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L’ istituto dell'amicus curiae nella funzione giurisdizionale internazionale

La figura dell’Amicus Curiae nel diritto internazionale rappresenta un punto tanto affascinante quanto controverso, il cui sviluppo è avvenuto attraverso gli anni non senza scontri e battute d’arresto.
In un contesto in cui gli effetti di una controversia trascendono spesso la controversia stessa e i diretti contendenti, e gli interessi coinvolti sono da valutarsi sempre di più su un piano globale e non limitato ai confini dei singoli stati, ne discende che estendere alla società civile la possibilità di intervenire in ambito processuale assume un’importanza sempre maggiore, e soprattutto che è sempre meno possibile esimersi dal far si che questa estensione prenda naturalmente corso.
Il panorama inoltre non è più caratterizzato dalla presenza di istituzioni internazionali formate solo da Stati, i cui governi si trovavano impegnati a difendere i diritti dei propri cittadini, che ne orientavano le priorità nazionali attraverso un’opera di lobby. Il sistema infatti si è ormai chiaramente aperto alla possibilità di consultarsi anche con attori non statuali, al fine di divenire più trasparente e democratico grazie all’apporto che essi sono in grado di fornire sulla base delle loro competenze e capacità.
La scelta del mezzo dell’amicus curiae per servire a questo scopo è riconducibile alle sue caratteristiche di snellezza e di flessibilità; fin dall’origine infatti la possibilità di presentare una memoria scritta sotto forma di amicus curiae è stata vista come una “concessione” dai collegi giudicanti, che solitamente cercarono di evitare di dare una definizione precisa e di specificare le condizioni per utilizzare tale meccanismo:
“Inasmuch as permission to participate as a friend of the court has always been a matter of grace rather than right, the courts have from the beginning avoid precise definition of the perimeters and attendant circumstances involving possible utilization of the device. This, of course, increases judicial discretion, while it concomitantly maximizes the flexibility of the device. As one court opinion has quite pointedly stated:
“If such appearance was an amicus curiae and as a matter of grace, then that grace alone concerns us. Grace doth not abound through consent of one’s adversary. It dropped, withal, like mercy-as the gentle and refreshing dews of Heaven.” ”
E proprio tale mancanza di regole precise che ne regolassero rigidamente i limiti e le modalità d’applicazione portarono l’istituto a essere la miglior “breccia procedurale” attraverso la quale i privati potessero insinuarsi nel contenzioso internazionale.
Abbiamo già ricordato che il diritto internazionale è un diritto originariamente interstatuale; gli attori che ne popolano la scena sono quindi storicamente gli Stati. In pratica accettare che dei
soggetti terzi possano intervenire nella disputa come amici curiae significa per gli Stati perdere una parte della loro supremazia, e accettare che, su questioni nelle quali gli stessi possono avere degli interessi diretti, tali soggetti terzi possano, ricorrendo a tale mezzo, influenzare il giudizio della corte in direzioni non sempre gradite a uno o più Stati coinvolti.
Considerato quanto sopra non stupisce che tale istituto trovò fin dalle sue prime apparizioni reazione molto diverse dai diversi attori operanti sulla scena mondiale. Richiamando brevemente solo quelle emerse nel WTO, in quanto ritenute particolarmente esemplificative, troviamo da una parte quelle degli Stati Uniti, già familiari all’istituto e convinti sostenitori dello stesso, mentre maggiori resistenze vennero dagli altri paesi industrializzati; apertamente ostili infine si rivelarono i Paesi in via di sviluppo. Questi ultimi infatti temevano di risultare svantaggiati dall’uso di un mezzo del quale risultava più facile si servissero in modo persuasivo le ONG e le parti private delle maggiori potenze commerciali, le quali indubbiamente godevano di mezzi e di un’influenza sia economica che politica maggiori rispetto a quelli dei PVS stessi.

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3 INTRODUZIONE La figura dell’Amicus Curiae nel diritto internazionale rappresenta un punto tanto affascinante quanto controverso, il cui sviluppo è avvenuto attraverso gli anni non senza scontri e battute d’arresto. In un contesto in cui gli effetti di una controversia trascendono spesso la controversia stessa e i diretti contendenti, e gli interessi coinvolti sono da valutarsi sempre di più su un piano globale e non limitato ai confini dei singoli stati, ne discende che estendere alla società civile la possibilità di intervenire in ambito processuale assume un’importanza sempre maggiore, e soprattutto che è sempre meno possibile esimersi dal far si che questa estensione prenda naturalmente corso. Il panorama inoltre non è più caratterizzato dalla presenza di istituzioni internazionali formate solo da Stati, i cui governi si trovavano impegnati a difendere i diritti dei propri cittadini, che ne orientavano le priorità nazionali attraverso un’opera di lobby. Il sistema infatti si è ormai chiaramente aperto alla possibilità di consultarsi anche con attori non statuali, al fine di divenire più trasparente e democratico grazie all’apporto che essi sono in grado di fornire sulla base delle loro competenze e capacità.

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Informazioni tesi

  Autore: Martina Blancodini
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi di Torino
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Alberto Oddenino
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 223

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