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La frontiera mobile: la macchina antropologica

La macchina antropologica catturò il nostro interesse sin dalla prima lettura de L’aperto: L’uomo e l’animale di Giorgio Agamben. È un processo altamente raffinato di continua ridefinizione dei rapporti dell’umano.
È una macchina dell’uomo in un duplice senso. In primo luogo la creazione, la manutenzione ed il suo stesso funzionamento sono, da una parte il compito, e dall’altra il destino inconsapevole dell’uomo. In secondo luogo il prodotto di questo procedimento serve all’uomo, è un’esigenza dell’uomo, risponde ad una domanda dell’uomo.
È una macchina che crea e si serve di rapporti. Il rapporto si risolve generalmente tra un fattore materiale ed uno immateriale, il corporeo e l’incorporeo che, per tradizione, ripartiscono la composizione umana; a maggior ragione si potrebbe dire che è la stessa macchina antropologica che crea e mantiene questa tradizione. Il fattore materiale non può esser altro che il corpo che l’uomo condivide da sempre con l’animale. Fintantoché l’incorporeo non venga eliminato – ché significherebbe relegarlo tra gli animali, o meglio, farlo rimanere animale (l’animale che è?) – durante il movimento della macchina, l’uomo può divenire animale parlante, animale politico, animale razionale, creatura di mezzo tra il divino e l’animale (animale angelico?)…
È un processo continuo perché è storico. Non già storico perché appartenente ad un periodo ormai passato, bensì perché, nel suo funzionamento, crea storia. Ad ogni era dell’uomo corrisponde una definizione che giustifichi la presenza dell’uomo stesso tra gli altri enti. Anzi non solo tra gli altri enti, ma al centro degli altri enti.
È un rapporto che favorisce l’uomo, è una macchina antropocentrica. Inoltre, come si evince dal titolo del testo di Agamben, tra tutti i rapporti possibili, quello tra uomo e animale è sicuramente privilegiato. Uomo – che sta al centro dell’interesse – è sempre animale, ma con qualcosa in più.
Da sempre cerca di rispondere ad una domanda ontologica fondamentale sull’umanità dell’umano, ma risponde affermando l’umanità dell’animale nel senso della mancanza. In altre parole l’animale, per essere uomo, mancherebbe dell’umanità che si identifica con quell’attributo.
Questo rapporto inevitabilmente definisce ambedue i termini del confronto e tende, da sempre, a creare uno iato di non-conoscenze – o conoscenze pregiudizievoli – nei confronti del termine meno nobile del rapporto: l’animale ha sempre qualcosa in meno.
La macchina antropologica è, per questo, una frontiera di definizione mobile tra l’uomo e l’altro.
In un’epoca che si vanta di combattere i pregiudizi ha ancora senso un processo di questo genere? Se la risposta fosse negativa, si potrebbe, finalmente, fermare questa macchina? Oppure s’è già fermata autonomamente? E se al contrario fosse ancora ne-cessaria, è possibile auspicare un processo di creazione di rapporti non pregiudizievole, anzi assolutamente rispettoso dei termini coinvolti? Cosa ancor più importante: può la filosofia continuare ad esser l’unica disciplina detentrice dell’onere e dell’onore del funzionamento della macchina?
Queste sono le domande che ci hanno guidati attraverso la stesura delle nostre tesi. Durante il percorso abbiamo cercato di far confluire a termini comuni le risposte di varî pensieri delle due discipline che, a nostro iniziale parere, si contendano da poco più di un secolo il dominio della macchina: filosofia ed etologia. Come è infatti tipico di ogni conflitto, i due contendenti dei territori confinanti si danno battaglia per spostare la frontiera, sfruttando ogni apertura possibile per sferrare il loro colpo migliore. È un conflitto vasto nel tempo e nello spazio. Inevitabilmente abbiamo dovuto operare delle scelte limitando il campo senza, per altro, riuscire nel difficile compito di valutare tutte le più importanti ricerche etologiche e filosofiche a nostra disposizione. Emergerà tuttavia, nel percorso intrapreso, che alcune vecchie zone calde del conflitto si sono da tempo raffreddate e, viceversa, territori un tempo incolumi sono stati macchiati del sangue dei vinti. Il sangue versato in questo conflitto, non è mai quello dell’uomo.
Abbiamo successivamente constatato che almeno un altro grande soggetto ha apportato importanti nuovi elementi da metabolizzare all’interno del dibattito: si tratta della nuova neurologia e delle sue affascinanti teorie sul sistema dei neuroni specchio.
Siamo rimasti affascinati da quanto il dibattito sulla macchina antropologica, sia esso di puro interesse accademico ovvero di interesse pragmatico, coinvolga quasi ogni aspetto dell’essere umano. Fin dalle primissime intuizioni, passando per le entusiasmanti ricerche ed arrivando infine alla faticosa stesura, in quasi due anni di impegno per questa tesi, abbiamo scoperto quanto sia importante il ragionar sull’argomento: le percezioni, le sensazioni, molte nostre esperienze sono confluite in questo lavoro.

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Introduzione La macchina antropologica catturò il nostro interesse sin dalla prima lettura de L’aperto: L’uomo e l’animale di Giorgio Agamben. È un processo altamente raffinato di continua ridefinizione dei rapporti dell’umano. È una macchina dell’uomo in un duplice senso. In primo luogo la creazione, la ma- nutenzione ed il suo stesso funzionamento sono, da una parte il compito, e dall’altra il destino inconsapevole dell’uomo. In secondo luogo il prodotto di questo procedimento serve all’uomo, è un’esigenza dell’uomo, risponde ad una domanda dell’uomo. È una macchina che crea e si serve di rapporti. Il rapporto si risolve generalmente tra un fattore materiale ed uno immateriale, il corporeo e l’incorporeo che, per tradizione, ripartiscono la composizione umana; a maggior ragione si potrebbe dire che è la stessa macchina antropologica che crea e mantiene questa tradizione. Il fattore materiale non può esser altro che il corpo che l’uomo condivide da sempre con l’animale. Fintantoché l’incorporeo non venga eliminato – ché significherebbe relegarlo tra gli animali, o me- glio, farlo rimanere animale (l’animale che è?) – durante il movimento della macchina, l’uomo può divenire animale parlante, animale politico, animale razionale, creatura di mezzo tra il divino e l’animale (animale angelico?)… È un processo continuo perché è storico. Non già storico perché appartenente ad un periodo ormai passato, bensì perché, nel suo funzionamento, crea storia. Ad ogni era dell’uomo corrisponde una definizione che giustifichi la presenza dell’uomo stesso tra gli altri enti. Anzi non solo tra gli altri enti, ma al centro degli altri enti. È un rapporto che favorisce l’uomo, è una macchina antropocentrica. Inoltre, come si evince dal titolo del testo di Agamben, tra tutti i rapporti possibili, quello tra uomo e a- nimale è sicuramente privilegiato. Uomo – che sta al centro dell’interesse – è sempre animale, ma con qualcosa in più. Da sempre cerca di rispondere ad una domanda ontologica fondamentale sull’umanità dell’umano, ma risponde affermando l’umanità dell’animale nel senso del- la mancanza. In altre parole l’animale, per essere uomo, mancherebbe dell’umanità che si identifica con quell’attributo. 7

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Informazioni tesi

  Autore: Alessandro Andreis
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2008-09
  Università: Università degli Studi di Verona
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Filosofia
  Relatore: Gianluca Solla
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 107

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