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«Poi c’hanno dato la casa alle Vallette» Privatizzazione domestica, comunità, famiglia nella Torino del miracolo economico

Questo studio analizza l’affermarsi tra le classi popolari torinesi nel secondo dopoguerra del modello famigliare coniugale intimo. Se nelle barriere operaie della Torino di inizio Novecento le famiglie residenti sono inserite in una socialità effervescente incentrata sulla comunità – nella sua doppia valenza di controllo sociale e solidarietà di vicinato - nelle nuove periferie “dormitorio” del boom economico i nuclei familiari sembrano privatizzarsi nella dimensione domestica, negoziando un’inedita “rispettabilità” fondata su valori quali privacy, libertà individuale e i nuovi consumi: dalla televisione e gli elettrodomestici, fino all’auto e alla casa di proprietà.
Per studiare questo fenomeno, con un approccio microstorico, si è scelto di concentrarsi sulle Vallette, quartiere di edilizia pubblica inaugurato nel 1961 e abitato da una maggioranza di immigrati meridionali. Le fonti utilizzate sono molteplici e, in gran parte, mai utilizzate: interviste orali, fotografie, periodici locali e nazionali, documentazione proveniente da archivi privati e pubblici, in particolare, quella dell’ATC (Azienda Territoriale per la casa già Istituto autonomo per le case popolari di Torino).
L’immagine che si delinea mette in discussione la rappresentazione consolidata di “ghetto” uniforme, dimostrando la presenza di una forte eterogeneità interna. La privatizzazione domestica appare il prodotto dell’incontro-scontro tra i modelli del welfare state familistico, i nuovi riferimenti della società di massa e le molteplici aspettative delle famiglie maturare lungo il tortuoso percorso di integrazione urbana. Un processo che porterà alla frammentazione di identità collettive tradizionali, nuove concezioni dei rapporti di genere e di generazione e che vedrà una prima realizzazione nella periferia pubblica per poi espandersi al resto della città.

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1 Introduzione Soggetto della ricerca Mai chiamarle “borgate” di fronte agli assessori, ricordarsi che sono “periferie”. Ti impongono anticamere moderate, sono affabili, si scusano: illustrano con legittimo orgoglio le realizzazioni raggiunte, mascherano le diffidenze, reclamizzano i risultati di integrazione. […] La parola “borgata” ritorna, sulla bocca dei suoi abitanti […]: “so’ tanti che vengono a fa ricerche sulle borgate, e io je dico sempre famo a cambio… si volete capì qualcosa delle borgate, ce venite a stà du’ anni e io me trasferisco a casa vostra” 1 Ciò che lega Torino alle sue periferie di edilizia pubblica è un rapporto complesso. Descritte come luoghi difficili, cartine di tornasole dei contrasti sociali della città, in esse si leggono tutte le potenzialità e le contraddizioni del vorticoso sviluppo del miracolo economico. Ispirate da utopie politiche e innovativi prototipi di welfare, rappresentano oggi vivi “monumenti/documenti” dell’architettura e dell’urbanistica italiana del Novecento 2 . Tuttavia, paradossalmente, tra tutte le realtà che compongono il mosaico urbano, la storia di questi quartieri è la meno conosciuta. In gran parte sviluppatesi nell’ambito di studi di taglio architettonico dedicati all’intera città, le analisi si caratterizzano per un certo livello di approssimazione 3 . Una superficialità conoscitiva che ha influito non poco alla nascita e alla sedimentazione di tenaci luoghi comuni sviluppatesi in un reciproco gioco di riflessi tra stereotipi, cronaca e memoria collettiva. Questi interventi urbanistici, non avendo raggiunto pienamente gli obiettivi per cui sono nati, sono caduti spesso nel vicolo cieco dell’identificazione negativa in un «circolo vizioso tra marginalità sociale, visibilità del disagio e ostilità del resto della città» 4 . Raccontare Torino a partire dalle sue periferie, infatti, obbliga ad incunearsi nelle molteplici contraddizioni vissute sulla pelle di quegli inquilini che 1 W. Siti, Il contagio, Mondadori, Milano 2010. 2 Riprendo questa chiave di lettura da: P. Di Biagi, La città pubblica e l’INA Casa, in La grande ricostruzione: il piano INA Casa e l'Italia degli anni ‘50, a cura di P. Di Biagi, Donzelli, Roma, 2001, p. 28. 3 Mi riferisco, in particolare, alle guide sull’architettura torinese. Per un esempio si veda: G. Mezzalama, Quartiere Le Vallette, case ad appartamenti INA-Casa, in M. A. Giusti, R. Tamborrino, Guida all’Architettura del Novecento in Piemonte (1902-2006), Umberto Allemandi & C., Torino 2008, pp. 299-300. 4 F. Zajczyk, B. Borlini, F. Memo, S. Mugnano, Milano. Quartieri periferici tra incertezza e trasformazione, Mondadori, Milano 2005, p. 25.

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Informazioni tesi

  Autore: Andrea Coccorese
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2011-12
  Università: Università degli Studi di Torino
  Facoltà: Lettere
  Corso: Storia contemporanea
  Relatore: Stefano Musso
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 244

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Parole chiave

torino
miracolo economico
familismo
periferia
ghetto
edilizia pubblica
meridionali
case popolari
storia urbana
quartieri popolari

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