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Le identità maschili: i processi di mutamento

Omosessualità maschile e omofobia

La maschilità è l'esito di una lunga costruzione storico-culturale e quindi non è un puro dato biologico (Burgio, 2012). Lo storico tedesco George Mosse afferma che, già ai tempi delle guerre napoleoniche, molti cittadini volontari delle classi medie si recavano sul campo di battaglia spinti da un forte sentimento di adesione alla propria nazione, con l'intento di mostrare a tutti la propria virilità. Lo Stato-nazione e la borghesia davano vita così ad un nuovo ideale di rispettabilità legato alla virilità, capace di condurre alla creazione di un nuovo stereotipo maschile nazionale (Mosse, 1996).

Nell'Ottocento l'uomo “vero” rappresenta le basi solide della nazione e per assicurare questo fondamento occorre denunciare le sue “versioni false” ad esempio le forme di non-virilità come l'omosessualità. Nella società ottocentesca, quindi, i rispettivi ruoli sessuali dovevano essere ben distinti e coloro che oltrepassavano i limiti delle attività consentite al genere maschile e a quello femminile erano considerati “anormali”. Gli omosessuali rappresentano, dunque, l'esempio più appropriato.

Nel corso del XIX secolo la medicalizzazione dell'omosessualità ha reso ancora più marcata la separazione tra sessualità “normale” e “anormale”; inoltre, grazie ai notevoli sviluppi in ambito psichiatrico, l'omosessualità inizia ad essere valutata come un disturbo della psiche e come una malattia. Michel Foucault (1988) afferma che l'omosessualità, nella seconda metà dell'Ottocento, diventa un'identità, mentre in precedenza era solo un insieme di comportamenti. Verso la fine del Novecento, in molti paesi d'Europa le leggi che condannano l'omosessualità sono state rese più aspre.

La categoria degli omosessuali, inoltre, è stata accostata a quella degli ebrei a causa del fatto che entrambe sono considerate lontane e distaccate dal modello virile ideale; così facendo, la religione ebraica e l'orientamento omosessuale vengono contrapposti alla maschilità e accomunati alla femminilità. Nel XX secolo, quindi, le donne, gli omosessuali e gli ebrei si ritrovano in una condizione di inferiorità condivisa dalla società; la popolazione che rappresenta la maschilità considerata “normale” inizia a provare sentimenti di paura verso l'Altro, quali misoginia, omofobia e, a causa del forte nazionalismo, anche razzismo.

Durante il nazismo, l'omosessualità e la femminilità furono equiparate; le donne erano escluse da qualsiasi attitudine ritenuta maschile, mentre gli omosessuali erano contraddistinti dall'assoluta assenza di virilità. Tra l'Ottocento e il Novecento, lo stereotipo dell'omosessuale maschio preoccupa l'opinione pubblica in quanto rappresenta perfettamente la decadenza virile, dovuta alle numerose crisi passate della maschilità. Rapidamente questo stereotipo, segnato da una forte femminilizzazione, impotenza e corruzione corporea ed etica, diventa uno dei maggiori capri espiatori del mutamento catastrofico che tormenta la maschilità tradizionale. Con il tempo, la percezione sociale e culturale dell'omosessualità subisce notevoli cambiamenti che portano, lungo il corso del secolo successivo, alla nascita dell'omofobia.

Nel Novecento, l'antisemitismo, la misoginia e l'omofobia raggiungono simultaneamente la loro maturità; il collegamento fra queste tre avversioni irrazionali, storicamente alla base degli ideali nazifascisti, sembra essere in relazione con la nascita dell'attuale modello di identità maschile. [...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

Le identità maschili: i processi di mutamento

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Informazioni tesi

  Autore: Martina Mapelli
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2016-17
  Università: Università degli Studi di Milano - Bicocca
  Facoltà: Sociologia
  Corso: Sociologia
  Relatore: Carmen Leccardi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 45

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Parole chiave

socializzazione
sociologia
omosessualità
identità
genere
omofobia
stereotipi di genere
men's studies
maschilità
sesso e genere

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