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Hedging e valore dell'impresa

La tesi si propone di studiare la relazione tra l’uso di derivati finanziari con finalità di copertura e la creazione di valore per gli azionisti nel contesto delle imprese italiane quotate.

Numerosi studi evidenziano come, dal punto di vista teorico, l’hedging dovrebbe contribuire all’incremento del valore d’impresa in presenza di un mercato dei capitali imperfetto. Tuttavia la teoria non ha sempre trovato riscontri al momento della verifica empirica, e se alcuni autori hanno associato l’effettiva esistenza di un aumento di valore a fronte dell’uso di derivati, altri non hanno invece trovato una correlazione significativa.
L’obiettivo della tesi è di verificare se, e in che misura, esista una tale correlazione nel mercato italiano.

Il lavoro è suddiviso in due parti.
Nella prima, di carattere teorico, vengono descritte le motivazioni alla base dell’hedging, e le modalità con cui dovrebbe, secondo la letteratura, contribuire alla massimizzazione del valore aziendale. L’aumento della stabilità dei flussi di cassa riduce infatti alcuni costi di agenzia, come quelli legati al sottoinvestimento o all’asset substitution, e può migliorare l’efficacia del sistema di incentivi rivolti al management. Inoltre riduce i costi relativi al dissesto finanziario, consente di allineare i flussi di cassa in entrata e in uscita, e consente un risparmio stabilizzando il reddito imponibile in presenza di aliquote progressive.

Nella seconda parte si procede alla verifica dell’ipotesi di massimizzazione del valore prendendo come campione le imprese italiane quotate e tenute alla redazione del bilancio consolidato presenti nel database AIDA prodotto da Bureau Van Dijk Electronic Publishing e per cui sia presente il bilancio chiuso il 31/12/2010. Dal campione sono escluse le società finanziarie, seguendo l’approccio largamente usato in letteratura, ottenendo un totale di circa 168 società. Le informazioni sull’uso dei derivati sono invece ricavate dai report annuali.
La regressione è impostata usando come variabile dipendente il valore dell’impresa, approssimato dalla Q di Tobin, e come variabile indipendente il rapporto tra valore nozionale dei derivati utilizzati e valore totale dell’attivo. Inoltre vengono prese in considerazione diverse variabili di controllo già utilizzate in letteratura(dimensione,leverage,profittabilità,diversificazione,prospettive di crescita).

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2 1. Introduzione 1.1 Introduzione Nel corso delle ultime decadi, l‟uso di strumenti finanziari derivati ha conosciuto un incremento esponenziale. Secondo le stime della Bank of International Settlement (BIS), il valore nozionale dei contratti derivati complessivamente in essere nei paesi del G10 1 è passato da circa 80mila a oltre 600mila miliardi di dollari nel periodo 1998-2010. La responsabilità di questo aumento ricade in gran parte sulle istituzioni finanziarie; tuttavia i dati mostrano un chiaro trend anche per quanto riguarda le istituzioni non finanziarie, come evidenziato dal grafico in figura 1.1 2 . Figura 1.1-Andamento del valore nozionale dei contratti derivati sottoscritti da istituzioni non finanziarie nei mercati OTC. Valori in centinaia di miliardi di dollari. Dati da www.bis.org 1 Germania, Belgio, Canada, USA, Francia, Italia, Giappone, Olanda, Regno Unito, Svezia, Svizzera. 2 Si tenga presente che il valore nozionale calcolato dalla BIS risulta in un certo senso gonfiato, poiché considera anche i nuovi contratti aperti per chiudere posizioni preesistenti (Stulz 2004) 0 50 100 150 200 250 300 350 400 450 500 Interesse Cambio

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Informazioni tesi

  Autore: Sandro Versace
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2010-11
  Università: Libera Univ. Internaz. di Studi Soc. G.Carli-(LUISS) di Roma
  Facoltà: Economia
  Corso: Finanza di Impresa
  Relatore: Claudio Boido
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 70

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