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Internet e la decontestualizzazione dei consumi

La natura del capitalismo nell’epoca del prosumer digitale

Abbiamo già accennato nei paragrafi precedenti come il perno dell’economia mondiale si sia spostato dalla produzione al consumo, ma, per esaminare più approfonditamente il predetto fenomeno, occorre comprendere i meccanismi che hanno modificato nel tempo il concetto di capitalismo, mettendo al centro dello stesso non più la fabbrica, ma il centro commerciale.
L’evoluzione del concetto del capitalismo è strettamente collegata a quella del fenomeno del prosumerismo, dato che, quest’ultimo, coinvolge sia la produzione che il consumo, piuttosto che focalizzarsi solo sulla produzione o solo sul consumo. Pertanto, a voler essere precisi, il fenomeno del prosumerismo è sempre intellettualmente esistito, sebbene è anche chiaro che con lo sviluppo di Internet e del Web 2.0, abbia assunto un’importanza preminente.
Con quella che potremmo inquadrare, infatti, come una sorta di rivoluzione democratica, anche le ingenti forze spinte dagli interessi capitalistici hanno avuto qualche difficoltà ad esercitare forme di controllo sul fenomeno del prosumerismo.

Come vedremo in questi due ultimi paragrafi al presente capitolo, infatti, nel capitalismo del prosumer, noto anche come prosumer capitalism, il controllo e lo sfruttamento non sono affatto uniformi e non riescono a seguire lo schema classico dello sfruttamento capitalistico della produzione di fabbrica, dato che molti beni o servizi scambiati nel mercato divengono gratuiti e l’intero sistema, come già accennato, si basa sull’abbondanza, piuttosto che sulla scarsità, come nello schema classico.
In quest’ultimo, infatti, più scarsa era la merce prodotta ed immessa nel mercato e più alto era il prezzo, dato che era più difficile poter reperire quel dato bene nel mercato stesso e, quindi, chi lo avesse voluto acquistare, sarebbe stato disposto a pagarlo anche ad un prezzo molto maggiore rispetto al costo sostenuto per produrlo, incrementando, in tal modo, il profitto del capitalista.

Quando si parla di “sfruttamento”, infatti, ci si riferisce sostanzialmente proprio a questo gap tra costo della produzione e ricavo della vendita, giustificato proprio generalmente dalla scarsità del bene immesso nel mercato. Sfruttamento, quindi, in quanto il capitalista era proprio colui che era nella posizione di sfruttare la propria capacità di produrre e commercializzare un prodotto il cui valore di mercato era di molto superiore al costo di produzione, ma giustificato dalla scarsità dello stesso e dalla disponibilità alla spesa, al sostenimento del sacrificio economico da parte del consumatore, per poter usufruire del bene stesso.
Il prosumerismo, invece, ha regole totalmente diverse, posto che prevede anche l’offerta di prodotti gratuiti, in un sistema basato più sull’abbondanza che sulla scarsità e, quindi, con prezzi di acquisto e margini di profittabilità totalmente estranei a quelli fissati proprio dalla scarsità propria dello schema capitalistico classico.

Il primo cambiamento radicale da un sistema di produzione ad uno di consumo, tuttavia, si deve registrare negli Stati Uniti alla fine della seconda guerra mondiale, dato che, sino ad allora, la produzione aveva avuto la meglio sul consumo, in considerazione del fatto che la prima era incentrata non su beni destinati al secondo, ma su armamenti o, comunque, su materiali e merci adibiti alla costruzione degli armamenti stessi.
In questo periodo, infatti, in America, la scarsità di beni di consumo presenti nel mercato non ha determinato il crollo della domanda degli stessi, dato dalla scarsità, anzi, al contrario, ne ha determinato l’incremento dirottando, in poco tempo, l’economia da un’economia basata sulla produzione ad una basata sul consumo.

Sempre in quegli anni, lo sviluppo dei processi di produzione di massa di beni di consumo ha autoalimentato il processo di dirottamento, per così dire, appena menzionato, tanto che, dagli anni Sessanta, il processo divenne irreversibile, determinando il declino della produzione. Declino a cui ha contribuito sicuramente la netta contrazione della domanda di prodotti bellici e delle merci dell’industria pesante, ma anche proprio grazie alla grande espansione dell’economia del consumo, sviluppatasi anche grazie alla nascita delle prime, cosiddette, cattedrali del consumo, ossia di luoghi deputati esclusivamente a quello, come, ad esempio, i centri commerciali, al posto dei vecchi negozi di vicinato, o come anche l’evoluzione dei parchi giochi, come, primo tra tutti in quegli anni, Disneyland.
Il mutamento dell’economia, infatti, si può riscontrare in tutti gli ambiti della vita delle persone, ossia, in buona sostanza, diviene un cambiamento culturale, prima che economico. Le persone comprendono che acquistando beni e servizi possono migliorare il proprio stile di vita, tanto che proprio in quegli anni, sempre in America, nascono le prime catene di ristoranti fast food.

Questa prima svolta economica legata all’evoluzione dalla produzione al consumo, in un primo momento, in questi primi decenni, determina un’espansione dell’economia legata agli oggetti più che ai soggetti, ossia alla quantità piuttosto che alla qualità. È intuitivo comprendere che le persone che intendevano migliorare il proprio stile di vita, tanto più dopo un periodo bellico, erano concentrate sull’acquisto di beni in grado di migliorare nettamente le proprie condizioni giornaliere, come poteva accadere per l’acquisto di frigoriferi e lavatrici, ossia di oggetti in grado di far risparmiare loro oggettivamente una grossa quantità di fatica, di energie e di tempo.

Altrettanto intuitivamente, nel tempo, fino ad arrivare ai giorni nostri, queste necessità sono ulteriormente mutate, soprattutto in quei Paesi occidentali e non sviluppati o in via di sviluppo, nei quali le condizioni di vita sono generalmente nettamente migliorate e in cui, quindi, gli acquisti non sono spinti più da necessità primarie, come avveniva negli anni Sessanta e seguenti, ma da impulsi – come abbiamo visto – sicuramente più edonistici, maggiormente rivolti alla qualità ed alle emozioni che i consumi di quei beni possono far conseguire alle persone.
Cambiando i consumi, nel tempo sono cambiati anche i luoghi del consumo, sviluppando tutto quello che oggi conosciamo come la crescita del marketing, della pubblicità e del branding.

Questi ultimi fenomeni hanno dato inizio a quello che in questa sede sto cercano di esaminare, ossia la delocalizzazione dei consumi. Delocalizzazione che, tanto per continuare a prendere spunti dal mercato americano, negli Stati Uniti si è verificata nel settore automobilistico agli inizi degli anni Settanta, quando la crisi petrolifera del 1973 ha determinato una forte impennata dei prezzi del petrolio, danneggiando il mercato automobilistico americano, notoriamente famoso per la produzione di auto ingombranti e di alta cilindrata, con conseguenti alti consumi di carburante. In questo frangente i consumatori hanno iniziato a domandare al mercato automobili di cilindrata e dimensioni più contenute, rivolgendosi al mercato estero per l’acquisto delle stesse, contribuendo a quello che, molti anni più tardi, nel 2009, è stato il fallimento di Chrysler e General Motors.
Tuttavia, sebbene il mercato americano si presti molto all’analisi di detti fenomeni, in quanto le dimensioni consentono di notare prima gli spostamenti dell’economia e dei suoi fattoti, non è stato un teorico americano ad esaminare per primo questa tendenza, ma, come abbiamo visto in precedenza, un teorico sociale francese: Jean Baudrillard.

Tuttavia, come detto, il mercato statunitense si presta ad analisi abbastanza evidenti, pertanto merita ricordare come il mercato azionario americano sia sensibile alle oscillazioni dell’indice di fiducia dei consumatori, sviluppato nel 1985 e noto con la locuzione ovviamente anglosassone di Consumer Confidence Index, ma anche come, nell’economia di consumo attuale, il consumatoria sia visto come una sorta di figura con una funzione pubblica. Per comprendere quest’ultima affermazione, basti pensare alle preoccupazioni del presidente degli Stati Uniti per una temuta flessione negativa dei consumi in seguito agli attentati che nel 2011 hanno colpito le Torri Gemelle.
Il consumo è innegabilmente al centro delle moderne economie, tanto che spesso i governi si trovano anche a cercare di incoraggiarlo persino con strumenti fiscali, come detrazioni e quant’altro, nel tentativo di ridare slancio all’economia in momenti di stagnazione, generalmente legati alla fiducia dei consumatori, che determina, appunto, una flessione negativa dei consumi.

L’economia mondiale e, in essa, quelle più locali, sono costellate di fluttuazioni, dovute a cambiamenti, come detto, non soltanto economici, ma anche culturali, ideologici, ma anche, veramente, strettamente finanziari. Basti pensare al crollo dei consumi, supportato, però, anche dal crollo della produzione, avvenuto un po’ in tutto il mondo, in seguito all’inizio della crisi del 2007 ed alla seguente recessione economica.
Certo non si può collocare la nascita del prosumerismo in quest’epoca collegandola alla recessione, ma, sicuramente, quest’ultima ha fatto sì che il mondo si accorgesse dello sviluppo di questo fenomeno, il cui appellativo “prosumerismo” fu introdotto da Alvin Toffler.

Toffler, in particolare, classifica le epoche evocando le ondate del mare, sostenendo che la figura del prosumer sia esistita da tempo, già in epoca pre-industriale: momento storico ed economico che lui stesso nomina “prima ondata”, per distinguerlo dalla seconda ondata, rappresentata dall’epoca della commercializzazione, caratterizzata dalla separazione delle due figure dei produttori e dei consumatori e, pertanto, molto diversa da quella precedente e dai primordi dell’economia, dove non sarebbe stato possibile distinguere le due figure, prediligendo, quindi, la figura del prosumer.
La terza ondata, l’autore la riserva all’economia moderna, nella quale, infatti, la figura del prosumer torna in auge, dato che sta pian piano scolorendo la distinzione precedentemente operata dall’economia tra il produttore ed il consumatore.

Un altro autorevole in materia, a cui possiamo sicuramente far riferimento è proprio Ritzer, il quale sostiene che i mutamenti dell’economia, nel senso individuato da Toffler, sono dovuti alle rivoluzioni industriali. Pertanto, come la rivoluzione industriale a tutti nota ha modificato a tal punto la produzione, con l’introduzione delle catene di produzione e della produzione di massa, favorendo il consumo ed immettendo nel mercato beni sempre più uguali in quantità considerevole per soddisfare la domanda in continua espansione al momento, altrettanto, la terza rivoluzione industriale, attualmente ancora in atto, grazie all’utilizzo delle nuove tecnologie, sarà in grado di cambiare ancora il panorama economico.
In particolare, data l’enorme ed in continua espansione delle menzionate tecnologie, tutti potranno averle alla portata e, quindi, tutti potremmo trasformarci da semplici consumatori di beni prodotti dagli altri, a veri e propri produttori di beni e servizi che, una volta realizzati, andremmo anche a consumare.

A tal proposito, basti pensare all’ultima diffusione delle stampanti 3D, che saranno in grado di realizzare in tempi contenutissimi prodotti prima realizzati in laboratori specializzati, ma basti anche più semplicemente pensare ai cd che qualsiasi ragazzo realizza in casa scaricando la musica che più preferisce da internet in canali persino non sempre a pagamento.
Prahalad e Ramaswamy, solo un decennio fa, hanno sostenuto che il fenomeno del prosumerismo può essere in quadrato come un fenomeno di collaborazione alla creazione di valore, nonostante, solo qualche anno dopo, alcuni autori hanno criticato queste teorizzazioni, tra i quali possiamo annoverare Andrew Keen.

Una teoria che mi preme ricordare, invece, è quella formalizzata da Jurgenson, soltanto qualche anno fa, quando l’autore sostiene che l’inversione economica del consumo dalla quantità della produzione di massa dedicata al consumo verso la qualità, sia dovuta sostanzialmente al prosumerismo online, che permette un’inversione di tendenza contraria alla massificazione, nota anche come McDonaldizzazione, verso forme di consumo sicuramente più razionali.
Fenomeni che, sicuramente, portano il consumatore verso una maggiore consapevolezza di ciò che acquista, con uno sguardo non soltanto alla soddisfazione personale, o al prezzo, ma anche alla qualità ed all’ambiente.
Lo stesso Baudrillard ha definito questo nuovo ordine economico come una forma di nuovo capitalismo, nonostante non sia stato immediato comprendere come i capitalisti siano riusciti a cavalcare questa nuova conformazione del mercato per sfruttare i consumatori, come i capitalisti classici hanno fatto in passato con i lavoratori.

Tuttavia, mentre è abbastanza intuitivo comprendere che l’arricchimento dei capitalisti a discapito dei consumatori sia avvenuto con la creazione di nuove e sempre più evolute forme di necessità, indotte nel mercato anche grazie alla globalizzazione ed ai mutamenti culturali, come anche grazie alle tecniche di marketing sempre più all’avanguardia, non è altrettanto intuitivo come i capitalisti si siano comportati proprio con i prosumer legati al web 2.0.

Per il capitalismo, infatti, soprattutto nell’era della terza rivoluzione industriale, non è affatto semplice instaurare rapporti di controllo o, quantomeno, di influenza, con i nuovi prosumer, anche proprio alla capacità di questi ultimi di influenzare a loro volta il mercato mondiale. Questa carenza di controllo ci può portare a presumere che sia il capitalismo che si stia modificando verso nuove forme sino ad ora non note, anche in considerazione della predisposizione all’impegno ed al lavoro gratuito, anche continuativo, dei prosumer, che fa scivolare tutte le forme di controllo attuate sinora dai capitalisti, facendo proprio leva sul desiderio di guadagno e remunerazione del proprio lavoro.

In un nuovo ordine economico nel quale molti servizi possono essere consumati in rete senza doverne sopportare il costo del relativo utilizzo, infatti, le tecniche e le strategie economiche tradizionali devono cedere il passo ad una nuova economia non sempre basata sul profitto e, quindi, sul capitalismo, che, al contrario, si fonda sulla possibilità di trarre profitti dallo sfruttamento di risorse limitate.

Limitate: come accennato anche il altri passaggi precedenti del presente lavoro, proprio la quantità è uno degli elementi preminenti di questo nuovo ordine economico, dato che la grande disponibilità di risorse presenti e fruibili dalla rete, spesso anche gratuitamente, fa venir meno i paradigmi economici della domanda e dell’offerta classici applicati dal capitalismo, in favore della qualità.
Una forma di nuovo consumo, in buona sostanza, basato più su decisioni di acquisto e fruizione autonome da parte degli individui, più che su una necessità avvertita in via primaria, come nell’epoca della produzione industriale, o anche indotta, come in quella del consumismo.

Basti pensare al settore delle comunicazioni. Colossi come quelli della telefonia, che tutti conosciamo e di cui tutti ci siamo forniti sino a poco tempo fa, stanno per essere soppiantati, essendo già attualmente affiancati, da nuove forme e tecnologie di comunicazione, sempre più simili nei servizi basi, ma sempre più evolute in servizi ulteriori non forniti sinora dalle vecchie compagnie di comunicazioni.

Penso che è intuitivo comprendere l’impatto che ha avuto nel mercato delle telecomunicazioni l’avvento di colossi social come Facebook o WhatsApp, società che forniscono servizi a milioni e milioni di utenti che non pagano per il proprio servizio fruito. Società, pertanto, che non fanno del proprio servizio il core business della propria attività, ma che hanno contribuito alla globalizzazione per poter guadagnare da tutto quello che ad essa è attinente, come la possibilità di sponsorizzazione che altre aziende pagano per poter essere presenti su piattaforme di massa come quelle menzionate.

Queste stesse società, come molte altre note o meno note, non devono subire i costi del lavoro in quanto gli stessi fruitori dei loro servizi sono retribuiti, per così dire, in natura, ossia scambiando la fruizione gratuita del servizio con la propria attività lavorativa per la società che ne è gestore.

Da un punto di vista prettamente macroeconomico, pertanto, mentre nell’economia classica, come spiegato anche da Weber, il mercato e le sue logiche si fondano sulla scarsità e le scelte di acquisto e di consumo si basano sulla razionalità e sulla ricerca di efficienza, nella nuova era economica, la qualifica essenziale dell’abbondanza ridisegna totalmente le logiche del mercato, riservando scarsa attenzione all’ottimizzazione di processi efficienti, rispetto alla ricerca di efficacia.
La crisi economica di cui abbiamo parlato, inoltre, si è riversata anche in una forma di crisi delle democrazie, in considerazione del fatto che molta parte della popolazione ha subito un netto impoverimento e molti hanno additato i governi delle nazioni come parziali responsabili del declino della situazione economica di individui, famiglie e società.
Pertanto, la grandezza di risorse presenti nel mercato di internet ha contribuito a rendere, per così dire, democratico, questo strumento agli occhi di quei soggetti, tanto che in rete si è sviluppata una sorta di etica cyber-libertaria sulla scia di quella che negli anni Ottanta fu quella che spingeva l’azione degli hacker.

C’è chi ha parlato di socialismo digitale, ma, senza connotare il fenomeno con sfumature a carattere politiche, ma rimanendo, anzi, in un ambito meramente ideologico ed economico, internet ed il mondo del web 2.0 rappresentano ed incarnano, se così si può dire, la possibilità di esprimere sempre un’opinione, anche se la stessa non sia la più popolare o condivisa, al contrario dell’ottica del controllo e dell’influenza presente nel capitalismo.

In questo panorama mondiale, tuttavia, le grandi imprese ed i grandi capitalisti non sono certo spariti. Sono spariti, o, comunque, si sono dovuti molto ridimensionare solo coloro che non sono riusciti a cambiare i propri processi di produzione di valore, mentre altri grandi colossi multinazionali, come Microsoft e Google, hanno saputo cavalcare l’onda del cambiamento della terza rivoluzione industriale, ottenendo sempre più visibilità, potere nel mercato e profitti.

Nella nuova economia capitalistica costruita da internet e dal web 2.0, tuttavia, c’è spazio anche per nuove forme di lavoro, di costruzione di carriere e di guadagno.
Basti pensare alla possibilità di ottenere profitti anche come fotografo su Flickr o come giornalista gestendo un blog: possibilità che non si esauriscono nel momento della produzione del valore legato al propri contributo in rete, ma che, al contrario, grazie alla visibilità che si ottiene, possono prolungarsi e moltiplicarsi nel tempo, come nel caso della costruzione di una vera e propria carriera nella fotografia o nel giornalismo, proprio grazie ai successi riscontrati con le prime esperienze in rete.
Le nuove tecnologie, pertanto, da una parte consentono uno sfruttamento gratuito del lavoro dei prosumer, remunerati unicamente con la possibilità di accedere a determinati servizi gratuitamente, ma, dall’altra, capitalizzano questa disponibilità, investendola in un futuro di visibilità e di successi garantito proprio dalla grande disponibilità di risorse a disposizione nel mercato digitale e dalla numerosità degli utenti, a loro volta consumatori, che si possono raggiungere in questo mercato, a differenza dei mercati classici del passato.

Il Cyber-libertarismo può essere considerato, pertanto, la spina dorsale del movimento open source, in quanto agisce per far comprendere agli utenti che in rete si possono trovare liberamente e gratuitamente gli stessi servizi che grandi società, invece, mettono a disposizione soltanto in cambio di un determinato pagamento.
Basti pensare ai Web-browser, gratuiti come nel caso di Mozilla Firefox in contrasto con quelli profit come Microsoft Internet Explorer, o, come anche nel caso dei sistemi operativi gratuiti come Linux, rispetto ai profit Apple OSX o Microsoft Windows.

Quanto appena considerato ci fa comprendere come i cambiamenti indotti nel mercato e nell’economia dalle nuove tecnologie di comunicazione inducono anche dei cambiamenti culturali che, a loro volta, modificano il mercato. In buona sostanza, nel momento in cui milioni di utenti al mondo si rendono conto di quanto sia semplice ed efficace utilizzare prodotti e servizi trovabili gratuitamente nel mondo digitale, si rendono anche conto di quanto siano superflui i medesimi prodotti e servizi messi a disposizione a pagamento nel mercato dalle aziende capitalistiche classiche. Ovviamente, nessuno di noi, presumo, messo di fronte ad una scelta altrettanto efficace in termini di soddisfazione delle esigenze, sceglierebbe quella a pagamento, per cui sopportare un sacrificio, rispetto a quella gratuita e di pari, se non, addirittura, superiore qualità.

Proprio questa nuova consapevolezza dei consumatori-utenti abbatterà pian piano le barriere classiche del capitalismo, creandone, bensì, una nuova forma, nella quale i capitalisti che saranno stati in grado di evolversi, potranno ricevere profitti da una nuova forma di sfruttamento, che non è quella del consumatore, ma è quella dello stesso prosumer.
[...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

Internet e la decontestualizzazione dei consumi

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Informazioni tesi

  Autore: Manuela Quattrin
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2016-17
  Università: Università Telematica "E-Campus"
  Facoltà: Economia
  Corso: Economia e Commercio
  Relatore: Antonella Laino
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 95

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