6
Appare evidente come possa essere arduo dettare una normativa organica di
incentivazione per una realtà tanto complessa e polimorfica. Come prevedere una
normativa fiscale uniforme per un’associazione non riconosciuta e per una grossa
fondazione? un semplice strumento di controllo finalizzato alla verifica della
destinazione delle attività può essere opprimente per la prima ed insufficiente per la
seconda.
La classificazione in base allo scopo evidenzia caratteristiche importanti
dell’ente che dovrebbero condizionarne la disciplina. Secondo questo profilo gli enti
non profit si differenziano, infatti, in assistenziali e mutualistici. I primi operano per fini
pubblici o caritatevoli nei confronti di tutta la collettività; i secondi perseguono, quale
scopo sociale, la creazione di benefici diretti esclusivamente ai propri membri o a
gruppi per il cui servizio sorgono o che rappresentano. La meritorietà dei secondi,
differentemente da quella dei primi, insita nella natura dei fini perseguiti per
definizione, risulta dipendente dalla necessarietà di protezione espressa dai gruppi
tutelati o rappresentati. Allo scopo di assicurare strumenti utili per poter comprendere
appieno il significato dello slogan “più società meno Stato”, tanto in voga in seguito alla
crisi del “welfare state” ed esplicativo di ciò che il non profit può rappresentare per la
società del futuro, è opportuno osservare brevemente l’evoluzione storica della gestione
dei servizi sociali, in continuo fermento dal medioevo ai giorni nostri, dando risalto allo
spazio che le diverse istituzioni pubbliche hanno lasciato all’autorganizzazione della
società civile.
7
2) STATO E SOCIETA’ CIVILE: PROFILI STORICI.
- Dal medioevo allo stato assoluto del 1700.
Durante il periodo medioevale si assiste al particolare fenomeno della
frammentazione delle autorità in campo civile. Nel medioevo maturo ciò non dà luogo,
come potrebbe sembrare, ad una civiltà conflittuale, senza regole e punti di riferimento;
al contrario il succedersi ed il comporsi di molteplici autorità per diversi aspetti della
vita dell’uomo conduce ad una forte armonia e costruttività sociale.
In epoca medioevale anche durante le più profonde trasformazioni vi è sempre
un “ordinamento politico di riferimento”, dapprima il sistema feudale, poi, con
l’affacciarsi impetuoso del fenomeno dell’urbanesimo, il costituirsi dei “comuni”,
successivamente il formarsi delle “signorie” ed infine dei “regni”. Gli ordinamenti
politici qui ricordati riconoscevano l’esistenza di altre autorità dotate di sovranità quali
il papato, l’impero, le corporazioni delle arti e dei mestieri, e non pretendevano di
regolare, se non per limitati aspetti, la vita dei cittadini. In questo contesto l’intreccio
dei poteri appariva complesso e tollerante e l’attività-autorità delle corporazioni veniva
tollerata dalle istituzioni pubbliche.
Nel XVI° e nel XVII° secolo assistiamo ad un lento ma progressivo concentrarsi
dei poteri sovrani; i “regni” si impongono progressivamente nei confronti delle minori
organizzazioni loro interne (i comuni, le signorie e le corporazioni) e disconoscono le
autorità sovraminenti e a loro esterne delle formazioni universalistiche (il papato e
l’impero). Ciò nonostante, lo Stato assoluto del Settecento, non si contrappone
violentemente alle formazioni della società civile così come farà lo Stato successivo alla
rivoluzione francese, perché il primo, a differenza del secondo, non si propone di
svolgere ogni servizio non direttamente espletabile dal cittadino. Questa tolleranza dello
Stato assoluto settecentesco dipende forse dal fatto che esso è ancora uno Stato
patrimoniale e non censitario, non possiede quindi i mezzi per far fronte alle spese che
una politica statalista inevitabilmente comporta.
8
- La rivoluzione francese, lo statalismo liberale, lo stato sociale.
La Rivoluzione Francese porta ad un radicale attacco alle formazioni ed agli enti
intermedi fra Stato e cittadino. La legge “Le Chapelier”, emanata in Francia nel 1791,
sopprimeva infatti corporazioni, società benefiche ed educative, organizzazioni di
lavoratori, società artigiane, organizzazioni politiche e di fatto, sconvolgendo l’assetto
della società civile e lo stesso sistema delle fonti normative, contrastando la legittimità
di ogni fonte diversa dalla norma statuale. Durante l’Ottocento, gli effetti distruttivi
dello statalismo liberale nei confronti degli istituti della “società civile” sono evidenti e
rilevanti anche in Italia: dal campo dell’istruzione (legge Buoncompagni, riforma del
conte Gabrio Casati) al campo degli enti ecclesiastici (leggi Siccardi), a quello degli enti
benefici ed assistenziali (legge 17 luglio 1890, n. 6972)
1
.
I primi del Novecento vedono il sorgere dello “Stato sociale”: esso si sviluppa
facendo un uso strumentale delle istituzioni create dalla società civile. Grande è,
sicuramente, il debito dello “Stato sociale” nei confronti delle precedenti istituzioni
della società civile. Lo Stato apparato, dunque, dopo aver annientato le istituzioni della
società civile ne prende il posto, facendosi carico delle funzioni dalle stesse svolte in
precedenza. Prova dei nuovi compiti che lo Stato ha deliberatamente deciso di
assumersi, sono le grandi leggi in materia di previdenza: il r.d. 31 gennaio 1904, n. 51,
in tema di infortuni degli operai sul lavoro, la legge 17 luglio 1910, n. 520, istitutiva
della cassa di maternità, e la legge 17 aprile 1925, n. 473, relativa alla istituzione della
assicurazione obbligatoria per l’invalidità e la vecchiaia.
1
Con la legge citata vennero ricondotte sotto il controllo e la tutela pubblica opere pie ed enti morali, ai
quali veniva attribuita la nuova qualificazione di Ipab, a prescindere dalla appartenenza e titolarità del
patrimonio.
9
- L’avvento della Costituzione Repubblicana: dallo statalismo liberale al
pluralismo sociale.
La Costituzione italiana del 1948 contiene un complesso normativo
estremamente favorevole alle società intermedie, pur non essendo in essa presente una
disciplina diretta al “non profit”.
Essa propone una nuova visione dei rapporti tra Stato e società
2
rispetto alle
costituzioni liberali ottocentesche, per le quali l’uguaglianza e la libertà dei cittadini
erano realizzate attraverso un rapporto diretto tra questi e lo Stato, e all’ideologia
fascista che nutriva una profonda avversione e diffidenza verso ogni forma di
associazionismo privato. L’analisi dell’art. 2 Cost. e di altre norme sparse nella
Costituzione quali, ad esempio, l’art. 18 (libertà di associazione), l’art. 39 (libertà
sindacale), l’art. 49 (partiti politici), rivela una concezione della società nella quale sia
garantito il pluralismo, l’autonomia delle formazioni sociali e la partecipazione dei
cittadini alla vita politica e sociale.
Essa introduce, inoltre, tra i compiti dello Stato quello di intervenire in materia
economica e sociale
3
, in particolare l’art. 3 co. II Cost. afferma che la Repubblica
s’impegna a rimuovere le disuguaglianze di ordine economico e sociale. Ma anche
laddove lo Stato si è assunto specifici compiti da assolvere con strutture pubbliche la
Costituzione garantisce una sfera d’azione dei privati, come dimostrano gli artt. 38 ult.
co. (assistenza sociale) e 33 co. III (diritto all’istruzione) Cost.
A tal proposito appare di grande importanza per il terzo settore il nuovo art. 118
Cost., modificato dalla l. cost. n. 3 del 2001, recante modifiche al Titolo V parte
seconda della Costituzione, che introduce il principio di sussidiarietà
4
in senso
orizzontale e riconosce espressamente il diritto e l’autonomia dei cittadini, singoli e
associati, ad intervenire per il soddisfacimento dei bisogni manifestati dalla collettività.
2
RIGANO, L’ordinamento giuridico e fiscale, in Senza scopo di lucro. Dimensioni, storia, legislazione e
politiche del settore non profit in Italia, a cura di Barbetta, Bologna, 1996, 71 ss; RESCIGNO, Le
formazioni sociali intermedie, in Riv. dir. civ., 1998, I, 301 ss.
3
BALDASSARRE, op. ult. cit., 3379; ROMAGNOLI, Art.3, 2° comma, in Commentario della
Costituzione a cura di Branca, 178 ss.; EINAUDI, Prediche inutili, Torino, 1957, 2095, scrive che <<ogni
uomo deve essere inizialmente posto nella medesima situazione di ogni altro uomo; sicché egli possa
riuscire a conquistare quel posto morale, economico e politico che è proprio delle sue attitudini di
intelletto, di coraggio, di vigore lavorativo, di perseveranza>>.
4
Pubblicata in Gazz. Uff. n. 59 del 12 marzo 2001.
10
Si tratta dell’esplicito accoglimento, tra i valori fondamentali dell’ordinamento,
del principio secondo cui la risposta al bisogno deve essere la più vicina al bisogno
stesso e del principio della non necessaria coincidenza tra servizio di pubblica utilità e
servizio pubblico, nel senso che il primo può essere affidato tanto ad un soggetto
pubblico quanto ad un privato.
Tra le varie disposizioni che dimostrano la rilevanza costituzionale del settore
non profit è considerata fondamentale l’art. 2 Cost.
5
che contiene un esplicito
riconoscimento delle formazioni sociali come luogo privilegiato in cui gli individui
sviluppano la propria personalità e indica il principio di solidarietà quale <<valore
fondante dell’ordinamento giuridico>>
6
.
Tuttavia, la nozione generica di formazione sociale non può ricomprendere le
diverse realtà che si identificano nell’ente non profit. Esso trova, quindi, il suo referente
costituzionale più immediato ed appropriato nell’art. 18 Cost. per quanto riguarda le
associazioni e negli artt. 9, 20, 33, 34 e altre disposizioni che garantiscono talune
libertà, per le fondazioni
7
.
La Costituzione, però, non menziona mai lo scopo non lucrativo quale elemento
qualificante dell’associazionismo
8
. L’art. 18 espressamente garantisce la libertà di
associarsi indipendentemente dai fini che si vogliono perseguire, ma una riflessione più
ampia, che non si fermi a questa norma, induce a ritenere che il fine concreto perseguito
dai privati non può risultare indifferente alla valutazione della Costituzione.
5
BARBERA, Principi fondamentali: art.2, in Commentario alla Costituzione, a cura di Branca, Bologna-
Roma, 1977, 90 ss.
6
Corte Cost., 28 febbraio 1992, n. 75, in Giur. Cost., 1992.
7
Si esclude dal novero delle formazioni sociali la fondazione tradizionale destinata ad una funzione di
beneficenza laica (come quella degli istituti che erogano premi o borse), in cui sono assenti forme di
attività creativa, sprovviste di un apparato organizzativo volto alla realizzazione di beni di rilevanza
costituzionale. L’art. 9 Cost. è considerato, in particolare, il referente costituzionale delle fondazioni
culturali, quali strumenti per lo sviluppo della ricerca scientifica e della cultura, beni che la Repubblica
garantisce e promuove. PONZANELLI, La rilevanza costituzionale delle fondazioni culturali, in Riv. dir.
civ., 1979, I, 63 ss.
8
PONZANELLI, Gli enti collettivi senza scopo di lucro, Torino, 1996, 15; DE GIORGI, voce
<<Onlus>>, [aggiornamento-2000], in Digesto civ., Utet, Torino, 590; RIGANO, op. ult. cit., 80.
11
Secondo la dottrina
9
l’atteggiamento neutro nei confronti del fine è presidio della
libertà di associazione contro gli interventi repressivi dello Stato, ma ciò non toglie che
la disciplina dell’attività associata debba essere desunta dalla tavola dei valori
costituzionali, secondo la quale i fini associativi che coincidono con un bene
costituzionalmente protetto meritano il sostegno pubblico
10
.
La giustificazione, dunque, dell’intervento promozionale del legislatore nei
confronti del terzo settore è data dall’insieme dei principi contenuti negli art. 2 e 3 Cost.
(uguaglianza e solidarietà) e nell’art. 18 Cost. (libertà d’associazione) e dalla
ponderazione, non del mero fine non lucrativo dell’ente, bensì degli interessi di
rilevanza costituzionale che lo stesso decide di perseguire.
Alcuni dubbi di costituzionalità sono stati sollevati nei confronti della
legislazione di promozione del terzo settore in merito a due aspetti: la libertà dell’ente
chiamato ad adempiere ad “oneri” specifici per ottenere i benefici fiscali e la parità di
trattamento tra i soggetti economici privati.
La Corte ha affermato che la libertà del singolo ente e la parità di trattamento
sono salvaguardate solo quando appaiono ragionevoli i vincoli cui devono sottostare i
soggetti privati: la ragionevolezza deve essere valutata con riferimento sia alla non
eccessiva limitazione dell’autonomia dell’ente, sia al pregio costituzionale del bene che
si vuole tutelare mediante tali vincoli.
Il sacrificio dell’uguaglianza, inoltre, appare costituzionalmente legittimo
quando il fine e i modi dell’attività dell’ente risultano meritevoli alla luce dei valori
costituzionali e quando questo sacrificio è dovuto ad una libera scelta dei privati
11
.
9
DE SIERVO, voce <<Associazione (libertà di)>>, in Digesto pubbl., I, Torino, 1987, 484 ss.; RIDOLA,
Democrazia pluralistica e libertà associativa, Milano, 1987; RESCIGNO, Le formazioni sociali
intermedie, in Riv. dir. civ., 1998, I, 301 ss.
10
Nonostante la neutralità dell’art. 18, si ritiene che lo Stato possa selezionare i fini perseguiti da un ente
associativo in quanto soddisfino un interesse di rango costituzionale senza incappare nella violazione del
principio di uguaglianza (art. 3 co. II Cost.) e di libertà di associazione (18 Cost.). NAPOLITANO, Le
associazioni private a rilievo pubblicistico, in Riv. crit. dir. priv., 1994, 583 ss.
11
A tal proposito NAPOLITANO scrive: <<Il “rilievo pubblicistico” è dunque una veste che si indossa e
di cui ci si spoglia liberamente.[...] La disapplicazione dello statuto privilegiato non coincide con
l’estinzione dell’ente (o la trasformazione del suo scopo)>>, cit., 636.
12
- La crisi del “welfare state”.
-
L’emersione del terzo settore, soprattutto nell’ambito dei servizi sociali, ha
avuto diverse spiegazioni
12
legate principalmente alla funzione economica svolta dagli
enti non profit.
Una prima tesi fa leva sul maggiore affidamento che le organizzazioni non profit
suscitano nei destinatari dei servizi, i quali ritengono che l’assenza di distribuzione di
utili garantisca qualità e sicurezza. Ciò soprattutto quando i consumatori non sono in
grado di esercitare il potere di monitoraggio sulle prestazioni del produttore.
Questa tesi indica quindi il fallimento del contratto (contract failure), dovuto
alla crisi delle normali regole del mercato, come la chiave di lettura del successo delle
organizzazioni non lucrative.
Una seconda tesi ritiene che lo sviluppo del terzo settore si giustifichi con il
fallimento non solo del Mercato ma anche dello Stato, che lo stesso riconosce e a cui
rimedia con una generosa disciplina tributaria. Le due motivazioni non si escludono, ma
pongono in evidenza la funzione integrativa o sostitutiva di queste organizzazioni con
rispetto tanto alle imprese lucrative quanto all’intervento statale.
Il fenomeno del non profit affonda, sicuramente, le sue radici nella crisi dello
Stato sociale. Esso nasce per rimediare al fallimento del Mercato nella produzione di
alcuni beni e servizi, generato dal disinteresse verso settori ritenuti non remunerativi.
Gli altri obiettivi dei sistemi di Welfare sono: redistribuire risorse e opportunità tra i
cittadini più fortunati e meno fortunati e garantire a tutti un livello minimo di benessere.
In realtà la crisi riguarda lo Stato assistenziale
13
, cioè quello Stato per il quale i
“mezzi” organizzativi per raggiungere le finalità sociali ricadono essenzialmente sulle
strutture pubbliche.
12
PONZANELLI, Gli enti collettivi senza scopo di lucro, Torino, 1996, 2 ss.; DE GIORGI, voce
<<Onlus>>, [aggiornamento-2000], in Digesto civ., Utet, Torino, 592.
13
BALDASSARRE, cit., 3379; RIGANO, L’incentivazione dell’associazionismo prima e dopo il d.lgs. n.
460 del ’97, in Terzo settore e nuove categorie giuridiche: le organizzazioni non lucrative di utilità
sociale, Milano, 2000, 80.
13
I diritti sociali
14
, infatti, sono indicati dalla Costituzione quali diritti inviolabili al
pari dei diritti di libertà civile e politica, per cui lo Stato non può disinteressarsi dei più
deboli e bisognosi.
Sino a non molti anni fa, la tutela di tali diritti era monopolio dello Stato e di
numerosi Enti pubblici
15
, ma è apparso oramai chiaro a tutti che tale modello di Welfare
State è entrato in una profonda crisi.
Essa è dovuta principalmente a tre ordini di motivi
16
:
1) L’INEFFICIENZA dei sistemi di Welfare derivante dalla mancanza di
competizione nella fornitura di beni e servizi. La possibilità del produttore pubblico di
agire come un monopolista determina spesso servizi pubblici molto burocratizzati e di
scarsa qualità.
2) LA INSOSTENIBILITA’ ECONOMICA DEI SISTEMI STESSI. Le
economie dei paesi più sviluppati non possono più tollerare, a carico dello Stato, un
peso enorme di erogazioni in assistenza e previdenza.
3) LA RIGIDITA’ dei servizi pubblici. Essa consiste nell’incapacità di adattarsi
a nuovi bisogni sociali, di soddisfare nuove esigenze della collettività.
14
Il passaggio dallo Stato di diritto allo Stato sociale, quale è quello disegnato dalla nostra Costituzione,
avviene con il riconoscimento di alcuni “diritti sociali” accanto alle tradizionali libertà negative. Lo Stato
si impegna a rendere effettivo l’esercizio di alcuni diritti, in modo da assicurare il pieno sviluppo della
persona umana. E’ possibile ricordare, a tal proposito: il diritto al lavoro (art. 4), il diritto alla salute (art.
32), il diritto allo studio (art. 34), il diritto del lavoratore ad una retribuzione proporzionata alla quantità e
alla qualità del suo lavoro (art. 36 co. I) e al riposo settimanale e alle ferie retribuite (art. 36 co. III), il
diritto dei minori, a parità di lavoro, alla parità di retribuzione (art. 37 co. III), la parità dei diritti della
donna lavoratrice rispetto al lavoratore (art. 37 co. I), il diritto degli inabili al lavoro e dei bisognosi
all’assistenza (art. 38 co. I), il diritto del lavoratore alla previdenza sociale (art. 38 co. II). MAZZIOTTI,
Diritti sociali, in Enc. del dir., vol. XII, 882 ss.; BALDASSARRE, Diritti sociali, in Encicl. giur., vol.
XI, Roma, 1989.
15
QUADRIO CURZIO, op. ult. cit., 3389.
16
BARBETTA, cit., 12 ss.