Con riferimento poi alle categorie di giovani occupati: occorre creare
un sistema di comunicazione di massima trasparenza ed efficacia, per far
riflettere loro sulla scarsa entità delle prestazioni promesse dal I Pilastro.
Soltanto con la consapevolezza e collaborazione dei lavoratori si
potranno assicurare i livelli di copertura previdenziale da tutti auspicati o
meglio livelli che ciascuno sceglierà secondo una libera valutazione
personale, presa nel contesto di una configurazione realistica del futuro.
Funzionale a tale obiettivo è il miglioramento di “strumentazione” in
grado di favorire il risparmio previdenziale.
Argomento del II capitolo è stato il quadro della previdenza
complementare in termini quantitativi.
Da esso, sulla base delle indicazioni della COVIP, si è evinto che il
2004 è stato ancora un anno di attesa, soprattutto per le Forme collettive.
Più sostenuta, anche se in rallentamento rispetto al 2003, è invece la
crescita dei PIP.
Alla fine del 2003 i fondi pensione negoziali risultano esser 42 e
contano oltre un milione di iscritti. il tasso di crescita delle adesioni è stato
del 2% nell’ultimo anno. La quasi totalità di essi ha raggiunto la fase
operativa.
Si è confermata la diffusione della struttura multicomparto.
I fondi pensione aperti autorizzati hanno raggiunto quota 92 e gli
iscritti sono stati circa 380.000 (+5% rispetto al 2003), di cui l’87%
rappresentato da lavoratori autonomi
I fondi pensione preesistenti sono in totale 628, compresi quelli
relativi alle forme pensionistiche interne a banche e compagnie di
assicurazione, e contano circa 660.000 iscritti.
2
Per questo tipo di fondi le risorse destinate alle prestazioni si
avvicinano a 30,5 miliardi di euro.
Nel 2004 è continuata la diffusione delle polizze di assicurazione
sulla vita con contenuto previdenziale (PIP): i contratti stipulati sono circa
685.000, in crescita del 23% rispetto al 2003.
La situazione non cambia nel primo semestre del 2005, la crescita del
numero di aderenti ai fondi di nuova istituzione rimane sempre troppo
bassa.
Ciò probabilmente è anche dovuto all’incertezza che la legge delega
si sta trascinando.
Basti pensare che la scadenza per rendere operativa la riforma della
previdenza è fissata per il 6 ottobre del 2005 e che attualmente un’intesa sul
TFR resta molto lontana anche perché continuano a rimanere irrisolte due
punti fondamentali della riforma: il ruolo che i fondi pensioni chiusi e le
polizze assicurative dovranno assumere, e le compensazioni da garantire
alle imprese.
La legge delega 243/2004 si è posta i seguenti obiettivi:
liberalizzazione dell’età pensionabile; eliminazione progressiva del divieto
di cumulo tra pensioni e redditi da lavoro; sviluppo di forme pensionistiche
complementari; revisione del principio della totalizzazione dei periodi
assicurativi.
Per quanto riguarda il punto dello sviluppo della previdenza
complementare, occorre aggiungere che esso verrà perseguito attraverso: il
conferimento del trattamento di fine rapporto maturando alle forme
pensionistiche complementari; l'individuazione di modalità tacite di
conferimento del Tfr ai fondi e la possibilità che, qualora il lavoratore abbia
diritto a un contributo del datore di lavoro da destinare alla previdenza
3
complementare, detto contributo affluisca alla forma pensionistica prescelta
dal lavoratore; l'eliminazione degli ostacoli che si frappongono alla libera
adesione e circolazione dei lavoratori all'interno del sistema di previdenza
complementare; che la contribuzione volontaria possa proseguire anche
oltre i cinque anni dal raggiungimento del limite dell'età pensionabile; che i
fondi pensione possano dotarsi di linee di investimento tali da garantire
rendimenti comparabili al tasso di rivalutazione del Tfr il perfezionare
l'unitarietà e l'omogeneità del sistema di vigilanza ; l’aumentare la
trasparenza e la comparabilità dei costi; il ridefinire la disciplina fiscale
della previdenza complementare; l’identificare le compensazioni necessarie
alle imprese per il venir meno del Tfr come fonte di finanziamento a basso
costo.
Infine nel III ed ultimo capitolo si è dato ampio spazio all’analisi
delle differenze strutturali e giuridiche esistenti tra le forme di previdenza,
evidenziando quanto sia difficile poter pensare di equipararle soprattutto in
un’ottica di attuazione della delega previdenziale.
La legge delega al comma 2 lettera e, afferma che l’equiparazione
delle diverse forme pensionistiche complementari, dovrà avvenire
attraverso:
1. la definizione di regole comuni per la comparabilità dei costi, la
trasparenza e la portabilità per favorire la libera adesione e
circolazione dei lavoratori alle forme di previdenza complementare;
2. la rimozione dei vincoli posti all’adesione collettiva ai fondi aperti e
adozione di misure finalizzate a favorire le adesioni in forma
collettiva ai fondi aperti;
3. il riconoscimento, al lavoratore dipendente che decide di trasferirsi
volontariamente da una forma pensionistica all’altra, del diritto al
4
trasferimento del contributo del datore di lavoro in precedenza
goduto e delle quote del Tfr.
L’aumento delle scelte per il lavoratore potrebbe portare ad un
incremento della concorrenza nel mercato della previdenza integrativa, con
un conseguente effetto positivo per quanto riguarda il prezzo e la qualità
dei prodotti offerti.
Affinché però, tali effetti possano andare a vantaggio dei lavoratori,
è necessario che le regole previste consentano una sostanziale e non solo
formale equiparazione dei diversi strumenti previdenziali.
Attualmente sussiste una significativa differenza di costi tra le
diverse forme di previdenza integrativa.
Basta infatti pensare ai dati che emergono dalla relazione COVIP per
l’anno 2004.
Mentre i fondi negoziali presentano commissioni totali che in media
incidono per lo 0,5% sul patrimonio di fine esercizio e in genere non
superano l'1%, per i fondi aperti i costi complessivi annuali medi sono pari
all'1,8% per un periodo di permanenza dell'iscritto di 3 anni, dell'1,4% per
10 anni e dell'1,3% per 35 anni, mentre per i PIP i costi medi annuali
raggiungono l'8% in caso di permanenza per 3 anni e si riducono al 2,2%
solo dopo 35 anni.
Inoltre i PIP comportano costi particolarmente elevati per periodi
brevi di permanenza, a causa della prassi diffusa dei cosiddetti "caricamenti
precontati", consistente nel caricare sul primo premio pagato i costi di
collocamento della polizza.
Ancora, i PIP offerti dalle diverse imprese hanno una struttura di
costo molto differenziata.
5
Ciò a causa del fatto che non sono ancora stati interessati da
interventi di standardizzazione.
In ultimo c’è il problema della duplicazione delle commissioni di
gestione, elemento che incrementa il costo complessivo per l'utente, tanto
più quanto più è ampia la quota di portafoglio investita in OICR.
Recentemente l’ISVAP ha emanato la circolare 551 in materia di
trasparenza delle polizze.
Con essa ha cercato di ridurre il su citato problema dei costi
precontati e delle duplicazioni dei costi derivanti da investimenti in OICR,
ma ciò non ha ridotto la complessità dei PIP sia in termini assoluti sia
rispetto alle altre forme previdenziali.
Inoltre l'Isvap non è intervenuto sulla questione dei costi medi
complessivi dei PIP sistematicamente superiori a quelli delle altre forme
previdenziali.
Ultimo argomento trattato nel presente lavoro, è stato quello della
vigilanza.
Dopo aver in breve analizzato i compiti che la COVIP svolgeva
prima dell’ entrata in vigore della nuova legge previdenziale, si è passato a
illustrare le novità che quest’ultima ha apportato in tema di vigilanza.
Gli interessi in gioco sono molteplici, tutte le Authorities coinvolte
vorrebbero poter aver poteri maggiori e non vedono di certo di buon occhio
una sovrapposizione di poteri ed ancor meno una diminuzione dei loro
compiti.
Sembra che ad averne la meglio sarà la COVIP
La legge delega 243/2004 prevede, all’articolo 1, comma 2, lettera
h), un perfezionamento del sistema di vigilanza in base al quale al
Ministero del lavoro e delle politiche sociali, resta affidata l’attività di alta
6
vigilanza mediante l’adozione di direttive generali in materia di previdenza
complementare.
Oltre ai suoi compiti attuali si attribuisce alla COVIP il compito di
impartire disposizioni per consentire che tutti gli strumenti previdenziali
previsti dal decreto legislativo n. 124/1993, ivi compresi i contratti di
assicurazione con finalità previdenziali di cui all’articolo 9-ter del decreto
medesimo, garantiscano condizioni contrattuali trasparenti.
Sempre in delega (art. 1, comma 2, lettera h), punto 2) alla COVIP si
attribuisce inoltre il compito di “disciplinare e di vigilare sulle modalità di
offerta al pubblico di tutti gli strumenti previdenziali, compatibilmente con
le disposizioni per la sollecitazione del pubblico risparmio, al fine di
tutelare l'adesione consapevole dei soggetti destinatari”.
Nell’ultima versione del DDL Risparmio, approvato dalla Camera
dei deputati in data 3 marzo 2005, è stata modificata la legge del 23 agosto
2004.
In particolare, l’art 24, comma 5 del DDL su citato, dispone che
“All’art.1, comma 2, lettera h) della legge 23 agosto 2004, n. 243 sono
apportate le seguenti modificazioni:…. b) il numero 2) è abrogato.”
Il tema della vigilanza, come peraltro quello dell’equiparazione e del
TFR, è stato ed è al centro di un ampio dibattito tra governo e parti sociali
le quali dichiarano che in un sistema basato sulla libera scelta del
lavoratore fra diverse opzioni è fondamentale definire regole comuni per
tutti i soggetti in campo, così da non alterare la concorrenza e da garantire
allo stesso tempo i lavoratori.
Sempre le parti sociali sollecitano con forza il Ministero del lavoro e
delle politiche sociali ad emanare, contestualmente agli altri provvedimenti
delegati, specifici provvedimenti affinché l’insieme del sistema di
7
previdenza complementare sia riportato sotto il controllo della COVIP,
Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione.
Il luglio scorso è stato dato il via libera all'ampliamento dei compiti e
al rafforzamento della vigilanza della Covip in materia di previdenza
complementare attraverso l'articolo 19 dello schema di decreto legislativo
sul Tfr.
A conclusione si effettua una breve valutazione sulla bozza del T.U.
in materia di previdenza complementare che, nel momento in cui scrive, si
trova ancora in fase di definizione.
Dall’ analisi del Testo del 28/06/2005 emerge, con riferimento ai
PIP:
1. il TFR, in caso di scelta esplicita, può affluire insieme ai contributi
del datore di lavoro, anche a questi.
2. una vigilanza affidata alla COVIP per quanto riguardo i tratti di
trasparenza
3. l’introduzione della figura del responsabile del fondo per ciascuna
forma pensionistica complementare, quindi anche per le forme
pensionistiche individuali.
8
CAPITOLO I
Il mercato della previdenza complementare in Italia
1. Il perché della crisi del sistema pensionistico pubblico
Fino a pochi anni fa, il sistema previdenziale pubblico basato sulla
ripartizione, ha garantito elevati livelli di prestazioni pensionistiche.
Oggi però è entrato in crisi a seguito di una serie di eventi:
• Andamento demografico
L’Italia, come del resto tutti i paesi sviluppati, a causa della bassa fecondità
e dell’aumento della speranza di vita, sta attraversando un processo di
invecchiamento della popolazione.
Basti pensare che al 1° gennaio 2004 l’indice di vecchiaia (il
rapporto percentuale tra la popolazione anziana con 65 anni e oltre e la
popolazione di età compresa tra 0 e 14 anni) è arrivato al valore del 135,4%
contro il 133,8% registratosi nel gennaio 2003
1
.
La Ragioneria dello Stato prevede che nel 2025, per effetto di una
crescita esorbitante delle persone in età superiore ai 65 anni (+17,9%) e
della diminuzione dei giovani (-23%), vi sarà il sorpasso dei pensionati
sugli occupati
2
.
Tale fenomeno ha notevoli riflessi economici e sociali: crescendo
infatti il numero degli anziani aumenta anche la domanda concernente i
1
Fonte: annuario statistico italiano 2004
2
Oskar Peterlini: “Le nuove pensioni. Esperienze e strategie per uscire dalla crisi
previdenziale”. Franco Angeli 2003.
9
servizi sociali e più precisamente quella relativa al settore sanitario e
previdenziale.
Ciò comporta un aumento della spesa sociale per gli anziani a fronte
di una scarsità delle risorse finanziarie necessarie.
A comprova, basta analizzare il rapporto fra spesa pensionistica e
PIL. In particolare, se in assenza di riforme esso avrebbe probabilmente
superato il 23%, le nuove stime prevedono che, da qui al 2030, la spesa per
le pensioni rispetto al PIL aumenterà di circa il 2% per poi diminuire
nuovamente e tornare nel2050 a valori simili a quello attuale, intorno al
14%
3
.
Occorre sottolineare che, nel regime a ripartizione, le pensioni
derivano direttamente dai contributi versati dai lavoratori in un dato
momento.
A parità di altri indicatori quindi, se il numero dei lavoratori
diminuisce rispetto al numero dei pensionati, è necessario diminuire le
prestazioni pensionistiche.
Per evitare questa diminuzione si possono intraprendere diverse
strade: la prima è un aumento del numero degli occupati, ovvero diminuire
il tasso di disoccupazione per fare si che più lavoratori contribuiscano.
La seconda consiste nell’aumento delle aliquote contributive a carico
del singolo lavoratore (eventualmente dividendo questo maggiore aggravio
con il datore di lavoro).
Un’altra possibilità consiste nell’intervento dello stato che integra i
contributi dei lavoratori.
Altri interventi possono contribuire a sminuire il problema
demografico. Ad esempio un aumento dei flussi di immigrazione
3
Rapporto annuale sullo stato sociale, INPDAP 2001
10
permetterebbe di supplire in parte all’invecchiamento della forza lavoro
italiana.
Anche il miglioramento delle tutele e delle politiche per le pari
opportunità permetterebbe di combattere il problema demografico, con un
doppio effetto: in primo luogo oggi molte donne sono costrette ad uscire
dal mondo del lavoro al momento della nascita del primo figlio per la
mancanza di strutture adeguate, a partire dagli asili nido.
Una maggiore partecipazione delle donne al mondo del lavoro
andrebbe quindi ad aumentare il tasso di occupazione ed i contributi
disponibili per pagare le pensioni.
In secondo luogo queste maggiori tutele potrebbero ripercuotersi
positivamente anche sul tasso di natalità, che in Italia è tra i più bassi al
mondo, se non il più basso in assoluto.
4
• Abbassamento del tasso di sviluppo economico
Ciò ha comportato un notevole calo della forza lavoro occupata.
Nel regime a ripartizione il capitale disponibile in ogni istante per
pagare le pensioni è pari al numero dei lavoratori per il contributo versato.
Questo significa che meno lavoratori devono mantenere sempre più
pensionati.
Un alto tasso di disoccupazione comporta un incremento delle entrate
contributive molto inferiore a quello delle uscite per erogazioni
previdenziali.
• Estensione della copertura previdenziale INPS a categorie di
lavoratori, quali artigiani,coltivatori diretti, commercianti, ecc., che fino a
pochi anni fa hanno versato contributi ridottissimi.
5
4
Oskar Peterlini: “Le nuove pensioni. Esperienze e strategie per uscire dalla crisi
previdenziale”. Franco Angeli 2003
11
Il problema della pensione diventa quindi attuale, e non tanto per gli
anziani, ma soprattutto per le categorie più giovani.
Vi è l’urgenza di integrare la futura pensione pubblica con le forme
di previdenza privata.
Ecco il motivo della serie di riforme resesi necessarie dagli anni
novanta fino ad oggi che hanno notevolmente modificato l'intero sistema
previdenziale italiano.
2. Quadro normativo della previdenza complementare
Il ruolo che la previdenza complementare doveva svolgere nel
sistema previdenziale, è stato al centro di un fervido dibattito in sede
dottrinale e giurisprudenziale.
Si è discusso sulla sua riconducibilità tra le forme di previdenza
privata, di cui l’art. 38, ultimo comma, Costituzione che ne riconosce la
libertà, o tra quelle della previdenza pubblica di base di cui all’art. 38,
comma 2°, Costituzione, che riconosce al lavoratore il diritto a che siano
preveduti ed assicurati “mezzi adeguati alle esigenze di vita” in caso di
vecchiaia, invalidità, infortunio e malattia
6
, prevedendo esplicitamente, a
comma 4, l’intervento di organi e istituti predisposti o integrati dallo Stato.
5
Sito internet: http://salvadanaio.economia.virgilio.it anno 2003.
6
Persiani, Diritto della previdenza sociale, 2002
12
Una prima interpretazione opera una netta separazione tra la
previdenza pubblica fondata sui primi 4 commi dell’art 38 Cost., e la
previdenza privata, identificando la previdenza complementare nell’ambito
di quest’ultima e dunque con il comma 5 dell’art 38 Cost.
Il confine tra la previdenza pubblica e quella privata, secondo tale
dottrina, è segnato dalla realizzazione degli interessi pubblici presenti nella
prima, che sanciscono il diritto dei lavoratori a che, in caso di bisogno,
siano preveduti e assicurati, mediante il ricorso alla solidarietà generale,
mezzi adeguati alle esigenze di vita.
Soddisfatto quell’interesse, il resto è lasciato alla previdenza
complementare funzionalizzata al solo perseguimento di interessi privati
riguardanti il mantenimento del tenore di vita raggiunto in età lavorativa
7
e
quindi non collocabile nei comma 2° e 4° dell’art. 38 Cost.
Una seconda posizione dottrinale colloca la previdenza
complementare nel sistema pensionistico generale, in quanto integra il
trattamento pensionistico di base, svolgendo una funzione sociale con
rilevanza costituzionale, ed assolvendo, a determinate condizioni, alla
tutela dei lavoratori rispetto a bisogni ritenuti socialmente rilevanti
8
.
In questa prospettiva, quindi, “l’area della previdenza pensionistica
complementare risponde alla medesima tipologia di eventi protetti della
previdenza pensionistica di base”
9
, evidenziandosi così tra le due
l’esistenza di una identità di funzione, perché diretta ad integrare la
7
Persiani, Relazione al convegno A.I.D.L.A.S.S. su Previdenza pubblica e privata, maggio 2000
8
Olivelli, La Costituzione e la sicurezza sociale, 1988
9
Sandulli, Riforma pensionistica e previdenza integrativa, in Dir. Lav. Rel. Ind., 1991, pag 201
e ss.
13
prestazione adeguata, e distinguendosi in ragione della diversa intensità di
tutela
10
e della forma giuridica.
Questa seconda interpretazione risponde maggiormente alla nuova
configurazione del sistema previdenziale assunta a seguito degli interventi
normativi introdotti nel corso degli anni ’90 in tema di previdenza sia di
base sia complementare.
La riforma del sistema previdenziale è iniziata con la legge 421 del
‘92 in attuazione della quale è stato emanato il d.lgs. n. 124 del 21 aprile
1993.
I più significativi aspetti di tale intervento hanno riguardato:
l’innalzamento dei requisiti anagrafici e contributivi per la pensione di
vecchiaia; l’eliminazione della perequazione automatica delle pensioni ai
salari reali; la revisione del sistema retributivo (non vengono più
considerati gli ultimi cinque anni, bensì gli ultimi dieci e per i neo assunti
l’intera vita lavorativa); l’omogeneizzazione e l’armonizzazione tra il
regime pensionistico privato e pubblico (ai lavoratori pubblici assunti dopo
il 31.12.93 e a coloro che a quella data avevano un’anzianità minore agli
otto anni, veniva richiesto il requisito dei trentacinque anni di
contribuzione per l’accesso alla pensione di anzianità); la prima disciplina
della previdenza complementare in Italia.
L’impianto originario del d.lgs n. 124/93 è stato rivisto dalla legge n.
335 dell’8 agosto 1995, la così detta riforma Dini, che ha abbattuto alcuni
ostacoli di carattere fiscale.
I punti salienti di tale legge possono essere così riassunti: passaggio
graduale da un sistema previdenziale retributivo ad uno contributivo;
flessibilità delle condizioni di accesso alle prestazioni previdenziali (la
10
Mastrangeli, La disciplina dei fondi pensione, in Riv. It. Dir. Lav., 1994
14
legge si limita a fissare dei requisiti minimi del diritto alla pensione,
raggiunti i quali si può scegliere il momento in cui andare in pensione);
omogeneizzazione ma con la conservazione dei soli profili di diversità
motivati da obiettive peculiarità dei singoli settori di attività; l’estensione
dell’assicurazione previdenziale obbligatoria; agevolazione di forme
pensionistiche complementari (fondi pensioni).
Ulteriori aggiustamenti dell’ordinamento previdenziale sono stati
introdotti con la legge 449/97, con la quale è stato realizzato quasi
interamente l’obiettivo dell’armonizzazione.
Vi è stata la modifica dei requisiti di accesso alle pensioni di
anzianità, con un sostanziale allineamento dei dipendenti pubblici ai
privati; l’applicazione generalizzata delle aliquote di rendimento per il
calcolo della pensione.
11
Nel 2001 è entrato in vigore il D.lgs n.47 che ha modificato il D.lgs
124/93 e che ha riformato la disciplina fiscale della previdenza
complementare e del TFR. In particolare esso ha: integrato il testo del d.
lgs 124/93 per istituire forma pensionistiche individuali; ha esteso la
possibilità di aderire a forme di previdenza complementare anche alle
persone che svolgono lavori non retribuiti derivanti da responsabilità
familiari (ci si riferisce soprattutto alle casalinge; ha incrementato le
agevolazioni previste per i contributi versati alle forme pensionistiche
individuali; ha modificato il regime fiscale dei fondi pensione; ha
regolamentato dal punto di vista tributario le forme pensionistiche
individuali attuate mediante contratti di assicurazione sulla vita; ha rivisto
il regime fiscale dei contratti di assicurazione sulla vita.
11
AA.VV. “Pensioni: guida a una riforma”, fondazione ideazione, Roma 2001; Enrico Del
Colle “La pensione flessibile”, Franco Angeli, 2002; Oskar Peterlini “Le nuove pensioni”,
Franco Angeli,2003.
15