IV
Pietro Germi contribuisce ad inventare, e poi alimenta, orienta e sostiene il
filone della commedia all’italiana con quattro film, prodotti tra il 1961 e il 1966:
Divorzio all’italiana (1961), Sedotta e Abbandonata (1963), Signore e Signori
(1965) , L’immorale (1966).
Per il regista si tratta del distacco definitivo dalla scuola neorealista, di cui era
stato stimato interprete, e dell’ingresso in un cinema diverso, quello del comico
e della commedia, un cinema che alla denuncia drammatica sostituisce l’affresco
satirico, all’impegno tradizionale l’osservazione divertita e catartica.
Una corrente certamente più popolare, a cui non mancò mai il favore delle
platee, ma sensibilmente meno apprezzata dai critici contemporanei, che si
ostinarono a leggere nei film della serie una volgare concessione all’industria,
un tradimento etico e una svolta esteticamente frivola.
Quella stessa corrente riscoperta dalle riviste di settore soltanto negli ultimi anni
e considerata esperienza decisiva per la storia del cinema italiano.
Il lavoro qui presentato, ovviando ad una sterile e inadeguata schematizzazione
per singoli film, si dipana seguendo i principali nodi tematici toccati dalla
ricezione critica nel corso degli ultimi decenni.
La prima parte è dedicata proprio alle analisi riguardanti il legame tra le
pellicole in esame e il vasto movimento artistico della commedia all’italiana; si
tratta, dunque, di una sezione che prende in esame le connessione tra i film di
Germi e la storia del cinema tout court.
Si analizzano, attraverso recensioni e giudizi raccolti sui quattro film in esame,
forme tipiche dell’attinente produzione del periodo, le nuove funzioni sociali
riconosciute al filone, il riscontro nelle sale e gli innovativi codici linguistici
delle commedie del regista ligure.
Una sezione che ospita considerazioni diverse e contrastanti, dati e riflessioni
entusiaste o sprezzanti, comunque spesso diametralmente opposte; voci che,
partendo ciascuna da un diverso presupposto morale e da un preciso riferimento
V
culturale, vanno a comporre un articolato dialogo sulla natura e lo sviluppo del
cinema italiano, sui suoi pregi e sugli errori commessi.
Un confronto che ancora procede serrato.
Successivamente, nel blocco centrale dell’elaborato, si procede ad una
progressiva focalizzazione sull’opera di Germi.
Viene raccolta e esaminata quella ricezione critica che mira direttamente allo
sguardo dell’autore, studiandone stile e linguaggio. Sono qui analizzati gli
aspetti ricorrenti delle sue opere: il sottile accento satirico che ne caratterizza il
tono, la ricercata e perentoria connotazione morale del suo racconto, il talento da
regista e la riconosciuta abilità tecnica.
In particolare le critiche si spingono ad esplorare la rappresentazione
parodistica, compiuta dall’autore, di alcuni dei fondamenti della società di
quegli anni, l’attacco alle ipocrisie delle istituzioni e l’ambigua difesa oltranzista
di valori in controtendenza.
Sono questi gli ambiti in cui più si evidenzia la cesura netta tra le valutazioni
contemporanee e quelle postume; tutte insieme vanno a produrre un ritratto
incerto dell’artista, anche questo costruito per sovrapposizione di commenti
discordanti e posizioni conflittuali, un profilo al contempo dettagliatissimo e
sfocato.
L’ultima parte è quella che, certamente, detiene il maggior numero di legami
con la Storia italiana e raccoglie principalmente quella parte della critica rivolta
ai presupposti culturali ed ideologici delle opere Pietro Germi.
I quattro film in esame, prodotti durante un periodo di radicale trasformazione
della società italiana, furono motivo di scandalo e di aspro dibattito all’epoca ed,
oggi, di riflessione storica.
Gli scontri ideologici si svolsero essenzialmente su due fronti.
Il primo è quello della critica marxista, ove a lungo si è combattuto sui concetti
di realismo e impegno: Germi, fiero socialdemocratico e quindi, in quel periodo,
VI
voce fuori dal coro, venne ferocemente accusato dagli addetti ai lavori vicini al
mondo comunista di aver tradito, con il passaggio alla commedia, la causa del
popolo e l’impegno civile neorealista.
Una polemica che durerà a lungo ma che, nel corso degli anni, vedrà mutare
lentamente il rapporto tra deformazione satirica e realismo ortodosso.
L’altro terreno di scontro sarà invece l’universo cattolico.
Pietro Germi sarà inizialmente bollato come artista iconoclasta, considerato
grave minaccia per istituzioni ecclesiali e famiglia; poi radicalmente rivalutato
dalla Chiesa stessa, per la sua intransigenza conservatrice specialmente in
campo morale.
Per quasi mezzo secolo, dunque, Germi è stato regista popolare e discusso.
Dapprima bistrattato ferocemente, quando i più accessi ammiratori di ieri gli
voltarono le spalle delusi; poi riavvicinato con curiosità da coloro che, in altri
tempi, gli si rivolgevano con sospetto; infine celebrato unanimamente come
maestro da un mondo, quello del cinema, che nei suoi confronti alternerà a
lungo sbilanciamenti passionali e cauti retrofront.
Una critica che ha sempre tentato, con prolungata e vana fatica, di inglobare la
figura di questo artista nelle sue tradizionali categorie concettuali, e incapace
probabilmente, di coglierne l’autentica singolarità.
L’esiguo spazio di cui il progetto teorico dispone non consente certamente
rassegne approfondite ed eterogenee di ciascuna delle posizioni critiche che, nel
corso degli anni, hanno contribuito alla ricezione complessiva dei film di Germi.
Né la ricerca, nell’indicare tutti i possibili fattori produttivi, sociologici, artistici,
delle opere in esame, è stata animata da ambizioni di piena esaustività e
completezza.
Quel che si propone in queste pagine è esclusivamente un viaggio tra le pieghe
di una controversa vicenda artistica.
VII
Un cammino il più possibile ricco e stimolante, ma fatto anche di inevitabili
scelte obbligate, necessari percorsi preferenziali e, dunque, con tutte le sue
costose rinunce.
Un itinerario attraverso il tempo che è, in qualche modo, anche spostamento
lungo le principali linee guida del cinema italiano e le relative trasformazioni, le
sue nascite e scomparse. Con, sullo sfondo, oltre quattro decenni di Storia.
Un percorso, in ogni caso, accidentato e ancora oggi poco battuto.
1
«Io sono convinto che quando uno di noi se ne va,
dopo pochi giorni, è come se fosse sparito,
dimenticato. Tu muori. E chi ti ricorda più?
Chi sa più nulla di te?
Chi ha più in mente le cose che hai fatto?»
*
«Credo che, al cinema, bisogna divertire;
che non significa soltanto far ridere,
ma far ridere, o far piangere , o emozionare,
o tenere sospesi col fiato in gola[…]
Io ho sempre provato a divertire
e quando non ci sono riuscito
l’ ho sentito dentro di me come un rimorso»
**
*
Dichiarazione di Pietro Germi in: L. Garibaldi, D. G. Martini, Germi: il fiele in bocca, in
Corriere Mercantile, 6/12/1974, pp. 31
**
Dichiarazione di Pietro Germi in: A. Aprà, A. Armenzoni, P. Pistagnesca, Pietro Germi.
Ritratto di un regista all’antica, Pratiche Editrice, 1988, Parma, pp. 44-45
2
La commedia all’italiana: anatema e rinascita
1.1 - L’epoca della commedia: una querelle all’italiana
Quando nel dicembre del 1961 esce nelle sale Divorzio all’italiana di Pietro
Germi ancora non si è fatta largo, nell’opinione pubblica e tra la critica
cinematografica, l’idea di quel rivoluzionario filone di film che
caratterizzerà un’intera stagione del cinema italiano e di cui la pellicola di
Germi verrà considerata esempio fondamentale.
Sarà in realtà proprio il titolo di quest’opera a ispirare la definizione di un
fenomeno senza precedenti di comunicazione e reciproca influenza tra
società a cinema.
In Italia, il termine commedia all’italiana divenne, ben presto, unica
denominazione di tutto una serie di film “comici” prodotti a partire dalla
prima metà degli anni ‘60 e, all’estero, contribuirà a diffondere per sempre
un’accezione al tempo stesso di scaltrezza e doppiezza, quell’”italian style”
oggi etichetta onnipresente.
Una formula apparsa inizialmente su alcune riviste specializzate ma che si
diffonde celermente anche tra il pubblico delle sale, andando ad indicare un
modo “negativo” di fare cinema, un’accezione spregiativa per una corrente
cinematografica bollata inizialmente quale semplice operazione
commerciale.
3
Ma se ai commentatori dell’epoca le opere in questione si offrivano sotto
forma di velleitarismo, concessioni al mercato, caduta di gusto, nel corso
degli anni la categoria artistica verrà radicalmente rivalutata, fino ad
assurgere a periodo d’oro della cinematografia italiana e momento di
inaudita e irraggiungibile prolificità artistica.
Ripercorrendo il movimento della ricezione critica dei film di Pietro Germi
ascrivibili alla corrente, è possibile di fatto rintracciare tutte le traiettorie
seguite, dagli esperti e dalle platee, nella problematica trattazione di una
produzione da sempre al centro di aspri conflitti e ripetute incomprensioni.
- Il bozzettismo –
Dalla lettura delle recensioni, degli articoli e dei saggi di quegli anni, emerge
chiaramente, quale nodo cruciale del dibattito critico nato attorno allo
sviluppo della commedia all’italiana, il concetto di bozzettismo.
Termine che esprime la svalutazione e la riprovazione della critica per una
serie di film considerati infimi prodotti di esasperazioni naturalistiche e
descrittive entro cui si sfarinava lo “spirito del neorealismo”.
I lavori di Germi, a partire da Divorzio all’Italiana (1961), ma poi
successivamente con Sedotta e Abbandonata (1963), Signore & Signori
(1965) e L’immorale (1966), furono eletti tra i simboli di un cinema
essenzialmente qualunquista e superficiale.
Un cinema che, smarrite le capacità di rappresentazione e denuncia proprie
della poetica neorealista, si limitava al mero intrattenimento e, attraverso la
sovrapposizione di macchiette e stereotipi, alla sciocca istigazione alla risata.
Ai quattro lavori di Pietro Germi verranno a questo proposito mosse, da una
parte consistente della critica, le stesse accuse condivise dagli altri esponenti
del genere.