali, disastri che ci dobbiamo aspettare. Il ritrovarli raccontati quasi ogni giorno sui giornali a tiratura nazionale aumenta quel senso di normalità e di banalità del terrore nell’enunciato. In questo senso il lettore è sicuro di ritrovare sulla carta stampata storie di disastri raccontate dai giornalisti con termini, lessico e sintassi che rinviano implicitamente al “normale”, al prevedibile, a qualcosa che dovevamo aspettarci: in questo modo le stragi e i morti aumentano la vicinanza mentale, culturale e sociale con il lettore che, dal canto suo, metabolizza questo tipo di notizie come la normalità e la banalità del mondo che lo circonda. All’inizio di ogni processo narrativo sussiste la rottura di un determinato equilibrio prestabilito a cui seguiranno varie prove che un Soggetto dovrà affrontare per risolvere il problema e ottenere un premio, l’Oggetto di valore (Appiano-Gensini 2007).

Le fasi che costituiscono la logica dell’azione, quindi della narratività, sono quattro:

* Manipolazione: in questa prima fase il soggetto si assume l’onere di accettare un incarico. Esso si fa “manipolare” da qualcuno convincendosi di compiere quella determinata azione. In questa disciplina, la manipolazione non ha necessariamente una connotazione negativa ma, semplicemente, va intesa come l’azione di un soggetto che induce un altro soggetto a compiere qualcosa;

* Competenza: il soggetto si procura le competenze per poter realizzare l’obiettivo iniziale. Potranno essere di vario tipo, pratiche, emotive o cognitive, comunque sempre necessarie per il compimento dell’azione;

* Performanza: qui il soggetto passa finalmente all’azione, da solo o con degli aiutanti, per raggiungere l’oggetto di valore (obiettivo iniziale);

* Sanzione: una volta conclusa la performanza, l’azione, il soggetto verrà giudicato in base al proprio modo di agire. Naturalmente il giudizio potrà avvenire sia in termini positivi che negativi.

Lo schema narrativo canonico viene, solitamente, utilizzato per analizzare la struttura narrativa di qualsiasi genere letterario, folkloristico e pubblicitario, ma anche per gli articoli giornalistici. Uno schema di questo tipo
comporta sempre l’adozione di due percorsi: l’adozione di un determinato punto di vista, o prospettiva (Jaques Fontanille 2004: 412), ed una natura intrinsecamente polemico-conflittuale all’interno dell’azione stessa. Questi percorsi sono elementi fondamentali per la strutturazione narrativa delle notizie e quindi della loro recezione e interpretazione da parte dei lettori. Come hanno messo in evidenza Lorusso e Violi (2004: 88), analizzando il modo in cui tre grandi testate italiane, «la Repubblica», il «Corriere della Sera» e «il Giornale», hanno raccontato un attentato terroristico avvenuto in Palestina il 12 agosto 2003, il ricorso a diversi stili enunciativi produce differenti effetti di senso. Raccontando lo stesso evento, da prospettive diverse, cambia la posizione del soggetto e quella dell’antisoggetto, sempre presenti in ogni narrazione e cambiano sopratutto i programmi narrativi.

Se il nostro soggetto sono i palestinesi, il programma narrativo potrà essere quello della vendetta («Repubblica») o quello di una gratuita dimostrazione di forza («il Giornale») e ognuno di questi programmi darà per implicite delle presupposizioni. Se, invece, il protagonista del racconto sarà un israeliano il programma narrativo verrà raccontato attraverso lo sguardo di un soggetto che vede minacciata la propria sicurezza da un anti-soggetto, in questo caso palestinesi (Corriere). […]

13 Agosto 2003

«la Repubblica»:
Israele, sangue sulla tregua
[…]
Corriere della Sera
I kamikaze tornano a insanguinare Israele
[…]
«il Giornale»:
Israele, kamikaze all’attacco della tregua
[…]

Analizzando questi tre articoli del 2003 Lorusso e Violi mettono in evidenza come le diverse strategie enunciative delle tre testate producano effetti di senso differenti. Il problema principale è quello della veridizione, cioè il modo attraverso il quale il discorso giornalistico legittima come veritiero il proprio enunciato. Nel caso dell’articolo di “Repubblica” si concretizza una forte illusione di realtà; attraverso questa significativa attenzione ai dettagli il lettore non solo viene portato a dare completa fiducia ad una voce che sembra essere testimone diretta dell’evento, ma, grazie alla scansione temporale minuto per minuto, gli viene anche fornita l’impressione di partecipare lui stesso all’evento narrato.

Per quanto concerne, invece, l’articolo del “Giornale” l’utilizzo della strategia di legittimazione é quasi opposta: parliamo di distanza pedagogica (Di Biase 2008). Questo quotidiano riassume i fatti già accaduti, noti, e il lettore ripone la propria fiducia non nell’effetto di presenza, come accade in Repubblica, ma nel modo interpretativo con il quale il Giornale racconta la notizia.

Il compito del quotidiano, in questo caso, non è raccontare l’evento nei minimi particolari con i vari dettagli, ma commentarli, capirli e spiegarli al lettore in modo tale che possa sentirsi coinvolto nell’azione ma senza l’effetto di presenza. Il «Corriere della Sera», invece, non crea né effetti di presenza né si pone come detentore assoluto della realtà dei fatti. Anzi, la testata denuncia apertamente la propria incertezza cognitiva: raccontando gli eventi quasi in diretta non è ancora in possesso di informazioni sicure e certe.
Il narratore é la voce dell’articolo e determina il modo in cui i fatti sono raccontati (Genette 1983). Per la costruzione di un discorso, o enunciato, vengono attuate delle vere e proprie strategie comunicative che possano persuadere e veicolare il destinatario del messaggio verso un significato prestabilito utilizzandole forme modali individuate da Antoine Culiolì (2014) e ben descritte da Marrone (2011).

Le modalità narrative sono sostanzialmente quattro: dovere e volere (dette virtualizzanti in quanto il soggetto, prima di arrivare all’azione vera e propria, deve acquisire un volere o un dovere per portarla al termine) e potere e sapere (dette attualizzanti, per far diventare l’azione qualcosa di concreto). Naturalmente si tratta di verbi servili, cioè non predicano in maniera diretta un contenuto descrittivo ma, appunto, ‘servono’ altri verbi che esprimono un’azione come il fare e l’essere.

Queste modalità narrative agiscono all’interno di un programma narrativo (PN). Il processo narrativo viene creato a seconda della modalità con cui il Soggetto viene reso competente per svolgere una determinata azione. In un racconto, per esempio, una cosa è un Soggetto che vuole (Volere) fare quell’azione, che vuole combattere per ideali propri; tutt’altra cosa, invece, é un individuo obbligato a farlo (Dovere). Il testo, la notizia, il racconto vengono in qualche modo veicolati e influenzati dal modo in cui ogni singolo enunciatore decide di utilizzare le strategie comunicative per creare effetti di senso e interpretazioni diverse da parte dei lettori del giornale.
Un’analisi del discorso giornalistico si articola sempre su tre livelli fondamentali del senso: quella pragmatica, legata al concatenarsi delle azioni e alla loro narratività; quella cognitiva relativa al sapere e alla sua distribuzione; e infine quella passionale, relativa all’universo affettivo che costruisce il vero sottofondo diffuso dell’informazione quotidiana (Lorusso e Violi 2004:118) a cui verrà dedicato il prossimo capitolo.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Le stragi di Parigi, Bruxelles e Dacca. Un'analisi semiotica

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Informazioni tesi

  Autore: Giuseppe Marinelli
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2015-16
  Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
  Facoltà: Media, comunicazione digitale e giornalismo
  Corso: Editoria, comunicazione multimediale e giornalismo
  Relatore: Ilaria Tani
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 216

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