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Il Forte Malatesta ad Ascoli Piceno: analisi strutturale e documentaria finalizzata ad una proposta di rifunzionalizzazione di tipo museale.

L’area del Forte Malatesta è una delle più antiche e dense di storia della città di Ascoli Piceno.
In epoca romana doveva trattarsi sicuramente di un luogo molto suggestivo. Vi si poteva ammirare una splendida aula termale di impianto dodecagonale, vicina alla porta, in prossimità dell’imponente Ponte di Cecco. In seguito, l’intero complesso subì consistenti trasformazioni. Già nel periodo longobardo subì forse un parziale riadattamento. Nel Medioevo poi la rocca, fatta costruire da Galeotto Malatesta, deve essere stata una delle più belle e delle più avanzate nella tecnica della difesa militare, in grado di non sfigurare nel confronto con quelle di San Leo e di Gradara. Nei primi decenni del Cinquecento, la parte della rocca malatestiana che insisteva sugli antichi resti della aula termale romana, fu riutilizzata per la realizzazione di una splendida chiesa di impianto dodecagonale ad aula unica, la quale, proprio per la presenza di acque termali, fu nominata Santa Maria del Lago.
La stessa chiesa, dopo meno di un trentennio, fu sconsacrata da Antonio da Sangallo il Giovane, il più noto e attivo ingegnere militare del Rinascimento, il quale la utilizzò come mastio e costruì due puntoni angolati, singolari e acutissimi, allo scopo di aggiornare l’antica rocca, ormai in rovina, alle nuove esigenze dell’architettura militare. La rocca mantenne questo aspetto a lungo, subendo nel corso del periodo successivo, fino all’Ottocento, variazioni poco consistenti.
La radicale trasformazione ottocentesca, se da un lato pone le condizioni per una circolazione più agevole all’interno del complesso, dall’altro non porta allo sviluppo completo di queste premesse. Questo accade perché il fine insito nella destinazione d’uso allora prevista, quella carceraria, non era quello di garantire un’agevole circolazione ma bensì esattamente l’opposto e cioè creare per ogni ambiente un solo accesso di dimensioni limitate, non permettendone mai, se possibile, l’attraversamento: ISOLARE PIU’ CHE COLLEGARE, quindi. Oggi invece che l’ipotesi di destinazione d’uso museale sembra ormai certa, la questione dell’assetto distributivo assume una rilevanza fondamentale e l’imperativo insito nella nuova destinazione si può così riassumere: COLLEGARE, NON ISOLARE. Gli interventi previsti nel progetto di rifunzionalizzazione si pongono così l’obiettivo di portare a piena maturazione le premesse insite nell’intervento ottocentesco, pur mantenendo nei confronti di quest’ultimo un giudizio per molti versi negativo.
Gli interventi previsti nel progetto di rifunzionalizzazione riescono a rendere agibili ai disabili su sedia a ruote la quasi totalità degli ambienti in cui si può suddividere, creando oltretutto un sistema di vie di fuga antincendio che non lede l’integrità figurativa del monumento, ma che anzi la valorizza. Si è inoltre cercato di individuare, fra le varie funzioni museali, quelle che meglio si adattavano alle caratteristiche di ogni singolo ambiente.
Sono state così determinati quattro gruppi di funzioni museali:
1. Museo di se stesso
Esposizione permanente riguardante la storia dell’edificio.
2. Lapidarium
Esposizione permanente di epigrafi e iscrizioni funerarie che raccontano la storia della città.
3. Tesoro dei Longobardi
Esposizione permanente della collezione derivante dagli scavi della Necropoli di Castel Trosino
4. Attività museali
Laboratori di restauro, laboratori informatici, uffici, sale convegni, sale per mostre temporanee, book shop, punti di sosta e di ristoro, necessari per rendere il museo un sistema attivo, vitale e piacevolmente fruibile.
Il progetto, che è improntato alla ricerca di un punto di equilibrio fra i valori storici e artistici del monumento e la volontà, fortemente espressa dalla comunità contemporanea, di giungere al più presto ad un suo completo riutilizzo, ha riscosso il consenso entusiastico della Facoltà di Architettura di Roma, ottenendo da parte della Commissione di Laurea la votazione massima possibile (110 e lode) e una richiesta ufficiale di pubblicazione da parte del Dipartimento di Storia dell’Architettura.

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5 DALLE ORIGINI AL PROGETTO Considerazioni storico-critiche Premessa Fin dalle origini Ascoli poteva considerarsi validamente difesa dalla sua stessa posizione naturale, in quanto posta su un promontorio naturale formato da rocce tufacee e dirupi scoscesi e circondato inoltre da due fiumi: il Tronto ed il Castellano. Alle fortificazioni naturali si aggiunsero nei vari periodi quelle costruite dall'uomo. Nel periodo medioevale assieme alla cinta muraria vera e propria il perno del sistema difensivo di un centro cittadino era costituito da luoghi strategici chiamati casseri e a volte rocche (roche). Esse avevano molteplici funzioni. Erano, infatti, punti di difesa contro forze nemiche, simboli di potere, ed, infine, ma non secondariamente, rifugio sicuro del signore del momento. Lungo le mura di Ascoli vi erano quattro luoghi fortificati. Uno posto a nord, sopra il Tronto, come ricorda il toponimo dell'attuale chiesa di s. Pietro in Castello; un altro a ponente nei pressi di porta Romana; il terzo, noto col nome di Fortezza Pia, sul colle pelasgico, il punto più alto della città e l'ultimo nei pressi del ponte di Cecco sul fiume Castellano. I primi due dovevano probabilmente già essere scomparsi nel 1400 mentre il terzo subì radicali rifacimenti e, a partire dal 1560, divenne la piazzaforte più importante della città; fu poi distrutta nel 1799 e se ne possono vedere oggi solo i ruderi. Il quarto luogo fortificato, oggetto della nostra ricerca, attualmente denominato Forte Malatesta, riveste un particolare interesse nell'ambito dell'architettura militare per le radicali modifiche subite nel 1540 ad opera di Antonio da Sangallo il giovane.

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Informazioni tesi

  Autore: Alessandro Cenedese
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 1999-00
  Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
  Facoltà: Architettura
  Corso: Architettura
  Relatore: Vittorio Franchetti Pardo
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 93

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