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Gruppi societari e crisi d'impresa: profili penali

Nell’Amministrazione Straordinaria

Per ragioni di completezza, è opportuno condurre una sintetica analisi delle norme in cui il legislatore ha espressamente preso in considerazione la fase patologica dell’impresa organizzata in forma di gruppo. Tali disposizioni rappresentano il punto di partenza e un parametro di valutazione imprescindibile di una disciplina di portata più generale, come quella che sarà introdotta con il Codice della Crisi d’Impresa e dell’insolvenza. Il d. lgs. 8 luglio 1999, n. 270 (c.d. Legge Prodi-bis) e il d. l. 23 dicembre 2003, n. 347 (c.d. Legge Marzano) sono dei provvedimenti che contengono delle disposizioni funzionali a consentire l’applicazione delle procedure concorsuali ivi disciplinate al fenomeno del gruppo di imprese.

La disciplina dell’Amministrazione Straordinaria ha svolto un ruolo pionieristico nel trattamento della fase patologica dell’iniziativa economica svolta attraverso la tecnica di gruppo. Infatti, già nel 1979 il d. l. 30 gennaio 1979, n. 26 conv. dalla l. 3 aprile 1979, n. 95, prevedeva delle disposizioni (art. 3) che prendevano in considerazione l’impresa organizzata secondo il paradigma del gruppo societario. Peraltro, negli anni successivi, il legislatore non ha mantenuto lo stesso atteggiamento di intraprendenza come dimostra l’assenza di una disciplina analoga nelle procedure concorsuali tradizionali. La previsione di regole per il trattamento dell’insolvenza di gruppo confinate esclusivamente alla Amministrazione Straordinaria non parrebbero giustificarsi neanche in relazione al fatto che tale procedura si rivolga a imprese di grandi dimensioni, posto che i dati ISTAT, illustrati nel capitolo precedente, dimostrano come il gruppo di imprese riguardi anche realtà imprenditoriali molto piccole.
Ad ogni modo, il nuovo CCII è destinato a porre rimedio a questa lacuna apparentemente ingiustificata.
L’art. 80 del d. lgs. 8 luglio 1999, n. 270 delinea il perimetro del gruppo facendo riferimento, in primo luogo, al concetto di controllo di cui all’art. 2359 c.c. che tuttavia la norma considera rilevante anche se sussistente in relazione a soggetti diversi dalle società. Ciononostante, le imprese individuali, non potendo essere partecipate, potranno assumere solo il ruolo di capogruppo. A conferma di ciò, si può notare come l’art. 80, nel definire il concetto di “imprese del gruppo”, faccia riferimento esclusivamente alle “società controllate” e non, più genericamente, alle “imprese controllate”. In questo senso si può notare come la norma consideri rilevante anche la c.d. Holding persona fisica che, invece, sembra essere esclusa dai legittimati passivi dell’azione di responsabilità da direzione e coordinamento delineata dall’art. 2497 c.c.

Sempre ai fini dell’identificazione dei margini del gruppo rilevanti ai fini dell’estensione della procedura alle altre entità che lo compongono, il punto 3) della disposizione in esame considera “imprese del gruppo” anche quelle soggette a “direzione comune” sulla base della composizione degli organi amministrativi o, più in generale, di “altri concordati elementi”. La genericità di tale ultimo inciso rende particolarmente ampi e labili i confini del concetto di gruppo che il provvedimento va a delineare al fine di consentire una trattazione il più possibile armonica e coordinata della patologia che affligge il fenomeno di aggregazione in esame. Per tal motivo è stato coerentemente affermato che la legge sull’amministrazione straordinaria abbia tracciato una nozione di gruppo “rafforzata”.
Dall’analisi di questa disposizione si può cogliere l’atteggiamento del legislatore nel delineare delle nozioni di gruppo non sovrapponibili sul piano della morfologia. Infatti, se si confronta tale disposto con la disciplina civilistica di cui agli artt. 2497 ss. c.c. emerge il diverso utilizzo, ad opera del legislatore, della nozione di controllo: ai sensi dell’art. 80 il controllo è condizione di per sé sufficiente affinché un’impresa possa essere qualificata come “del gruppo”, mentre, ai sensi dell’art. 2497-sexies c.c. il controllo societario fa solamente presumere l’esercizio della direzione e coordinamento. Divergenze di questo tipo, come illustrato nel capitolo precedente, si spiegano nella diversa finalità della disciplina di volta in volta delineata: a livello civilistico il legislatore si preoccupa di contrastare l’abuso di direzione unitaria, perciò è naturale che egli faccia riferimento a tale concetto per qualificare il gruppo, invece gli artt. 80 ss. del d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270 si pongono come obiettivo quello di trattare nella maniera più possibile unitaria l’insolvenza di gruppo.
Una volta tracciato i confini del gruppo, l’art. 81 detta le condizioni al ricorrere delle quali la “procedura madre”, cioè la procedura di amministrazione straordinaria aperta nei confronti dell’impresa avente i requisiti di cui agli artt. 2 e 27, può essere estesa alle altre imprese del gruppo. A tal fine, la disposizione individua come condizioni per l’estensione, oltre alla sussistenza dello stato di insolvenza e la soggezione alle disposizioni sul fallimento in capo alla “impresa del gruppo”, anche alternativamente la sussistenza delle concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico delle attività imprenditoriali ai sensi dell’art. 27 ovvero l’opportunità di gestione unitaria dell’insolvenza nell’ambito del gruppo in funzione del miglior raggiungimento degli obiettivi della procedura. Al contrario, la norma non richiede in capo all’impresa del gruppo, ai fini dell’estensione della procedura stessa, la sussistenza dei requisiti dimensionali di cui all’art. 2. È stato rilevato come la trattazione unitaria dell’insolvenza e della crisi nei gruppi dovrebbe comportare l’adozione di regole che consentano: a) l’attribuzione della competenza ad un unico giudice per tutte le procedure; b) la nomina del medesimo organo gestorio; c) la previsione di un sistema specifico di azioni revocatorie relative alle operazioni infragruppo; d) la considerazione, nell’ambito del sistema delle azioni di responsabilità nei confronti degli organi amministrativi e di controllo della società del gruppo, della responsabilità della società che ha svolto attività di
direzione e coordinamento.
In questo senso, è possibile rilevare come le disposizioni del d. lgs. 8 luglio 1999, n. 270 predisposte in materia di gruppi siano in armonia, perlomeno, con la maggior parte di questi canoni. Infatti, le disposizioni contenute nel Titolo IV prevedono: la preposizione dei medesimi organi (art. 81), una disciplina specifica in materia di azioni revocatorie delle operazioni infragruppo (art. 91) e una fattispecie specifica di responsabilità degli amministratori della società che esercita direzione unitaria per abuso della stessa (art. 90).

È opportuno muovere qualche considerazione su quest’ultima disposizione. A seguito della riforma del diritto societario del 2003, si è ritenuto che tale disposizione dovesse considerarsi implicitamente abrogata dall’art. 2497 c.c. a causa del loro nucleo comune, infatti sebbene la disposizione civilistica delinei una responsabilità in capo all’ente o società che esercita direzione e coordinamento, mentre l’art. 90 individua come legittimato passivo gli amministratori, il secondo comma della prima norma consente di sanzionare anche quest’ultimi. In altri termini, è stato sostenuto che, a seguito dell’introduzione dell’art. 2497 c.c., l’art. 90 risulta essere un “duplicato”, anche in considerazione del quarto comma della prima disposizione che, in caso di amministrazione straordinaria della società eterodiretta, attribuisce al commissario straordinario la legittimazione all’esercizio dell’azione dei creditori di cui all’art. 2497 c.c. Tuttavia, vi è anche chi sostiene che le due norme siano tra loro compatibili e di conseguenza, in caso di una fattispecie d’abuso da direzione unitaria riconducibile ad entrambe le disposizioni, gli organi della procedura si troveranno nella condizione di esercitare sia l’azione surrogatoria di cui all’art. 2497 c.c. sia quella diretta di cui all’art. 90. A parere di chi scrive, il problema non assume rilevanza pratica posto che sarebbe più conveniente esercitare l’azione di cui agli all’art. 2497 in modo da chiamare in causa sia la società
dominante sia, solidalmente con quest’ultima, gli amministratori che hanno preso parte al fatto lesivo.
Proseguendo nell’analisi dei “frammenti” di disciplina che riguardano la fase patologica del gruppo di imprese, indubbiamente non si possono trascurare le disposizioni dettate dal d. l. 23 dicembre 2003, n. 347. Quella che viene definita amministrazione straordinaria “speciale”, disciplinata da tale decreto, attribuisce rilevanza al fenomeno del gruppo di impresa già nella definizione dei requisiti per l’accesso a tale procedura, la cui sussistenza può essere verificata a livello di gruppo, purché quest’ultimo sia costituito da almeno un anno (art. 1). Analogamente a quanto disposto dal d. lgs. 8 luglio 1999, n. 270, è previsto un procedimento di estensione alle altre imprese del gruppo (art. 3, terzo comma) le cui procedure possono essere trattate unitariamente a quella della capogruppo (art. 3, comma 3-bis). Il fenomeno di gruppo assume rilevanza anche nell’ambito della proposta concordataria, che il commissario straordinario può prevedere all’interno programma, la quale può essere unica per più società del gruppo sottoposte alla procedura (art. 4-bis, secondo comma), ferma in ogni caso l’autonomia delle rispettive masse attive e passive.
Dalle disposizioni sopra esposte è possibile cogliere la particolare attenzione che il legislatore dedica alla fase patologica dell’impresa organizzata in forma di gruppo all’interno di questa procedura. Essa diviene ancora più forte sulla base del disposto dell’art. 5, il quale consente l’autorizzazione di operazioni necessarie alla “salvaguardia del valore economico e produttivo totale del gruppo”.
In conclusione, la sintetica disamina delle disposizioni riguardanti il gruppo, contenute in questi provvedimenti, consente di comprendere come l’insolvenza di gruppo ponga delle complessità difficilmente gestibili in assenza di una disciplina specifica che delimiti i margini del gruppo rilevanti ai fini della procedura, che definisca le modalità di estensione della procedura alle altre imprese del gruppo, che ponga delle regole di competenza territoriale apposite, che gestisca le azioni revocatorie infragruppo e così via. La miopia che ha caratterizzato l’atteggiamento del legislatore, fino all’adozione del CCII, è stata quella di ritenere che norme di questo tipo fossero necessarie solamente in relazione ad imprese di grandi (o grandissime) dimensioni, a fronte di un’esigenza avvertita anche dalle realtà imprenditoriali più piccole che, come dimostra la sintetica disamina giurisprudenziale esposta nel paragrafo precedente con riferimento al concordato preventivo, può condurre a risultati eterogenei e contrastanti, nel tentativo di adattare per via interpretativa un disciplina costruita in una prospettiva puramente atomistica.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Gruppi societari e crisi d'impresa: profili penali

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Informazioni tesi

  Autore: Davide Sessa
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2018-19
  Università: Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
  Facoltà: Economia
  Corso: Economia e Legislazione di Impresa
  Relatore: Francesco D'Alessandro
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 181

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