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La rappresentazione della famiglia nel cinema italiano degli anni Trenta

Il cinema italiano degli anni Trenta, o, per essere più corretti, il cinema italiano dal 1930 al 1943, cioè il cinema sonoro del periodo fascista, gode da ormai venticinque anni di una ritrovata attenzione critica. Il primo passo verso una rilettura, sentita ormai come necessaria, di quel cinema si situa proprio a cavallo fra 1974 e 1976, con le fondamentali iniziative della Mostra del nuovo Cinema, i convegni di Pesaro e di Ancona con le relative retrospettive e pubblicazioni.
È in quelle occasioni, e da allora in poi, che si comincia a parlare forse per la prima volta del cinema dell'età fascista in un modo nuovo, finalmente libero da pregiudiziali ideologiche legate al ricordo della dittatura, che avevano portato per decenni ad una sostanziale rimozione in blocco di questa fase della nostra cinematografia. Il mutamento è netto, ed è dovuto fondamentalmente ad una semplice questione generazionale: a trent'anni dalla fine di quell'epoca maturano i tempi per l'entrata in scena di una nuova generazione di critici, quella che non ebbe modo di vivere durante il regime e che, quindi, ne affronta il cinema senza essere condizionata da remore di memoria storica ; passati inoltre gli anni di pressante forzatura ideologica diffusa che coincisero con i movimenti del 1968, anche l'ostacolo di una lettura "politica" obbligata sono finalmente rimossi.

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Introduzione Il cinema italiano degli anni Trenta, o, per essere più corretti, il cinema italiano dal 1930 al 1943, cioè il cinema sonoro del periodo fascista, gode da ormai venticinque anni di una ritrovata attenzione critica. Il primo passo verso una rilettura, sentita ormai come necessaria, di quel cinema si situa proprio a cavallo fra 1974 e 1976, con le fondamentali iniziative della Mostra del nuovo Cinema, i convegni di Pesaro e di Ancona con le relative retrospettive e pubblicazioni. È in quelle occasioni, e da allora in poi, che si comincia a parlare forse per la prima volta del cinema dell'età fascista in un modo nuovo, finalmente libero da pregiudiziali ideologiche legate al ricordo della dittatura, che avevano portato per decenni ad una sostanziale rimozione in blocco di questa fase della nostra cinematografia. Il mutamento è netto, ed è dovuto fondamentalmente ad una semplice questione generazionale: a trent'anni dalla fine di quell'epoca maturano i tempi per l'entrata in scena di una nuova generazione di critici, quella che non ebbe modo di vivere durante il regime e che, quindi, ne affronta il cinema senza essere condizionata da remore di memoria storica ; passati inoltre gli anni di pressante forzatura ideologica diffusa che coincisero con i movimenti del 1968, anche l'ostacolo di una lettura "politica" obbligata sono finalmente rimossi. La nuova vitalità che ne deriva per gli studi su questo cinema ha prodotto importanti risultati e continua, con fortuna pressochè costante, fino ad oggi. Se il cinema dell'età fascista ancora attira tanto gli studiosi è forse perché sufficientemente lontano da garantire una sicura distanza critica, forse perché per la sua stessa struttura ordinata si presta meglio di altri all'esame, forse proprio perché tanto a lungo rimosso, forse infine 5

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Informazioni tesi

  Autore: Marco Sbicego
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 1999-00
  Università: Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Lettere moderne
  Relatore: Raffaele De Berti
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 189

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