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I valori familiari alla prova della disabilità. Realtà e narrazione cinematografica

La rappresentazione della disabilità nel cinema

Il cinema, in quanto mezzo di comunicazione, ha il compito di trasmettere un messaggio. Quale messaggio della disabilità è stato veicolato attraverso lo schermo? Qual è il rapporto tra cinema e disabilità? Sin dai primi anni di vita del cinema, diversi registi cinematografici si interessarono al tema della disabilità. Prima di indagare l'approccio iniziale del cinema alla disabilità, è bene conoscere la situazione del Diciannovesimo secolo che, al suo termine, vide proprio la nascita del cinema. Nell'Ottocento, soprattutto nel mondo occidentale, si diffusero a dismisura i cosiddetti “fenomeni da baraccone”, persone con delle malattie genetiche rare e con disabilità fisiche gravi. Questi individui e soprattutto le loro deformità furono al centro di spettacoli a pagamento, ai quali accorrevano molte persone, impressionate e disgustate dalla “mostruosità” dei “fenomeni da baraccone”. Seppur disgustati e impressionati negativamente, gli spettatori ritrovavano nelle esibizioni un bisogno di svago e si sentivano rinfrancati riguardo la loro “normalità” ponendosi a confronto con i “fenomeni da baraccone”, considerati esseri mostruosi. In Europa, a differenza degli Stati Uniti, la diminuzione di questi spettacoli si verificò con l'avvento della Prima Guerra Mondiale, in cui si verificarono moltissimi casi di menomazioni e amputazioni durante i conflitti. Gli individui colpiti e menomati, si ritrovarono così in una situazione simile dal punto di vista fisico a quella dei “fenomeni da baraccone” e la società iniziò a cambiare prospettiva, mostrando un lato compassionevole fino a quel momento sconosciuto.

Gli individui, in passato considerati esclusivamente “fenomeni da baraccone”, da quel momento divennero oggetto di studio e osservazione. Joseph Carey Merrick conosciuto con l'appellativo di “Uomo elefante”, fu probabilmente il “fenomeno da baraccone” più noto, in quanto divenne una celebrità nella società londinese dell'era vittoriana. Merrick, deforme a causa di una sindrome rarissima, dopo essere stato abbandonato dalla sua famiglia in seguito alla morte della madre e i continui fallimenti nella ricerca di un lavoro che gli permettesse di vivere autonomamente, per poter sopravvivere, si offrì come “fenomeno da baraccone”. L'uomo ritrovò quella dignità e quel valore che da nessuno gli erano stati riconosciuti grazie all'incontro con il dottor Frederick Treves; il dottore, non solo studiò il caso di Merrick, ma mostrò un grande lato umano e una capacità empatica, grazie alla quale scoprì che Merrick, considerato in precedenza un “ritardato mentale”, era in realtà un individuo sensibile e pensante che aveva subìto dei pesanti traumi dal punto di vista affettivo. In The Elephant Man, pellicola ispirata alla vera storia di Joseph Carey Merrick, molto significativa è la scena in cui Merrick si trova in una stazione ferroviaria e il tentativo di camuffare la sua deformità fallisce; le persone all'interno della stazione sono impaurite e disgustate, ma al tempo stesso attratte dallo “spettacolo” della deformità dell'uomo. Egli viene messo con le spalle al muro da alcuni uomini, metafora di una società che discrimina la diversità, ma nonostante tutti i soprusi e le umiliazioni patite nel corso della sua vita trova la forza e il coraggio di ribellarsi e di affermare che nonostante il suo aspetto è un essere umano, e ciò implica che come tale dovrebbe essere trattato. Nella vita reale, Joseph Carey Merrick e il dottor Frederick Treves andarono oltre un semplice rapporto tra medico e paziente, instaurando un rapporto d'amicizia, di stima e gratitudine reciproca. Ciò viene dimostrato in una scena molto commovente del film, in cui Merrick, a colloquio con Treves, esprime a quest'ultimo la sua riconoscenza, attraverso tali parole “[…] Io sono felice ogni ora del giorno amico mio, anche se dovessi sapere di morire domani. La mia vita è bella e so di essere amato. Io sono fortunato! E non potrei [dire lo stesso] se non fosse stato per [te]”. Treves, visibilmente emozionato, risponde “Beh, anche tu hai fatto molto per me. […] Grazie!”. Intorno agli anni Venti del Ventesimo secolo vennero girati dei film, al cui centro fu posta la figura di individui deformi considerati “mostri” dalla società. Uno dei più importanti fu sicuramente Il gobbo di Notre Dame, in cui il protagonista Quasimodo si trova in una condizione di emarginazione a causa del suo aspetto deforme. Un vero e proprio spartiacque è rappresentato da Freaks, film del 1932 diretto dal regista Tod Browning.

All'epoca, tale film risultò essere talmente avanti rispetto a quella che era la visione della normalità e della diversità da parte della società perbenista dell'epoca, tanto da venire censurato in molti Paesi. Oltre alla censura, il film subì diversi tagli, soprattutto nella parte finale, ritenuta eccessivamente scandalosa. Innanzitutto, questa opera cinematografica ha rappresentato un vero e proprio punto di svolta perché tutti i “fenomeni da baraccone” del film, erano veramente delle persone con delle disabilità fisiche piuttosto gravi. Nell'opera cinematografica è stato letteralmente smontato lo stereotipo che considerava la bellezza dell'anima una conseguenza di quella fisica e viceversa, arrivando a mostrare la cattiveria e il cinismo di una donna “normale”, che tenta di rubare dei soldi ad uno dei “fenomeni da baraccone” affetto da nanismo, approfittando della sua ingenuità. Gli spettatori dell'epoca abituati a provare orrore e allo stesso tempo conforto alla vista della disabilità e della presunta inferiorità altrui, rimasero comprensibilmente colpiti e confusi da questa pellicola rivoluzionaria grazie alla quale, per la prima volta, “il brutto”, il “diverso” non è stato dipinto come cattivo e diabolico, ma semplicemente come un essere umano. Fa riflettere molto una scena del film, in cui un personaggio chiamato “Madame Tetrallini”, che lavora al circo insieme ai cosiddetti “fenomeni da baraccone”, si reca con questi ultimi in un luogo apparentemente abbandonato. Il gioco e la quiete vengono interrotti dall'arrivo di due uomini che intimano agli individui di andare via all'istante, perché non si tratta di un luogo abbandonato, ma bensì di una proprietà privata. La donna, che assume una figura materna nei confronti dei “fenomeni da baraccone”, stringe a sé, proprio come farebbe una madre amorevole, quelli che dalla società vengono considerati “mostri” e arriva a paragonarli a dei bambini. Si può ipotizzare che la figura di “Madame Tetrallini” sia paragonabile a quella del regista Tod Browning, che attraverso la creazione di questo film, seppe capovolgere il pensiero corrente e dare dignità a quelli che erano esseri umani ancor prima che “fenomeni da baraccone”.

Si possono riscontrare diversi punti in comune tra The Elephant Man e Freaks, nonostante il primo sia stato realizzato quasi cinquant'anni dopo rispetto al secondo. Il personaggio principale del primo film potrebbe benissimo essere un personaggio del secondo film, così come i “fenomeni da baraccone” dell'opera cinematografica Freaks potrebbero essere personaggi de The Elephant Man. In ambedue le proiezioni è presente una netta denuncia da parte degli autori nei confronti di quella società che, non accettando i “diversi”, crea una sorta di ghetto dove rinchiudere questi ultimi. Nelle pellicole, più o meno esplicitamente, si è voluto trasmettere il messaggio che una persona deforme o con delle disabilità anche piuttosto gravi, è comunque un essere umano. Riguardo la società e i “normali”, invece, l'interrogativo è il seguente: possono dirsi “esseri umani” quegli individui che discriminano sulla base dei concetti di “normale” e “anormale” costruiti dalla morale comune? Probabilmente si è posto una domanda simile il visionario ed eccentrico regista Lars Von Trier nella creazione della pellicola Idioti; nell'interessante esperimento del regista, alcuni giovani “sani” fingono di avere delle disabilità mentali e si comportano per l'appunto come degli “idioti”, ovviamente dal punto di vista della società. Chi sono gli “idioti” del film? Sono persone “diverse” che si discostano dalla morale comune e provocano l'imbarazzo e il disgusto della società. Emblematica è una scena del film in cui due dei protagonisti “utilizzano la loro finta disabilità” per infastidire e importunare, seppur in modo apparentemente innocente e ingenuo, alcune persone in un ristorante. Le persone all'interno del ristorante, metafora della società, mostrano i loro volti imbarazzati e sembrano sollevati quando i due giovani vengono invitati ad uscir fuori in modo da ristabilire la quiete. Il punto di forza di quest'opera cinematografica sta nella scomparsa del rigido confine tra “normale” e “anormale”, in quanto i protagonisti, pur non avendo alcuna disabilità, attraverso la loro messa in scena divengono dei veri e propri “idioti”.

Il cinema, ai suoi inizi, escluso Freaks ritenuto scandaloso per l'epoca e divenuto in seguito un film di culto, non si allontanò dalla rappresentazione dell'individuo con disabilità come un “mostro” da tener lontano, come pericoloso perché “diverso”. A partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, i cambiamenti culturali crearono una nuova sensibilità riguardo il tema della diversità. Nel corso dei decenni, il cinema ha intrapreso differenti strade nella rappresentazione della disabilità sullo schermo. In alcuni casi, attraverso la rappresentazione cinematografica si è tentato di far passare il messaggio che la disabilità non rappresenta totalmente la persona, ma solamente una parte, tentando di riconoscere la dignità e il valore dell'individuo con disabilità. In altri casi invece, soprattutto a partire dagli anni Ottanta, la disabilità è stata rappresentata sullo schermo in una maniera ipocrita; in alcune pellicole, infatti, la persona con disabilità è stata dipinta come simpatica, piena di vita, speciale e perseguitata dalla “cattiva società”. Questa deriva buonista e ipocrita è pericolosa tanto quanto la rappresentazione della disabilità come mostruosa, perché anche in questo caso non viene posta al centro la persona, i suoi desideri, i suoi sogni, le sue paure, i suoi pregi e difetti, ma solamente la sua disabilità. Inoltre, così come è discriminatorio e scorretto affermare che la persona con disabilità è uguale ad un “mostro”, è ugualmente scorretto affermare che la persona è speciale grazie proprio alla sua disabilità. L'individuo, difatti, non è speciale perché ha una disabilità, ma è unico e particolare in quanto essere umano.

Questo brano è tratto dalla tesi:

I valori familiari alla prova della disabilità. Realtà e narrazione cinematografica

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Informazioni tesi

  Autore: Paolo Bellucci
  Tipo: Diploma di Laurea
  Anno: 2018-19
  Università: Università degli Studi Roma Tre
  Facoltà: Scienze della Formazione
  Corso: Scienze dell'Educazione
  Relatore: Maria Teresa Russo
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 87

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