5
Ci riferiamo, in primis, alla piena responsabilizzazione delle Regioni
e degli enti locali, resa tra l’altro necessaria in un settore, come il
commercio, strettamente legato al territorio.
In secondo luogo, alla forte semplificazione delle procedure
amministrative ed alla sostanziale liberalizzazione, specie per i
piccoli esercizi commerciali, tesa a valorizzare la capacità
imprenditoriale.
Un’altra novità è quella rappresentata dallo spostamento del livello
decisionale, per ciò che concerne la programmazione della rete
distributiva, da una pianificazione di settore agli strumenti
urbanistici, inserendo pienamente il commercio nella pianificazione
territoriale.
Inoltre, una particolare attenzione è attribuita alla rete distributiva
diffusa, soprattutto ma non solo, nelle aree urbane e nei piccoli
comuni, riconoscendo in questo modo che il commercio non è solo
attività economica, come tra l’altro sottolinea anche il così detto
“Libro bianco” dell’Unione Europea, ma anche servizio, reti di
relazioni sociali, elemento di valorizzazione delle città.
Infine, particolarmente interessante è la previsione di strumenti ed
interventi specifici a sostegno dello sviluppo delle imprese
commerciali, come ad esempio i cosiddetti progetti di valorizzazione
commerciale di cui ci occuperemo in seguito, con cui si è voluto
invertire una tendenza che si era consolidata nell’ultimo decennio che
vedeva il settore in gran parte escluso dalle politiche attive per le
imprese.
Su questi punti il Governo, su delega del Parlamento, ha dettato le
linee fondamentali della riforma, tenendo conto inoltre che le
profonde diversità economiche, sociali e territoriali del Paese
richiedono l’elaborazione d politiche regionali ad hoc che a loro volta
6
tengano conto delle specificità locali, pur all’interno di un quadro di
riferimento normativo unitario rappresentato appunto dal decreto
legislativo n. 114/1998 che sarà quindi il principale oggetto della
nostra dissertazione.
Per questo, le normative regionali (ormai non più semplicemente
definibili di attuazione del d. lgs. n. 114/1998) e la revisione degli
strumenti urbanistici da parte di comuni e province rappresentano
senz’ altro il banco di prova per la verifica della idoneità della
riforma a perseguire gli obiettivi di sviluppo e valorizzazione di un
settore chiave nell’economia e nel lavoro del nostro Paese.
Concludiamo questa breve premessa meramente introduttiva
ricordando al lettore che in questa sede non ci proponiamo di dar
luogo ad una esaustiva trattazione della vigente disciplina del
commercio nel suo complesso, ma anzi ci limiteremo ad un suo
particolare aspetto, ossia il commercio al dettaglio in sede fissa. Più
precisamente di questo ci sforzeremo di cogliere, come abbiamo
anticipato esordendo e come si evince tra l’altro dallo stesso titolo di
questa trattazione, i margini di discrezionalità amministrativa lasciati
da tale normativa di settore in sede di concreta attuazione ed
applicazione della stessa alle varie pubbliche autorità competenti in
materia. Per questo motivo, quindi, eviteremo di soffermarci su
quegli aspetti della disciplina che decisamente non si prestano ad
assecondare argomentazioni di questo genere (vedi ad esempio i
requisiti morali e professionali di accesso all’attività) e per i quali
rinviamo invece a quelle opere che affrontano in maniera
istituzionale tale specifico settore del diritto amministrativo.
7
CAPITOLO 1
LA NUOVA DISCIPLINA DEL COMMERCIO: IL
DECRETO LEGISLATIVO 31 MARZO 1998 N. 114
1. Premessa
La nuova disciplina amministrativa del commercio recata dal così
detto decreto Bersani, riformando organicamente la normativa di
settore nel rispetto del principio di un’economia di mercato aperto in
libera concorrenza stabilito dagli art. 3A e 102A del Trattato
dell’Unione Europea, introduce elementi fortemente innovativi
rispetto a quelli che ispirarono il legislatore del 1971, quali ad
esempio la soppressione del REC, la liberalizzazione merceologica,
l’abolizione dei piani comunali e la nuova suddivisione tipologica fra
esercizi di vicinato, medie e grandi strutture di vendita.
1
Molto interessante è inoltre osservare come la ripartizione delle
competenze fra le diverse amministrazioni pubbliche coinvolte è stata
effettuata in base ai principi contenuti nella legge delega 15 marzo
1
Per una disamina su come venga realizzato il principio di concorrenza nel
settore del commercio, vedi B. Argiolas, L’attuazione della riforma del
commercio al dettaglio tra liberalizzazione e decentramento, in Giornale di
diritto amministrativo, 2002, n. 8.
8
1997, n. 59
2
, ed in particolare il principio di sussidiarietà, la cui
attuazione ha comportato l’attribuzione alle regioni ed agli enti locali
della generalità dei compiti e delle funzioni amministrative secondo
le rispettive dimensioni territoriali ed organizzative.
3
Dunque, decentramento e liberalizzazioni sembrano essere le due
principali chiavi di lettura del decreto. Per quanto riguarda il primo,
ci accorgeremo nello svolgimento della trattazione come
effettivamente il decreto, nel disegnare il riparto di competenze e
funzioni alle varie amministrazioni, abbia dato luogo ad una
disciplina di tale settore che realizza un vero e proprio “federalismo”
amministrativo, e a tal proposito nostra cura sarà di individuare i
margini di discrezionalità che la riforma riconosce a regioni ed enti
locali in sede di attuazione della riforma. Per ciò che concerne invece
il secondo, dobbiamo dire che se da un lato le istanze liberiste
rappresentano certamente un punto fermo della riforma, dall’altro la
loro effettiva realizzazione dipenderà in concreto da come agiranno
regioni e comuni in sede di attuazione della riforma: il rischio è che i
provvedimenti regionali finiscano per riproporre, negli spazi lasciati
aperti dalla normativa nazionale, alcune rigidità presenti nella
previgente normativa.
4
2
Intorno a tale legge, vedi M. Ainis, C. Desideri, G. Merloni, Le autonomie
regionali e locali alla prova delle riforme: interpretazione ed attuazione della
legge n. 59/1997, Milano, 1998; F. Castiello, Il nuovo modello di
amministrazione nelle leggi Bassanini n. 59/1997 e127/1997, Rimini, 2000.
3
Sul principio di sussidiarietà, vedi F. Pizzetti, Il nuovo ordinamento italiano fra
riforme amministrative e riforme costituzionali, Torino, 2002.
4
La riforma del titolo 5 ha poi sicuramente reso più intensa tale problematica, la
quale sarà successivamente ripresa quando affronteremo nello specifico il riparto
di funzioni fra regioni ed enti locali.
9
Tutto questo, in pratica, significa che proprio l’unione dei due
principi di libera concorrenza e decentramento potrebbero, in teoria,
generare risultati contrastanti fra regione e regione e tradire le
aspettative di chi auspicava un’effettiva realizzazione della
liberalizzazione del settore.
Prima di passare ad una più compiuta trattazione della nuova
disciplina del commercio propostaci dal decreto Bersani, non
possiamo però esimerci dal fare un’ulteriore osservazione intorno alla
natura della nuova regolamentazione pubblicistica di tale attività. Nel
far ciò, ci sembra opportuno premettere che in astratto esistono due
tipi di approcci fondamentali alla regolamentazione del sistema
distributivo: l’approccio settoriale da un lato e quello urbanistico
dall’altro.
5
In entrambi i casi, si ha una programmazione predisposta
dai pubblici poteri, che vincola le successive decisioni della pubblica
amministrazione in sede di procedimento autorizzatorio. Nel primo
caso, la discrezionalità amministrativa dei pubblici poteri
nell’esercizio dei propri poteri di pianificazione del commercio è
ispirata da obiettivi di equilibrio tra la domanda e l’offerta di servizi
commerciali, configurando così un penetrante intervento nei
meccanismi della competizione del settore. Inoltre, in tale tipo di
approccio alla disciplina del commercio, il rispetto delle prescrizioni
urbanistiche è previsto solo come momento separato, sulla base
dell’idea che il diritto urbanistico presupponga il perseguimento e
l’assolvimento di interessi ed esigenze differenti rispetto a quelli
propri della disciplina del commercio. Nel secondo caso, invece, la
pianificazione del commercio ha, sostanzialmente, natura
urbanistica,e i relativi profili di discrezionalità amministrativa che
5
Vedi sul punto P. Bertozzi, Il nuovo quadro normativo del settore della
distribuzione commerciale in Italia, in Le istituzioni del federalismo, 1999.
10
caratterizzano gli interventi pubblici nel settore sono finalizzati al
raggiungimento ed al presidio di equilibri fra i diversi utilizzi del
territorio, ovvero fra le diverse funzioni territoriali (produzione,
residenza, commercio, aggregazione sociale etc.). Ebbene,
quest’ultimo è, sicuramente, il modello abbracciato dal riformatore
nel disegnare la attuale disciplina della regolamentazione
pubblicistica delle attività commerciali, e della allocazione dei
singoli insediamenti in particolare. Anche questi aspetti della riforma
saranno abbondantemente trattati in seguito, laddove affronteremo
quella che, sicuramente, è la parte centrale, oltre che più interessante
a nostro avviso, della normativa di cui al d. lgs. n. 114/1998, ossia la
così detta urbanistica commerciale.
11
2. Breve excursus sulla evoluzione normativa che
ha portato alla attuale regolamentazione delle
attività commerciali: la disciplina anteriore alla
legge n. 426/1971
Prima di discorrere intorno ai lineamenti della attuale disciplina del
commercio, ci sembra opportuno un sintetico excursus storico
intorno alla disciplina previgente. Nel far ciò, focalizzeremo la nostra
attenzione in particolar modo sullo studio dei profili di
discrezionalità amministrativa che caratterizzavano il settore prima
dell’avvento della riforma Bersani. D’altronde, questo sarà il “leit
motiv” dell’intera nostra trattazione.
A tal proposito, possiamo subito osservare come prima dell’avvento
del r.d.l. 16 dicembre 1926 n. 2174, successivamente convertito nella
l. 18 dicembre 1927 n. 2501, non esistevano, praticamente, limiti
all’esercizio dell’attività economica commerciale.
Infatti, gli unici controlli previsti erano quelli ricompresi nell’ambito
delle attività di polizia, con particolare riferimento funzionale
all’ordine pubblico ed alla sanità, ed avevano soprattutto funzione di
prevenzione, non ponendosi, evidentemente, come provvedimenti
regolatori dell’attività commerciale come fenomeno a rilevanza
pubblicistica.
12
Nell’Italia liberale, dunque, non esisteva un controllo pubblico del
commercio così come oggi noi lo concepiamo.
6
Con l’epoca fascista la situazione cambia. Infatti, con l’avvento delle
disposizioni normative sopra citate il legislatore per la prima volta si
immette in una prospettiva di attenzione nei confronti dei complessi
problemi che pone il settore commerciale, realizzando un tentativo di
controllo e di razionalizzazione della presenza dei punti vendita sul
territorio. La disciplina in esame, infatti, sottoponeva a licenza, da
rilasciarsi da parte dei comuni, l’esercizio del commercio per la
vendita al pubblico di merci sia all’ingrosso che al minuto, previo
accertamento non più soltanto dei requisiti personali indicati nelle
leggi di pubblica sicurezza, ma anche della sussistenza dei
presupposti “commerciali” utili per consentire, nell’interesse
generale, l’apertura di un nuovo esercizio. Più precisamente i
comuni, nell’ambito della propria discrezionalità amministrativa in
sede di rilascio di licenze commerciali, dovevano valutare se il
numero di esercizi commerciali già esistenti fosse o meno già
sufficiente alle esigenze del comune, tenuto conto dello sviluppo
edilizio, della densità della popolazione e della ubicazione dei
mercati rionali. E’evidente, ictu oculi, come tale valutazione, se da un
lato superava la precedente visione liberista, dall’altro si
caratterizzava per un grado eccessivo di discrezionalità, risultando gli
elementi da valutare enunciati in materia del tutto generica. Nella
6
Il Borsi, nel suo scritto “Le funzioni del Comune italiano”, pubblicato sul
Trattato di diritto amministrativo di V. E. Orlando, elencò in questo modo le
attribuzioni che del comune in materia di commercio: spettava ai comuni di
vigilare sull’igiene dei locali, di adattare, coi propri regolamenti, i precetti della
legge sul riposo festivo alle esigenze locali, fissare gli orari dei negozi, che per
alcune località potevano anche essere aperti la domenica mattina, controllare
l’estetica ed il decoro delle insegne.
13
disciplina in esame, infatti, mancava una precisa definizione dei
criteri oggettivi che dovevano presiedere al rilascio delle
autorizzazioni oltre che una univoca indicazione dell’interesse
generale che dovesse in concreto essere perseguito.
7
Oltre a ciò è interessante rilevare come nessuna adeguata attenzione
veniva rivolta dalle amministrazioni locali al rapporto tra la
programmazione urbanistica e le scelte di politica commerciale, al
contrario di quanto avviene oggi come avremo modo di vedere in
seguito.
Con l’avvento poi della Costituzione, la normativa suddetta, restata
in vigore fino al 1971, fu oggetto di sindacato di conformità alla
Costituzione stessa, il cui art. 41 garantisce il libero esercizio del
diritto di iniziativa economica. Più precisamente, la Corte
Costituzionale statuì che la normativa suddetta, anche se aveva avuto
vita nel precedente ordinamento corporativo, ed appariva pertanto
volta soprattutto a contemperare gli interessi delle categorie
economiche interessate, assumeva tuttavia nel nuovo ordinamento
costituzionale, ed anzi proprio alla luce dello stesso, un significato
diverso, risultando idonea a realizzare quei fini di utilità sociale cui è
condizionato il diritto di iniziativa economica.
8
A dimostrazione della
diversa portata assunta dalla normativa in questione, la Corte addusse
l’interpretazione della giurisprudenza amministrativa affermatasi in
quegli anni, secondo cui il rilascio della licenza veniva a costituire la
7
Confronta quanto osservano, a tal proposito, A. Ragazzini, Disciplina delle
attività commerciali, in Nuova rassegna, 2002, n. 7; P. Bonanni, Le nuove
autorizzazioni di commercio alla luce del d. lgs. n. 114/1998 e dei precedenti
giurisprudenziali, Padova, 2000.
8
Sul punto, vedi Corte Costituzionale, 12 maggio 1959, n. 32; Id, 9 marzo 1967,
n. 24; Id, 6 luglio 1965, n. 60; Id, 10 giugno 1969, n. 97.
14
regola, ed il diniego l’eccezione giustificata solo in presenza di
significative circostanze da cui potesse concludersi che il rilascio
contrastava con l’interesse pubblico.
9
Dunque, con l’avvento della Costituzione repubblicana tale
valutazione avrebbe dovuto incidere sulla discrezionalità
amministrativa dei comuni in sede di rilascio di licenze commerciali.
Solo che la mancanza di strumenti di gestione organizzata del settore
commerciale, per sua natura carico di interessi pubblici e privati
confliggenti, a portato al rilascio indiscriminato di licenze al di fuori
di qualunque necessità programmatoria, alla crescita di un mercato
polverizzato e totalmente scollegato rispetto ad esigenze con le stesse
funzionalmente connesse, quali ad esempio l’assetto del territorio
urbano ed il sistema viario, dei trasporti e dei servizi pubblici in
genere, esigenze queste che, come vedremo nel corso della
trattazione, ben maggiormente condizioneranno la discrezionalità dei
poteri pubblici in materia ai sensi della vigente disciplina.
9
Vedi, ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, 29 ottobre 1971, n. 968; Id, 27
aprile 1971, n. 398; Id., 23 marzo 1971, n. 299; Id. 9 giugno 1970, n. 500.
15
2.1. Segue: la legge 11 giugno 1971 n. 426
Con la legge 11 giugno 1971 n. 426 il legislatore per la prima volta
ha adottato una disciplina organica in materia di commercio.
10
Di
questa cercheremo ora di evidenziare quegli aspetti, che tra l’altro mi
sembrano i più interessanti, che riguardano in particolar modo i
profili di discrezionalità amministrativa propri della disciplina di tale
settore ai sensi della legge suddetta.
Fulcro di questa normativa è il piano di sviluppo e di adeguamento
della rete di vendita, detto più brevemente anche piano commerciale,
che ogni comune ha l’obbligo di adottare,
11
e che contiene le scelte
discrezionali delle singole amministrazioni comunali in materia di
programmazione commerciale. Appare evidente, ictu oculi, la forte
innovatività di un istituto del genere, specie in rapporto alla
disciplina previgente che certamente era ben lungi dal prospettare
10
Confronta M. Scarlata Fazio, La nuova disciplina del commercio: commento
alla legge 11 giugno n. 426, Milano, 1973; F. Pugliese, La nuova disciplina del
commercio, in Riv. trim. dir. pubbl., 1972; F. Gaetano, Rilievi sulla nuova
disciplina del commercio, in Nuova rassegna di legislazione, dottrina e
giurisprudenza, 1971, n. 19; G. La Terza, La nuova legge sul commercio e le
funzioni obbligatorie del comune, in L’amministrazione italiana, 1972, n. 3; A.
Fedele, La nuova disciplina del commercio, in Comuni d’Italia, 1975, n. 4.
11
Sull’argomento, vedi G. Pasini, Aspetti problematici della disciplina giuridica
dei piani di sviluppo e di adeguamento delle reti di vendita, in Rivista giuridica
dell’edilizia, 1973, n. 1; G. Albanese, Vendita al dettaglio e piani di commercio,
in Nuova rassegna di legislazione, dottrina e giurisprudenza, 1982, n. 4; G.
Giambartolomei, Tendenze giurisprudenziali in materia commerciale, con
particolare riferimento ai piani di sviluppo e di adeguamento della rete di
vendita, in Rivista amministrativa della Repubblica italiana, 1991, n. 1.
16
ipotesi di programmazione della rete di vendita specie in rapporto
con le esigenze urbanistiche del territorio comunale.
In particolare, l’art. 11 di tale legge indica come scopo della
pianificazione quello di “favorire una più razionale evoluzione
dell’apparato distributivo” attraverso il miglioramento della
funzionalità e produttività del servizio da rendere al consumatore e la
realizzazione del maggiore equilibrio possibile fra installazioni
commerciali a posto fisso e presumibile capacità di domanda della
popolazione stabilmente residente e fluttuante. A tali fini il piano
stesso, per prima cosa, deve contenere la rappresentazione della rete
distributiva esistente, e, quindi, deve dettare le norme e le direttive
per lo sviluppo della rete stessa, determinando eventualmente, per
quelli che sono i generi di largo e generale consumo, il limite
massimo della superficie globale di vendita.
Da quanto appena detto, possiamo effettuare una serie di
considerazioni. Innanzitutto la legge in questione ha dato luogo ad
un’ampia liberalizzazione per quanto riguarda la vendita dei generi
che non sono di largo e generale consumo, per il fatto che la
discrezionalità amministrativa dei comuni in sede di rilascio della
relativa autorizzazione commerciale non può portare a negarla sulla
base del profilo che ci siano già sufficienti esercizi. Per quanto
riguarda invece i generi di largo e generale consumo, è previsto il
potere discrezionale dei comuni di determinare all’interno dei propri
piani commerciali la superficie di vendita autorizzabile per gli stessi,
nel rispetto ovviamente delle prescrizioni di cui al piano regolatore
generale. Infine, dobbiamo aggiungere, e questo vale sia per i generi
di largo e generale consumo, sia per quelli che non lo sono, che la
discrezionalità del sindaco in sede di rilascio di una autorizzazione
commerciale è a sua volta limitata dalle precedenti determinazioni
17
discrezionali assunte dalla amministrazione comunale stessa in sede
di redazione del proprio piano commerciale.
12
Deve inoltre essere sottolineato che la legge suddetta fornisce una
risposta ad alcuni problemi che si erano presentati.
Più precisamente, la legge realizza un sistema di raccordo fra
pianificazione commerciale e pianificazione urbanistica, in quanto il
piano commerciale deve rispettare le previsioni urbanistiche esistenti.
D’altro canto, poi, si prevede espressamente che nella adozione e
nella revisione degli strumenti urbanistici generali siano indicate le
norme per gli insediamenti commerciali ed in particolare le quantità
minime di spazi per parcheggi. Negli strumenti particolareggiati,
invece, devono essere previsti gli spazi riservati ai centri commerciali
con superficie superiore a 1500 mq, per i quali inoltre è previsto,
oltre alla autorizzazione sindacale, anche il nulla osta regionale.
13
Concludiamo questo sintetico richiamo alla disciplina di cui alla l. n.
426/1971 accennando sommariamente alle principali questioni sorte
nella applicazione della stessa.
12
Sul precedente regime autorizzatorio, vedi S. Dammacco, Autorizzazioni
amministrative e licenze commerciali, Milano, 1993; M. A. Sandulli, Le
autorizzazioni al commercio di vendita a posto fisso, Milano, 1990; P. Gentili,
La nuova procedura per il rilascio dell’autorizzazione al commercio, Bologna,
1996; P. Bonanni, Le autorizzazioni e le licenze di commercio nel sistema della
pianificazione e della giurisprudenza, Padova, 1988; R. Murra, La
giurisprudenza dei T.A.R. in materia di autorizzazioni commerciali, in I T.A.R.,
1989, n. 5.
13
In tema di grandi strutture commerciali, vedi C. Ribolzi, I problemi di diritto
amministrativo della grande distribuzione; in Rivista di diritto industriale, 1979,
n. 2.