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La politica estera degli Stati Uniti nei confronti dell'America Latina: il caso cileno

Quando il 20 settembre 2006 il presidente venezuelano Hugo Chàvez prese la parola al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite, nessuno si sarebbe atteso un discorso così provocatorio. Il nucleo del discorso consisteva in un duro attacco nei confronti dell'allora presidente americano George W. Bush e della sua politica estera di stampo imperialista. Riferendosi all'attualità, ma utilizzando la stessa linea dell'antico pensiero bolivariano, Chàvez voleva condannare tutti i soprusi che l'America Latina aveva dovuto subire negli ultimi due secoli sottolineando il fatto che era giunto il momento per un cambio di rotta. Il processo di transizione verso governi di sinistra che stava investendo nel 2006 l'America del Sud era un segnale di come i tempi stessero cambiando e di come non fosse più ammissibile alcuna ingerenza degli Stati Uniti nei confronti dei "vicini meridionali".
Il significato storico di questo discorso introduce perfettamente quello che la mia tesi si propone di analizzare e di dibattere ovvero, quella che fu la politica estera adottata dagli Stati Uniti nei confronti dei paesi dell’America Latina, ed in particolare nei confronti del Cile.
Ho creduto opportuno iniziare la mia analisi simbolicamente dal 1823, anno in cui venne formulata la cosiddetta "dottrina Monroe", attraversando poi tutto il secolo fino a soffermarmi su un periodo storico fondamentale: la Guerra Fredda. Nel primo capitolo dunque, analizzerò i principali avvenimenti che hanno caratterizzato la storia dei rapporti tra gli Stati Uniti e America Latina in generale, tenendo in considerazione alcuni steps: il passaggio dal protezionismo all’imperialismo americano e il passaggio dal sistema multipolare a quello bipolare, conseguenza del declassamento di un'Europa sempre meno al centro del mondo.
All'interno di un argomento vasto e complesso come questo, mi sono soffermato – a partire dal secondo capitolo - su un episodio in particolare, che ha come attore principale il socialista Salvador Allende e il suo paese, il Cile; come antagonista gli Stati Uniti e come collocazione storica il periodo 1970-73.
Nel secondo capitolo dunque, introdurrò una breve panoramica sul sistema partitico cileno e sulla figura di Allende. Analizzerò la “scalata” elettorale di Allende sia da un’ottica cilena sia da quella statunitense: il risultato sarà l’osservazione di come, all’aumentare dei consensi elettorali, aumentarono le preoccupazione di Washington di fronte alla possibilità di un nuovo “focolaio” comunista in America Latina, dopo Cuba. Analizzerò le cause di tali preoccupazioni e quelle che furono le conseguenze e le decisioni prese a tal proposito ovvero, le strategie di politica estera adottate dalla Casa Bianca nei confronti della politica interna del Cile.
Nel capitolo terzo vedremo come il neo eletto Allende interpretò quella che lui nominò la “via cilena al socialismo”: una visione che cercava di conciliare il socialismo con la democrazia, con il pluralismo e con tutte le libertà democratiche; ovvero, una via alternativa rispetto a quella sovietica o a quella cubana. Analizzerò i risultati positivi che il presidente ottenne durante il primo anno di mandato e come reagirono l’economia cilena e il popolo. In particolare, mi soffermerò sul processo di nazionalizzazione delle industrie più produttive del paese - appartenenti, nella loro quasi totalità, a compagnie multinazionali statunitensi – e su come, queste scelte, suscitarono la disapprovazione delle multinazionali estere.
Il quarto capitolo è dedicato al secondo e al terzo anno di mandato di Allende. Analizzerò le fase di declino del governo: i primi graduali successi, intercorsi nel 1971, furono infatti seguiti da altrettanti graduali insuccessi economici, politici e sociali. Una serie di fattori che analizzerò, endogeni ed esogeni, portarono congiuntamente al colpo di Stato del 1973 che spodestò Allende dal suo ruolo per fare posto ad una lunga e sanguinosa dittatura nel nome di Augusto Pinochet.
Infine, nel quinto capitolo ho voluto riportare quelle che furono le conseguenze agli eventi cileni in Europa ed in particolare in Italia, dove il Partito Comunista Italiano (PCI), guidato da Enrico Berlinguer, strinse fin da subito un legame politico con Allende e la sua coalizione.

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2 Introduzione «Il nazionalista non solo non disapprova le atrocità commesse dal suo Paese, ma ha anche una straordinaria capacità di ignorarle». George Orwell, Notes on Nationalism, 1945 “L’imperialismo americano (…) sta facendo sforzi disperati per consolidare il suo sistema egemonico di dominazione. Noi tutti non possiamo permettere che questo accada, non possiamo permettere che si installi la dittatura mondiale e che si consolidi, che si consolidi la dittatura mondiale. Il discorso del presidente 'tiranno' mondiale è pieno di cinismo, di ipocrisia. È l’ipocrisia imperiale, l’intenzione di controllare tutto. Loro vogliono imporci il modello democratico come loro lo concepiscono: la falsa democrazia delle elités, che per di più è un modello democratico molto originale, imposto a suon di bombe, bombardamenti ed invasioni. Caspita che democrazia! Sarebbero da rivedere tutte le teorie di Aristotele e dei primi che parlarono, nella Grecia, di democrazia, per confrontarlo

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Informazioni tesi

  Autore: Michele Mezzano
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli studi di Genova
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze internazionali e diplomatiche
  Relatore: Daniela Preda
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 117

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