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L’impairment test degli strumenti finanziari nei bilanci delle banche

Si tratta di una disamina della disciplina dettata dagli IAS/IFRS vigenti in materia di contabilizzazione dell'impairment test degli strumenti finanziari, assumendo come punto di vista privilegiato quello delle banche italiane quotate.

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PREFAZIONE Ultima tappa del decennale processo di armonizzazione della normativa contabile comunitaria, l’adozione dei principi contabili internazionali ha rappresentato una novità di portata rivoluzionaria, sia sotto il profilo contabile che in ambito fiscale. Si tratta infatti di un set di regole contabili in tanto radicalmente innovative in quanto dichiaratamente pensate perché i principali fruitori (“stakeholders”) del bilancio siano gli investitori - attuali e potenziali - in capitale di rischio (e non i creditori, come nella tradizione civilistica nazionale). Cosicchè, come ha osservato G. Zanda, “nell’ambito dei differenti soggetti interessati alle informazioni di bilancio, il Framework evidenzia che tali soggetti non sono tutti sullo stesso piano: lo IASB privilegia, volutamente, le aspettative informative degli investors, ipotizzando un allineamento tra le esigenze di questa tipologia di utilizzatori e quelle della maggior parte degli altri destinatari del bilancio. Ciò sembra rispondere alla fondamentale esigenza dell’economia di mercato in cui i conferenti il capitale di rischio appaiono i principali protagonisti che necessitano ampie informazioni al fine di una efficiente allocazione delle risorse”. Un bilancio che, per espressa previsione normativa, intende porsi quale strumento utile per le decisioni economiche degli investitori, non può che essere orientato a rappresentare, nello stato patrimoniale, il valore del patrimonio a fine esercizio espresso a valori economici, e, nel conto economico, la variazione, registrata nell’esercizio per effetto della gestione, del valore economico del capitale netto iniziale. Il marcato orientamento al mercato degli IAS/IFRS, dunque, fa si che al tradizionale modello contabile basato sul “costo storico”, si sostituisca un paradigma contabile nel quale il criterio del fair value rappresenta un costante driver di valutazione delle poste di bilancio, talvolta alternativo al criterio del “costo storico”, tal altra obbligatorio ed incondizionato modello contabile di valutazione. Da quanto supra premesso occorre prendere le mosse per rilevare che, con l’esplosione della crisi finanziaria e reale che ha interessato le principali economie mondiali a far data dal settembre 2008 1 , il predetto paradigma del fair value è stato oggetto di dure critiche, insinuando, tra studiosi e addetti ai lavori, più di un dubbio sulla opportunità di ripristinare un sistema contabile maggiormente ancorato al più prudente criterio del costo. Infatti, in condizioni turbolente di mercato, laddove i prezzi non esprimono tali condizioni in ragione dell’incapacità del mercato di “diffondere” correttamente il valore, il principale 1 Crisi, è appena il caso di ricordarlo, innescata dal default di alcune delle più importanti banche d’affari americane (su tutte, Lehman Brothers)

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Informazioni tesi

  Autore: Paolo Ronca
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2011-12
  Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
  Facoltà: Economia
  Corso: Economia Aziendale
  Relatore: Enrico Laghi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 132

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