6
avvenuta nel 1910. Dei 63 volumi redatti ne sono rimasti 62 (manca il tomo del 1904), tutti
conservati nella Biblioteca Civica di Monza, città natale dell’autore, cui furono venduti nel 1964
dalla figlia Maria Mantegazza Simonetti. Si tratta di un’opera imponente, alla quale Mantegazza
attese per tutta la sua esistenza con una costanza e con un dispendio di tempo veramente notevoli
(alcuni tomi constano addirittura di seicento pagine). Al Giornale egli attribuì, come vedremo, un
ruolo importantissimo per il buon andamento della propria vita, e lo utilizzò anche come contenitore
di tutti quei «documenti» che riteneva importanti per la propria storia: conti della spesa, disegni,
biglietti, recensioni e articoli sulle sue opere e così via.
Un’analisi approfondita dell’intero corpus del diario di Mantegazza richiederebbe un lavoro ben
più ampio di una tesi di laurea: ho pertanto limitato il mio studio ai primi undici volumi, dal 1848 al
1858 incluso, inerenti la vita del loro autore tra i sedici e i ventisette anni. La scelta di considerare
gli anni giovanili di Paolo Mantegazza non è stata comunque determinata dalla volontà di analizzare
la formazione culturale e scientifica del futuro professore e di rintracciare quindi le origini dei suoi
interessi medici e antropologici o della sua attitudine divulgativa (per quanto accenni in questo
senso non siano completamenti assenti nelle pagine del diario): pur avendone preso raramente in
considerazione il periodo della giovinezza, la quasi totalità degli studi su Mantegazza si è infatti
specificamente appuntata su tali aspetti «pubblici» e scientifici della sua attività.
Al contrario, una fonte ricca e articolata come il Giornale della mia vita si presta ottimamente
anche ad un altro tipo di indagine, sicuramente più originale e meno frequentemente tentata dai
«poco sentimentali storici italiani»
3
: l’analisi cioè di come potesse svolgersi la vita quotidiana di un
giovane borghese della metà dell’Ottocento. Ho quindi tentato di far emergere soprattutto le
relazioni e i rapporti affettivi che intercorsero tra il giovane Mantegazza e le persone che lo
circondarono, dai familiari ai professori, dalle numerose fanciulle che egli amò ai suoi amici. Se è
vero poi che «la storia di una persona (…) non è fine a se stessa, ma serve a far luce sui meccanismi
interni di una società e di una cultura del passato»
4
, il mio scopo è stato anche quello di delineare –
sotteso alle vicende di Paolo Mantegazza – un quadro di quella che più in generale poteva essere
l’educazione (affettiva, familiare, sentimentale, sessuale) dei giovani delle classi medie negli anni
quaranta e cinquanta del XIX secolo.
Per alcuni aspetti, comunque, Mantegazza ebbe una storia poco comune, sia per la particolare
situazione familiare (la separazione dei genitori; il carattere forte della madre), sia proprio a causa
della sua personalità, che divenne nel corso degli anni sempre più fredda ed artefatta, pervasa da un
sentimento di superiorità alimentato dalle proprie indubbie capacità e dalla stima unanimemente
tributatagli.
3
R. Bizzocchi, Sentimenti e documenti, in “Studi storici”, n° 4, ottobre-dicembre 1999, p. 474.
4
L. Stone, Viaggio nella storia, Roma-Bari, Laterza, 1987, p. 100.
7
In quest’ottica, quindi, lo studio dei suoi diari giovanili permette di seguire la formazione della
personalità – non solo scientifica – di Mantegazza; negli undici anni intercorsi tra il 1848 e il 1858
le influenze esercitate dalla famiglia, dagli studi, dagli amici furono forse più intense che in
qualsiasi altro momento della sua vita, e proprio in questo periodo si situarono eventi per lui
significativi come la conquista dell’indipendenza personale, l’avvio della professione medica e il
matrimonio.
L’esistenza di Mantegazza in questo torno di anni può essere nettamente divisa in due parti: i
primi volumi del Giornale della mia vita (1848-1854) racchiudono il periodo della formazione
scolastica, dagli studi compiuti a Milano, riepilogati in apertura del primo tomo, fino alla laurea in
medicina conseguita nel febbraio 1854 all’Università di Pavia. In quegli anni il giovane era
soprattutto interessato agli studi, alle lezioni, agli amici e alle avventure amorose, occupandosi ben
poco di altre questioni, tanto che le notazioni sugli avvenimenti politici del 1848 rimangono
un’eccezione nelle pagine di quel periodo. Gli anni compresi tra il 1854 e il 1858 furono invece
quelli del soggiorno sudamericano del giovane medico, che aveva lasciato l’Europa spinto dal
desiderio di arricchirsi e di essere indipendente. I sogni di facili guadagni furono però ben presto
frustrati, e Mantegazza, pur a malincuore, dovette rassegnarsi ad esercitare la professione medica.
Dopo numerose vicende sentimentali, proprio in Argentina, a Salta, egli prese finalmente moglie nel
1856, diventando padre l’anno successivo.
Nel 1858, anno del ritorno in Italia, con i primi, difficili passi nell’ambiente medico milanese e
il complesso riallacciarsi dei legami affettivi con i familiari e gli amici, si concluse per lui il periodo
della giovinezza, dei viaggi e della formazione (anche sentimentale); l’assegnazione, nel 1860, della
cattedra di patologia nell’ateneo pavese diede infine inizio alla brillante carriera scientifica della
maturità.
Di tutti questi eventi il Giornale della mia vita è testimone prezioso, pur riportando solo di rado
riflessioni approfondite o ampie elaborazioni di idee e progetti, e rimanendo invece costantemente
incentrato sulla cronaca dei minuti fatti della vita quotidiana (le visite scambiate, le letture,
l’impiego del tempo, il proprio stato di salute).
Fra i nuclei tematici dei volumi di questi anni, rilievo centrale assume comunque la tensione
costante al perfezionamento di sé e, più in generale, la registrazione talvolta ripetitiva e ossessiva di
ogni moto della propria vita morale. Così viene fatto oggetto di una continua attenzione tutto quanto
attiene agli studi e alle occupazioni intellettuali più o meno scientifiche (ogni suo scritto, anche
letterario, risulta immancabilmente citato). A partire dagli anni americani assume un certo rilievo
8
anche la descrizione della pratica medica, con il resoconto degli interventi, delle rivalità fra i
colleghi e così via.
Un ampio spazio è però soprattutto riservato al racconto delle proprie avventure amorose –
platoniche o meno – con un gran numero di fanciulle, donne sposate, domestiche, prostitute e
possibili fidanzate; tema che fa tutt’uno con quello della sessualità, interesse e preoccupazione
costante di Mantegazza.
Prima della partenza per l’America, inoltre, uno degli argomenti più frequenti nelle pagine del
diario è quello dell’amicizia, specie con i prediletti Giovanni Omboni e Giuseppe Gibelli; mentre un
quadro assai interessante della vita familiare emerge dai significativi accenni che a tale proposito
ricorrono in molti passi del diario, e che delineano un interno borghese dominato dalla vigile
presenza della madre.
Prima di addentrarmi nell’analisi delle pagine del Giornale della mia vita, ho comunque
innanzitutto considerato la struttura conferita da Mantegazza a questo diario, di per sé rivelatrice dei
desideri, delle preoccupazioni e della personalità stessa del suo autore. Nei minuziosi rendiconti
dell’impiego del proprio tempo, dettati dal desiderio di perfezionarsi e di tenere sotto controllo tutto
quanto attenesse alla propria persona, si riflette infatti il timore della perdita e della dissipazione di
sé comune alla borghesia ottocentesca, che nel nostro caso però assume forme quasi ossessive.
Centro del secondo capitolo è invece la ricostruzione dell’ambiente familiare in cui crebbe il
nostro autore. Sullo sfondo di un’epoca di grandi cambiamenti nelle strutture della famiglia e nei
rapporti fra i suoi membri, emerge la peculiarità di casa Mantegazza, caratterizzata dalla non
comune personalità della madre, Laura Solera (patriota e animatrice di numerose iniziative
filantropiche), e dal modello di educazione che ella volle impartire ai suoi tre figli, moderno e
indicativo delle nuove tendenze nelle relazioni fra genitori e prole. Altrettanto importanti sono le
vicende che contraddistinsero il rapporto con il padre, Giovanni Battista, segnate dalla separazione
fra i due coniugi e successivamente da un intreccio di legami affettivi e di interessi economici che
mette in risalto quanto le relazioni familiari potessero essere influenzate da motivazioni concrete,
come del resto testimonia lo studio dei rapporti del giovane con gli altri parenti: fratelli, nonni e zii.
Il Giornale della mia vita costituisce inoltre una fonte preziosa per indagare un altro versante
della vita di Mantegazza: quello dell’educazione sentimentale. Non è usuale infatti trovare un
documento che permetta l’analisi non solo delle esperienze amorose, ma anche di quelle sessuali: se
le une, infatti, vennero tenute in grande considerazione per tutto l’Ottocento e furono una costante
nella maggior parte degli scritti autobiografici, le altre rimasero il più delle volte nel campo del non
9
detto: «Ci sono cose che si pensano ma non si dicono; altre che si dicono ma non si scrivono; e se
ne scrivono alcune che si esiterebbe a pubblicare»
5
. Il diario di Mantegazza ci permette invece di
gettare un ampio sguardo sui diversi modi di intendere e vivere l’amore di un giovane borghese
della metà del XIX secolo: se infatti molti tratti sono esclusivi del nostro autore (ad esempio la
maniacale attenzione rivolta alla propria attività sessuale), certe aspettative di felicità coniugale,
certi stili di corteggiamento, certi amori ancillari, certi terrori legati alle pratiche solitarie erano a
quel tempo indubbiamente comuni alla maggior parte dei giovani del ceto medio. Infine, il Giornale
offre anche la possibilità di conoscere qualcosa di più sull’amore coniugale, che, come si vedrà,
rientrava innegabilmente fra le «cose che non si dicono».
L’ultimo capitolo è invece dedicato a quella che fu la grande passione della vita di Mantegazza:
lo studio. La narrazione del suo curriculum scolastico apre uno scorcio sull’organizzazione della
scuola nella Milano preunitaria; mentre il diffuso resoconto degli anni universitari trascorsi a Pavia
nello studio della medicina offre uno spaccato sugli aspetti informali della vita accademica del
tempo e, soprattutto, sui rapporti degli studenti con i professori, che mostrano la centralità delle
relazioni personali in tutti gli ambiti della vita universitaria. Strettamente legate agli studi furono le
sue amicizie: l’analisi di questo tipo di relazioni riflette la centralità di tali rapporti affettivi nella
vita degli adolescenti dell’Ottocento, e più in particolare permette di seguire l’evoluzione della
personalità del nostro autore dalla spontaneità giovanile all’atteggiamento più distaccato e costruito
che sarà il tratto distintivo del suo carattere negli anni della maturità.
Nel tentativo di risalire, attraverso la storia di una persona, ad una più generale storia dei
sentimenti, per ricostruire la quale fonti «private» come i diari sono di grande importanza, è però
sempre presente il pericolo di cadere nell’aneddoticità, oltre alla difficoltà di interpretare tali
scritture. Quanto di quello che Mantegazza narra nel suo diario corrisponde effettivamente ai modi
di vita del tempo? E quanto di costruito vi è nel suo modo di rappresentare la realtà?
A queste domande si è tentato di rispondere nel corso del presente lavoro, anche se con ogni
probabilità, e quasi inevitabilmente, la selezione della documentazione ha già di per sé
rappresentato una proposta interpretativa. Spesso inoltre le pagine del diario – come quelle di
qualsiasi altra fonte – non permettono di comprendere davvero come un episodio o un’emozione
siano stati realmente vissuti: le parole possono riflettere, anche inconsciamente, non tanto i veri
sentimenti di chi scrive, quanto ciò che egli voleva far credere a se stesso.
5
J.-L. Flandrin, Il sesso e l’Occidente. L’evoluzione del comportamento e degli atteggiamenti, Milano, Mondadori,
1983, p. 22.
10
Dal momento che «non c’è comprensione possibile di quel che sente un altro fin che si resta
estranei alla coscienza che egli ne ha»
6
, ho quindi tentato di approfondire in ogni suo aspetto il
contesto in cui questo giovane si trovò a vivere, senza però togliere centralità alla voce di Paolo
Mantegazza come ci viene restituita dalle pagine del Giornale della mia vita; da una delle quali, nel
lontano 1849, egli lanciò profeticamente una curiosa «maledizione» all’indirizzo di quanti si
sarebbero avvicinati al suo diario:
Chissà se alcuno mai leggerà queste righe; se le leggerà col mio consenso quegli sarà l’amico
del mio cuore, ma se alcuno le leggesse per scoprire i miei pensieri: tremi; perché egli ha violato
la santità di un suggello, tremi perché ha commesso un delitto.
7
6
J.-L. Flandrin, Il sesso e l’Occidente…, cit., p. 21.
7
P. Mantegazza, Giornale della mia vita, 10-13 giugno 1849, p. 86.
11
PAOLO MANTEGAZZA:
CENNI BIOGRAFICI
Paolo Mantegazza nacque a Monza il 31 ottobre 1831, primogenito di Giovanni Battista e
Laura Solera, donna dal carattere deciso, educatrice attenta e successivamente ardente patriota e
grande animatrice di attività filantropiche (la fondazione a Milano nel 1850 del primo Ricovero
italiano per bambini lattanti; della Scuola per adulte analfabete nel 1852; della Scuola professionale
femminile nel 1870). Per volere di costei, nel 1836 la famiglia si trasferì a Milano, dove Paolo
compì gli studi elementari (1836-40), ginnasiali (1840-46) e liceali (1846-48). Dopo una marginale
partecipazione alla vita cittadina in seguito alla rivoluzione milanese del ’48, nell’autunno dello
stesso anno egli si recò a Pisa per intraprendervi gli studi universitari di medicina che non poteva
compiere in patria. Rientrato a Milano nel ’49, vi frequentò il secondo corso; trascorse invece i tre
anni successivi a Pavia, dove era stata riaperta l’Università, intervallando gli studi con le vacanze
autunnali sul Lago Maggiore, nella villa materna denominata «La Sabbioncella» o «Boecc». In
quegli anni supplì il maestro e amico Giovanni Polli con una serie di lezioni di chimica organica
tenute nel luglio 1851 alle Scuole tecniche di Milano (Paolo aveva 19 anni); nell’agosto 1852 lesse
invece una propria memoria Sulla generazione spontanea nella prestigiosa sede dell’Istituto
lombardo di scienze, lettere ed arti.
Conclusa la brillante carriera universitaria con la laurea conseguita nel febbraio 1854, egli
intraprese un lungo vagabondaggio per l’Europa e terminò a Parigi la sua prima opera, la Fisiologia
del piacere, prima di imbarcarsi in giugno per l’America meridionale. In Argentina trascorse
quattro anni (1854-58) esercitando la professione medica prima a Buenos Aires, poi nell’interno. A
Salta prese in sposa nel 1856 Jacobita Tejada, e l’anno successivo gli nacque il primogenito Giulio.
Tornato a Milano nel 1858, pubblicò il primo volume delle Lettere mediche sull’America
meridionale (il secondo vedrà la luce nel 1860) e ottenne il premio Dell’Acqua con una memoria
Sulle virtù igieniche e medicinali della coca, mentre muoveva i primi passi nell’ambiente medico
milanese.
12
Nel 1860 vinse il concorso per la cattedra di patologia all’Università di Pavia, incarico che
mantenne fino al 1869, con il grande merito di aver istituito il primo laboratorio di patologia
sperimentale d’Europa e di aver istruito allievi del calibro di Giulio Bizzozzero (che supplì alla
cattedra) e Camillo Golgi; continuò nel frattempo a pubblicare articoli scientifici e lavori più
divulgativi. Fra questi occorre ricordare gli Elementi di igiene usciti nel 1865, lo stesso anno in cui
fu eletto nelle file della Destra come deputato del collegio di Monza (dieci anni più tardi divenne
senatore). Nel 1866 prese avvio, con Igiene della cucina, la fortunatissima serie dell’Almanacco
igienico popolare, destinato a diffondere tra il popolo i primi rudimenti della nuova scienza e a dare
grande rinomanza al suo autore; mentre nel 1868 uscì il romanzo sulle nefaste conseguenze dei
matrimoni fra persone ammalate Un giorno a Madera. Una pagina dell’igiene d’amore, tradotto in
molteplici lingue. Nel 1864 e nel 1866 gli erano frattanto nati Attilio e Jacopo.
Nel 1869 chiese e ottenne l’insegnamento di antropologia e etnologia all’Istituto di Studi
superiori di Firenze (poi Università), città in cui d’allora in poi abitò e dove fondò nello stesso anno
il Museo nazionale di Antropologia e Etnologia (nel 1891 vi affiancò un effimero Museo
Psicologico), del quale rimase direttore fino alla morte. Nel 1870 e nel 1871 seguirono
rispettivamente l’istituzione della Società italiana di Antropologia e l’uscita del primo volume
dell’Archivio per l’Antropologia e l’Etnologia; mentre nel 1873 pubblicò la Fisiologia dell’amore.
Dopo la nascita della figlia Laura (1872) e la morte dell’amatissima madre (1873), diede alle
stampe fra le altre cose La mia mamma. Laura Solera Mantegazza (1876); Igiene dell’amore
(1878); Fisiologia del dolore (1880); Gli amori degli uomini (1886); Testa. Libro per ragazzi
(1887); Fisiologia dell’odio (1889).
Nel febbraio 1891 morì di polmonite la moglie Jacobita, dopo che già nel 1888 era scomparso
l’ultimogenito Manuel, undicenne. Mantegazza si risposò nello stesso autunno 1891 con la contessa
Maria Fantoni, di trent’anni più giovane di lui, dalla quale l’anno successivo ebbe la figlia Maria
detta Pussy. Continuò frattanto la copiosa produzione di opere di valore disuguale, fra le quali si
ricordano L’arte di prender moglie (1892) e L’arte di prender Marito (1894).
Paolo Mantegazza morì nel 1910, all’età di 78 anni, nella sua villa «La Serenella» a S. Terenzo
presso Lerici; dopo la sua scomparsa vennero pubblicate non meno di 239 commemorazioni, a
testimonianza della fama e della stima scientifica che seppe acquistarsi, seppur fra molte polemiche,
nel corso della sua lunga esistenza. Le sue carte, tra cui l’epistolario con l’amico di tutta la sua vita
Giovanni Omboni, sono custodite al Museo di Antropologia di Firenze da lui fondato, insieme a
buona parte della sua biblioteca. I libri non scientifici e le copie delle altre sue opere sono pervenuti
alla Biblioteca comunale di La Spezia, mentre nella Biblioteca Civica di Monza è conservato il suo
inedito e importantissimo diario, il Giornale della mia vita.
13
CAPITOLO I
IL DIARIO
1. «LA MORTE SOLTANTO POTRÀ ARRESTARE LA MANO SU QUESTE
PAGINE»
8
Da qualche tempo vagheggio il pensiero di scrivere giornalmente ciò che faccio e penso e
vedo: ma jeri avendo scorso le confessioni di Rousseau mi s’accrebbe la voglia ed oggi voglio
proprio cominciare. Se non che prima di cominciare il mio giornale voglio supplire alla lacuna
degli anni scorsi scrivendo il poco che ricordo delle mie sensazioni e de’ miei sentimenti. Ciò
che avrò soprattutto di mira sarà di dir sempre la verità, ed anzi di palesare fino quelle intime
cause di molte nostre azioni che cerchiamo di nascondere perfino a noi stessi, perché troppo
basse o colpevoli. Io credo che si possano trarre molti vantaggi dallo scrivere un tal giornale:
prima di tutto si è sempre più impegnati a operar bene onde non dover scrivere cose di cui
dobbiamo vergognarci; in secondo luogo credo che sia un dare maggior sviluppo al pensiero
nell’analizzare le cause ultime delle nostre azioni e infine è certamente un piacere potere
nell’età avanzata leggere ciò che si fece e si pensò e così vedere tutte le modificazioni per le
quali grado a grado da fanciulli siam divenuti giovani e da giovani adulti. Son così belle le
reminiscenze! e questo giornale non dev’essere tutto che una reminiscenza. Per poter poi
continuare indefessamente al mio giornale, prometto quì [sic] a me stesso di scriverne ogni
giorno per lo meno una pagina.
9
Con queste parole un Paolo Mantegazza poco più che sedicenne diede inizio nel gennaio 1848 a
ciò che sarebbe divenuta l’impresa destinata alla maggiore durata e continuità fra tutte quelle da lui
iniziate nel corso della sua lunga esistenza: la stesura del Giornale della mia vita, il diario che lo
accompagnò dal 1848 al 1910, data della sua morte, al ritmo di un volume per anno, per un totale di
62 tomi
10
.
8
P. Mantegazza, Giornale della mia vita (d’ora in avanti Giornale…), 10 agosto 1858, p. 163. Il manoscritto è
conservato nella Biblioteca Civica di Monza con segnatura MSS A 15, integralmente microfilmato.
9
Giornale…, cit., gennajo 1848, pp. 1-2; cfr. Appendice, tav. 2, p. 253. Le trascrizioni rispettano la grafia dell’originale
anche quando scorretta; in particolare, Mantegazza tralasciava sistematicamente l’uso dell’apostrofo tra l’articolo
indeterminativo femminile ed una parola iniziante per vocale.
10
In realtà i volumi dovrebbero essere 63, e difatti tale cifra è segnata di pugno di Mantegazza sul frontespizio
dell’ultimo tomo. La numerazione incisa sulla costa dei diari, però, segue una progressione continua da 1 a 62, senza
accorgersi della mancanza del tomo relativo al 1904, cioè del volume numerato dall’autore come 57°. È quindi più che
probabile che questo volume sia stato effettivamente scritto, ma che sia in seguito andato perduto prima che il
manoscritto fosse fatto rilegare dalla seconda moglie Maria Fantoni o dalla figlia di secondo letto Maria detta Pussy,
alle quali il diario era stato lasciato da Mantegazza stesso. Cfr. F. Millefiorini, Dal “Giornale della mia vita” di Paolo
Mantegazza (1831-1910): le vicende politiche del 1848, in “Il Risorgimento”, n° 2, 2000, pp. 341-342.
14
Come tutte le introduzioni che si rispettino, anche questa, tracciata con accurati caratteri da
liceale, ben diversi dalla minuta grafia che prenderà il sopravvento con il passare degli anni, espone
gli intenti che il ragazzo si proponeva al momento di iniziare una simile opera, insieme ad una sorta
di deontologia da rispettare per condurla a pieno compimento: l’impegno a dire sempre la verità e la
promessa di scrivere almeno una pagina per giorno.
Non è facile infatti tenere un diario: occorrono una decisione motivata ed una paziente costanza
per rimanere fedeli alla periodicità che ci si è imposti, e che costituisce forse l’unica regola di una
scrittura altrimenti libera da ogni cogente legge estetica o di genere letterario. «Scrittura in libertà»,
quindi: l’assenza di norme compositive stabilite permette un gioco più libero dei meccanismi della
scrittura, ma – soprattutto – questa libertà viene essenzialmente sentita dall’autore del diario come
possibilità di dire tutto secondo la forma e il ritmo che gli siano maggiormente congeniali
11
, e di
poter essere finalmente e completamente sincero, rivelando il “vero se stesso” a dispetto
dell’apparenza esterna manifestata nella vita di tutti i giorni
12
. Questo impegno di verità è un tratto
comune a molta della produzione diaristica, una sorta di «impératif superiéur» che deriva
direttamente da una delle matrici che portarono alla nascita del genere diario, e cioè, come vedremo
tra poco, la pratica cristiana dell’esame di coscienza.
Neppure Mantegazza si sottrasse ad una caratteristica che era avvertita come fondante il diario
stesso («ciò che avrò soprattutto di mira sarà di dir sempre la verità»), una sorta di patto che lo
scrittore stringeva con se medesimo promettendo di essere veritiero, «di restare fedele attraverso la
scrittura a quella che egli percepi[va] come la propria immagine autentica»
13
; anche se questo
naturalmente non comporta che ciò che il diario registra possa costituire una verità oggettiva.
Nella rivoluzione di soggetti e tematiche che a partire dagli anni ’60 ha investito lo studio della
storia con una critica alla tradizionale impostazione storiografica incentrata in maniera quasi
esclusiva sulle élites, sui detentori del potere politico ed economico, o sui grandi fatti militari e
politici
14
, una grande importanza ha assunto la ricerca concernente ciò che viene compreso sotto
l’etichetta di «vita privata»: le relazioni familiari, la gestione della sessualità e degli affetti, i riti
dell’intimità, i sentimenti e le emozioni del passato.
In questa indagine un peso sempre maggiore è stato attribuito all’utilizzazione di nuove fonti,
come ad esempio le fonti letterarie, oppure le testimonianze orali per la storia più prossima a noi,
11
B. Didier, Le journal intime, Paris, PUF, 1976, pp. 7-8.
12
A. Girard, Le journal intime, Paris, PUF, 1963, p. 499.
13
F. Fido, Specchio o messaggio? Sincerità e scrittura nei giornali intimi fra Sette e Ottocento (rileggendo Benjamin
Constant), in Le forme del diario, “Quaderni di retorica e poetica diretti da G. Folena”, Padova, Liviana editrice, 1985,
p. 73.
14
Per una panoramica storiografica cfr. P. Sorcinelli, Il quotidiano e i sentimenti. Introduzione alla storia sociale,
Milano, B. Mondadori, 1996, pp. 9-39; una bibliografia essenziale è riportata ibidem, pp. 229-239.
15
nonché tutte le «scritture del privato»: carteggi, autobiografie, memorie e diari, spesso salutati come
«veri documenti» dell’intimità. Una grande cautela deve comunque animare il ricercatore che si
trova a maneggiare questo tipo di materiali, anche quando, come nel caso del diario, non sembra
che l’autore possa avere alcun motivo per lasciare una testimonianza non veritiera, ed anzi si
premuri di sottolineare la propria intenzione di dire sempre la verità, come aveva fatto Paolo
nell’introduzione al suo Giornale.
Come mette in guardia Jacques Le Goff, «il documento non è mai innocente e può anche essere
falso. È il risultato prima di tutto di un montaggio, conscio o inconscio, della storia, dell’epoca,
della società che lo hanno prodotto, ma anche delle epoche successive nelle quali ha continuato a
vivere, magari dimenticato, nelle quali ha continuato ad essere manipolato, magari dal silenzio. Il
documento è una cosa che resta, che dura, e la testimonianza, l’insegnamento che reca devono
essere in primo luogo analizzati demistificandone il significato apparente. (…) Al limite, non esiste
un documento-verità. Ogni documento è menzogna. Sta allo storico non farsi ingannare».
15
Infatti, per quanto questo tipo di fonti possa sembrare immediato e spontaneo, «non si deve
[sic] sottovalutare né le forme di autocensura, né lo spirito di esibizionismo sotto i quali ricade
chiunque decide di affidare a delle lettere o a un diario le sue emozioni, i suoi atteggiamenti,
volendo offrire in questa maniera una testimonianza, un’immagine di sé»
16
, essendo questi
documenti comunque sempre sottoposti a delle norme «di galateo e di auto-rappresentazione dell’io
che regolano la natura della loro comunicazione e lo statuto della loro finzione».
17
La «programmatica sincerità» dei diaristi è quindi insidiosa, perché può indurre a dimenticare
che in un diario esiste sempre una parte di non detto, per quanto il suo autore creda di lasciare (e di
ritrovare nella rilettura) una vera immagine di sé. Secondo Béatrice Didier tale contraddizione
potrebbe originarsi anche dall’influenza degli imperativi appresi in famiglia durante l’infanzia: da
una parte il comando di dire sempre la verità, ma dall’altra dei «principes de décence inculqués
parallèlement» che spingono a glissare su diversi particolari della vita privata, fisica, sessuale
18
.
Leggendo il Giornale di Mantegazza, si potrebbe di primo acchito ritenere che nella sua
scrittura queste censure non abbiano operato, perché, come vedremo, vi abbonda la registrazione di
elementi e di fatti di cui normalmente si avrebbe riserbo a parlare, senza contare certe analisi
impietose dei propri difetti e delle proprie mancanze frequentissime soprattutto nei primi volumi,
che sono nettamente più freschi e spontanei rispetto a quelli redatti a partire dal soggiorno pavese
19
.
15
J. Le Goff, Storia e memoria, Torino, Einaudi, 1977, p. 454.
16
P. Sorcinelli, Il quotidiano e i sentimenti…, cit., p. 185.
17
Ph. Ariès – G. Duby, La vita privata, vol. IV, L’Ottocento, a cura di M. Perrot, Roma-Bari, Laterza, 1988, p. 6.
18
B. Didier, Le journal intime, cit., pp. 113-114.
19
Dall’autunno del 1850 fino all’inizio del 1854 Paolo abitò a Pavia per frequentarvi i corsi universitari della Facoltà di
medicina.
16
Eppure era lo stesso giovane ad accorgersi e a segnalare che il suo diario non era una riproduzione
lucida e imparziale del suo animo, quale invece lui stesso si era impegnato a stendere:
Ora mi viene in mente una cosa che mi è venuta in mente altre volte ma che non ho scritto nel
giornale, ed è che da qualche tempo non scrivo tante piccole cose quì [sic] che pur dovrei
scrivere o perché sono brutte faccenduzze del cuore umano o perché sono aspetti che ho paura a
scrivere; come se il pensarli e lo scriverli in un libro che non leggo che io non fosse la stessa
cosa. Questo dubbio o meglio questa certezza la scriverò un giorno in cui mi sentirò espansivo.
20
Un impegno di cui avvertiva tutto il valore, come risulta dall’espressione «che pur dovrei
scrivere», ma a cui non fu sempre fedele, secondo quanto dimostra una disincantata annotazione
dell’agosto 1849, che abdicava alquanto alle espressioni programmatiche dell’anno precedente:
Analisi dell’analisi dell’analisi?
E chi ha il coraggio di denudare le proprie azioni; di esporre le più piccole circostanze; le più
leggiere e passeggere modificazioni; di ripetere insomma un atto dello spirito come fu? È
coraggio raro e che forse è dannoso! Eppure se certi pensieri ponno nascere in noi potremmo
anche osare riprodurli nella loro interezza.
21
La consapevolezza di essere solo parzialmente sincero si fece più acuta l’anno successivo,
quando il suo Giornale non era più «un libro che non leggo che io», ma era diventato un mezzo di
dialogo con il suo migliore amico, Giovanni Omboni:
Quanti piccoli pensieri scriverei nel mio giornale, qualora l’Omboni non lo leggesse! aveva
ragione la mia mamma di dire alcuni anni sono che il giornale per essere in tutta la sua
estensione un ampia e completa confessione non deve esser veduto da alcuno. Ma ora recherei
troppo dispiacere al mio amico
22
.
Questa censura si stendeva soprattutto sugli avvenimenti familiari più delicati, quei «segreti di
famiglia dei quali io non son padrone neppure di rivelarli all’amico mio»
23
, e aveva incominciato ad
agire non appena in Paolo si era fatta strada l’idea di far leggere il diario ad Omboni:
nel mio giornale certi segreti intimi non verranno spiegati; perché un amico mio lo leggerà e
questi deve solo conoscere me; non gli altri dei cui segreti io non sono padrone! Ma una nota
basterà a me per ricordarmeli.
24
Mentre un discorso a parte riguarda i silenzi dovuti a stanchezza o ad agitazione
25
, talvolta altri
fatti venivano dal giovane molto più inconsapevolmente taciuti nell’intento di costruire, anche ai
20
Giornale…, cit., 10-13 giugno 1849, p. 86.
21
Ibidem, 7 agosto 1849, pp. 151-152. Un mese dopo, comunque, era ancora incerto su come regolarsi: «ora mi gira pel
capo di riportare una mia debolezza d’oggi di capriccio e di invidia; ma penso che è più male che bene, e dunque
taccio» (ibidem, 8 settembre 1849, p. 188). A volte, comunque, non era la cattiva volontà a impedire al giovane di
essere veritiero: «E qui devo fare un osservazione ed è che il mio giornale non esprime bene lo stato dell’anima mia e
specialmente tutte quelle dubbiezze che mi tormentano e nello stesso tempo mi fanno superbo, e la causa si è perché lo
scrivo alla sera quando sono stanco e quando l’anima riposata e tranquilla non ricorda più o per lo meno non sa
riprodurre le foghe intellettuali della giornata» (ibidem, 21 luglio 1848, p. 283).
22
Ibidem, 27 gennajo 1850, p. 66.
23
Ibidem, 31 dicembre 1849, p. 335.
24
Ibidem, 2 ottobre 1849, p. 215.
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suoi stessi occhi, un’immagine di sé maggiormente conforme ai propri desideri che alla realtà.
Questa operazione condizionò nel corso degli anni la stesura del diario in maniera piuttosto
costante, come traspare sia dai numerosi piani di perfezionamento che Paolo stese in questi suoi
anni giovanili, sia proprio dal modo di annotare gli avvenimenti, mettendone in risalto alcuni e
scivolando rapidamente su altri, fornendo quindi una visione di comodo dei fatti narrati che si
palesa attraverso la lettura continuativa del manoscritto.
Naturalmente è solo la voce di Paolo – non potrebbe essere altrimenti – quella che è rimasta
fissata nelle pagine del Giornale, anche quando vi erano altre persone sulla scena; un «Io» che
parlava ed agiva sia nei fatti della vita quotidiana sia nella scelta costantemente operata di registrarli
o meno, e di come registrarli, e che era ovviamente concentrata su di sé, in conseguenza del suo
spiccato egocentrismo ma anche dello statuto, per così dire, del «genere diario».
È con questa voce particolare e soggetta ai condizionamenti del momento storico, della cultura
del periodo, della propria storia personale, dei propri desideri, che dovremo continuamente
confrontarci, ricordando che «il diario non comunica più verità di qualunque altro genere di
autorappresentazione. Il diarista sembra riflettere un aspetto dell’avvenimento immediatamente
recente, si incarna in un preciso ruolo e sfigura poi, consapevolmente o inconsapevolmente, la
rappresentazione del fatto»
26
. Il diario è fondamentalmente insincero, e questo perché – malgrado si
tratti della stessa persona – si attua uno sdoppiamento tra chi scrive e chi è scritto: «le moi raconté
est tout aussi différent de l’individu “réel”, si l’on peut dir (car quel est le réel dans tout ce jeu de
masques?)», e le divergenze tra questi «io» possono essere molto notevoli
27
, facendo così in qualche
modo fallire uno degli scopi per cui questo tipo di materiale viene redatto, cioè quello della
conoscenza e della registrazione di sé.
Secondo Alain Girard, uno degli autori che si sono particolarmente occupati della scrittura
diaristica
28
, «un homme qui tient un journal obéit en réalité à un besoin que tout homme éprouve:
échapper au tourment de son insignifiance et à l’inanité de l’instant, s’insérer dans le temps, à la
recherche d’une identité et d’une unité qui lui échappent tout ensemble, occuper une position
conforme à ses aspirations et reconnue par les autres. Sur ce thème esistentiel, chacun, selon son
25
Ad esempio, al termine della prima delle Cinque giornate di Milano Paolo registrò gli avvenimenti a cui aveva
assistito, concludendo: «Sono troppo agitato per scrivere di più» (Giornale…, cit., 18 marzo 1848, p. 129).
26
M. Hager, Il dialogo con il lettore. Le autoanalisi di André Gide e la lettura del suo diario, in Le forme del diario,
cit., pp. 100-101.
27
B. Didier, Le journal intime, cit., p. 116; p. 119.
28
Per quanto riguarda lo studio della fonte diaristica, oltre ai lavori di A. Girard e B. Didier già citati in queste note
occorre ricordare M. Leleu, Les journaux intimes, Paris, PUF, 1952; J. Rousset, Le journal intime, texte sans
destinataire?, in “Poetique”, n° 56, 1983, pp. 435-443; Ph. Lejeune, Cher cahier. Témoignages sur le journal
personnel, Paris, Gallimard, 1989; e per la produzione italiana la raccolta di articoli Le forme del diario, cit. Come si
può notare è la Francia ad essere più attiva nelle ricerche in questo campo, stante anche il gran numero di journaux
intimes ottocenteschi (Maine de Biran, Constant, Stendhal, Amiel, Gide) che sono stati pubblicati e studiati.
18
caractère, brode les variations qui lui sont propres»
29
. Tali motivazioni però non bastano a spiegare
perché si scrive, e a mostrare a quali esperienze e bisogni risponda questo esercizio.
Una delle prime e più evidenti ragioni è il desiderio di lasciare una relazione scritta
dell’impiego delle proprie giornate, delle conversazioni con gli amici, dei fatti memorabili come dei
più banali: il tempo trascritto su un foglio bianco sembra meno irrimediabilmente perduto, grazie ad
una scrittura che tra la variabilità degli istanti desidera salvare un «capitale fondamentale»: l’«io»
30
.
Fissare il turbine degli avvenimenti, donarsi un contorno, una forma, diventa così un sistema di
difesa che permette allo scrittore di esorcizzare il timore di svanire
31
.
Ciò che però spinse il giovane Mantegazza ad intraprendere la stesura del suo Giornale è
quanto Girard definisce la «funzione etica» del diario, cioè la possibilità di compiere attraverso di
esso «un esame di coscienza, destinato ad ottenere da sé il meglio», da parte di autori che si
osservano non tanto per conoscersi, quanto per «farsi»
32
, come lo stesso giovane aveva messo in
luce nella sua pagina programmatica:
prima di tutto si è sempre più impegnati a operar bene onde non dover scrivere cose di cui
dobbiamo vergognarci; in secondo luogo credo che sia un dare maggior sviluppo al pensiero
nell’analizzare le cause ultime delle nostre azioni
33
;
ed anche poco dopo, al momento di iniziare a stendere giorno per giorno il Giornale de’ miei
pensieri e delle mie azioni (tale è l’intestazione in capo al mese di febbraio 1848), Paolo ribadiva:
Quest’oggi ho pensato che lo scrivere giornalmente dei fatti assai poco importanti è cosa
monotona e che anche mi può giovar poco; ho pensato perciò di scrivere specialmente i miei
pensieri.
34
La scrittura era per lui un mezzo essenziale di riflessione, come osservava qualche anno più
tardi:
Io già scrivo come al solito currenti calamo e con poche cancellature; e osservo anche che più
volte traccio sulla carta chiari e diffusi dei pensieri che aveva appena abbozzati e confusi nella
mente. Io so ragionare bene e a lungo sia parlando, sia scrivendo, ma non ho tanta vigoria
d’intelletto da poter meditare senza la carta e senza la penna.
35
Certo, non era sempre facile per un giovane di sedici, diciassette anni, mantenere costante
questa tensione analitica, questo sguardo severo su se stesso. Benché talvolta Paolo annotasse le
proprie riflessioni sugli avvenimenti, sugli amici, sulla scuola, sui suoi progetti per il futuro, pure
non ne era sempre soddisfatto, e si chiedeva:
29
A. Girard, Le journal intime, cit., p. 131.
30
B. Didier, Le journal intime, cit., p. 18; p. 54.
31
A. Girard, Le journal intime, cit., pp. 527-531.
32
Ibidem, pp. 533-535.
33
Giornale…, cit., gennajo 1848, pp. 1-2.
34
Ibidem, 1 febbrajo 1848, p. 65.
35
Ibidem, 5 luglio 1852, p. 354.
19
Quand’è che comincierò a far del giornale non una periodica ricognizione di fatti indifferenti;
ma ad esporre una minuta analisi di alcuno almeno dei pensieri della giornata? Sotto questo
secondo punto di vista il giornale sarebbe infinitamente utile.
36
In poche altre tipologie di scrittura come nei diari abbondano in effetti così tante riflessioni
interne, dichiarazioni d’intenti e ipotesi di lavoro, dimostrando quanto sia avvertito il bisogno di
trovare una giustificazione ad una attività che sembra non averne e costituire piuttosto una
sottrazione di tempo ed energie ad altre occupazioni. Il diario tende quindi a ribadire la propria
necessità sottolineando l’utilità di questa pratica scrittoria
37
:
Taccio molte cose e ciò va male, perché invece di registrare i fatti, dovrei registrare le
modificazioni più sensibili della mente e del cuore; che questo è lo scopo e l’utilità del
giornale.
38
La progressiva complicazione della struttura del Giornale che analizzeremo tra poco derivò
proprio dalla volontà di Paolo di non tralasciare nessuna delle minute modificazioni che avvenivano
in lui ed intorno a lui nell’arco della giornata, ma anche di riservarsi uno spazio per l’analisi di ciò
che più lo interessava, e soprattutto di servirsene come di un valido aiuto per il perfezionamento
individuale. Il fermare un proposito sui fogli bianchi del diario diventava per il giovane il punto di
partenza per tentare di liberarsi da un difetto, da un vizio, oppure per proporsi un obbiettivo da
realizzare:
Onde il giornale mi sia d’utilità; pensai di riflettere ai miei difetti e di scriverli sul giornale e
di cercare d’emendarmene uno per volta: il primo sarà:
Di non andare al caffè che per leggere i giornali e di non bevervi mai cosa spiritosa.
39
Pensai che un altro scopo al quale potrei dirigere ora la mia forza volitiva onde perfezionarmi
sempre più sarebbe quella di mettere in pratica la teoria del mio caro Medici; di compatire cioè
tutti e di perdonare a tutti.
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Lo sento nel fondo del cuore; ho terminata quella vita oziosa e scioperata a cui mi era
abbandonato riposandomi sopra fatiche non ancora compiute. Domani incomincierò a contare il
primo giorno di un età nuovissima dedicata tutta allo studio e al perfezionamento di me stesso.
Lo sento profondamente, queste parole non saranno state iscritte invano. (…) A rivederci a
domani. Amen!!! Always forwards!!!
41
36
Giornale..., cit., 6 agosto 1849, p. 151.
37
G. Baldassarri, Fra ypomnémata e soliloquium: usi e ri-uso del diario individuale, in Le forme del diario, cit., p. 30.
38
Giornale…, cit., 21 giugno 1849, p. 96.
39
Ibidem, 1-4 aprile 1849, p. 38.
40
Ibidem, 8 dicembre 1849, p. 291. Segue infatti, messa in evidenza da una riquadratura e dall’uso di caratteri “diritti”
(Paolo aveva invece una calligrafia assai inclinata), l’iscrizione «II Scopo di perfezionamento/Compatimento e
perdono/di tutte le umane miserie».
41
Ibidem, 22 luglio 1852, p. 372. Per quanto Paolo fosse «venuto a negare la divinità della religione cristiana» (ibidem,
21 luglio 1848, p. 283), ricorrevano talvolta nella sua scrittura espressioni liturgiche, spesso affiancate da giuramenti o
motti che il ragazzo si creava come secondo una propria personale religione. «Always forwards» (sempre avanti) fu
forse il motto a lui più caro: «Mi ricordo che partendo da Milano scrissi sulla lavagna di Omboni le due parole always
forwards? dicendo che non le cancellasse; giacché sarei stato felice ritornando di poter scrivere sotto Yes. Quelle due