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The immortal story: film e racconto. Studio narratologico

“Adoro il cinema”: è una frase che ripetevo frequentemente durante i miei primi studi cinematografici. Ma una domanda si faceva sempre più pressante: “Perché?. Perché mi piace quel determinato film e quel determinato regista?”.
Quando ho iniziato a studiare la semiologia del cinema, ho capito (non subito, a dire il vero) di avere a disposizione un’enorme quantità di strumenti per rispondere a quella do-manda. Attraverso la semiologia il film, o meglio il testo fil-mico, può essere analizzato in quanto sistema significante, composto da segni che (inter)agiscono come fossero cellule di uno stesso organismo. Una volta suddiviso il testo e analizzati i segni che lo compongono, si può procedere ad una ricompo-sizione. È proprio questo l’aspetto che più mi ha affascinato, poiché la fase finale di ricomposizione comporta una rielabo-razione, una immissione soggettiva di dati. Si può infatti giun-gere a interpretazioni diverse, pur partendo dalle stesse ogget-tive premesse semiologiche. Bisogna allora scegliere se usare la semiologia solo come strumento o anche come tipo di ap-proccio. Per esempio posso partire da un’ipotesi sociologica e poi utilizzare gli strumenti semiologici per arrivare alla tesi fi-nale (sociologica). Oppure, se il mio approccio è di tipo semio-logico, arriverò ad una tesi che è essa stessa semiologica. La semiologia, quindi, è sì una scienza (semeion logos = scienza del segno), ma può anche essere un’arte, se utilizzata in fun-zione espressiva nella fase di ricomposizione del testo filmico.
In ambito semiologico si è sviluppata, alla fine degli anni Ottanta, una tendenza destinata a durare fino ad oggi, la nuova narratologia1. Secondo questa tendenza, è necessario tener conto sia delle scienze cognitive, ovvero del ruolo spettatoria-le, che della teoria dell’enunciazione2. Si prendono cioè in considerazione le due principali correnti che hanno attraversa-to le ultime evoluzioni della semiologia; la narratologia utiliz-za i “risultati della semiologia per trarne delle conseguenze ri-guardo al racconto”3.
Il mio studio su The immortal story (Orson Welles, 1968) non è un mero esercizio di analisi a conferma delle ultime ri-cerche narratologiche, ma è anche un’esplorazione teorica che vuole fornire osservazioni di carattere metodologico.
Decidere di analizzare un film di Welles, significa confron-tarsi con il lavoro di moltissimi studiosi di cinema, tra cui sto-rici, critici e semiologi, oltre che sociologi, filosofi e altri an-cora. La bibliografia riguardante Welles è una delle più vaste mai prodotte su un singolo regista, sia per opere di carattere monografico, che per articoli, interviste, saggi e recensioni. Di tutto questo materiale solo una piccolissima parte concerne The immortal story, il film che Welles ha tratto dal racconto omonimo di Isak Dinesen (pseudonimo con cui si firmava Ka-ren Blixen). Anche per questo motivo risulta preferibile adotta-re un procedimento semiologico di analisi testuale, sopperendo così alle lacune bibliografiche sul film meno conosciuto di Welles.
Trattandosi di uno studio narratologico, cioè uno studio del modo in cui viene narrato un racconto, ho voluto affiancare al film l’opera letteraria da cui è tratto, in modo da poter osserva-re le diverse modalità narrative4. Dopo una breve descrizione del rapporto cinema/letteratura (cap.1), si passa all’analisi del film, secondo le categorie di tempo, spazio e narrazione5.
Il secondo capitolo prende in considerazione le caratteristi-che temporali del testo filmico e le raffronta a quelle del testo letterario; inoltre viene fornita un’innovativa tabella riguardan-te la frequenza: in essa sono intersecati gli schemi proposti da Gerard Genette e da David Bordwell in modo da offrire una maggiore precisione analitica.
Il capitolo 3 sottolinea come lo spazio intervenga a diversi livelli producendo effetti multipli sul racconto filmico.
L’ultimo capitolo riguarda la narrazione: nel classico schema a tre enunciatore/personaggio/spettatore, viene inserita la figura del narratore delegato, istanza già studiata da André Gaudreault, ma non ancora connessa alla regolazione del sape-re. Dopo aver stabilito le necessarie premesse, e dopo aver de-scritto una tabella di riferimento, ho cercato di confermare l’elaborazione teorica e insieme chiarificarla attraverso esem-pi. È in questo capitolo che vengono fornite alcune indicazioni metodologiche per analisi future.

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3 “Adoro il cinema”: è una frase che ripetevo frequentemente durante i miei primi studi cinematografici. Ma una domanda si faceva sempre più pressante: “Perché?. Perché mi piace quel determinato film e quel determinato regista?”. Quando ho iniziato a studiare la semiologia del cinema, ho capito (non subito, a dire il vero) di avere a disposizione un’enorme quantità di strumenti per rispondere a quella do- manda. Attraverso la semiologia il film, o meglio il testo fil- mico, può essere analizzato in quanto sistema significante, composto da segni che (inter)agiscono come fossero cellule di uno stesso organismo. Una volta suddiviso il testo e analizzati i segni che lo compongono, si può procedere ad una ricompo- sizione. È proprio questo l’aspetto che più mi ha affascinato, poiché la fase finale di ricomposizione comporta una rielabo- razione, una immissione soggettiva di dati. Si può infatti giun- gere a interpretazioni diverse, pur partendo dalle stesse ogget- tive premesse semiologiche. Bisogna allora scegliere se usare la semiologia solo come strumento o anche come tipo di ap- proccio. Per esempio posso partire da un’ipotesi sociologica e poi utilizzare gli strumenti semiologici per arrivare alla tesi fi- nale (sociologica). Oppure, se il mio approccio è di tipo semio-

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Informazioni tesi

  Autore: Pierpaolo Corradini
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 1998-99
  Università: Università degli Studi di Pisa
  Facoltà: Lettere
  Corso: DAMS - Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo
  Relatore: Lorenza Cuccu
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 155

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