IV
maggiore debolezza è rappresentato da un’irrazionale allocazione delle risorse
umane.
L’ostacolo più arduo da superare è stato, infatti, individuato non già
nella sovrabbondanza dei dipendenti pubblici e nelle connesse ristrettezze di
bilancio ma nella mal governata distribuzione degli stessi, specie sotto il
profilo territoriale.
Oggi la necessità è quella di poter disporre di personale
professionalmente qualificato ed effettivamente individuato in ragione
dell’interesse pubblico da soddisfare.
L’ apparato burocratico, per trasformarsi, deve necessariamente
affrontare e possibilmente risolvere il problema del reclutamento del
personale, della formazione e di una migliore distribuzione territoriale e
professionale delle risorse.
La ricetta vincente per coniugare nell’agire della P.A. efficienza ed
economicità sta nel dotare l’amministrazione di una serie di strumenti
contrattuali flessibili, mutuati dalla normativa privatistica, idonei a rendere più
elastica la disciplina interna del rapporto di lavoro e ad arrivare, ove se ne
ravvisi l’esigenza, ad una diversa e più proficua articolazione del rapporto
lavorativo.
Ciò è diventato possibile grazie all’art. 36 del D.lgs n. 29 come
modificato dall’art. 22 D.lgs n. 80/98, ora confluito nel D.lgs. 165 del 2001.
“Si assiste ad un’esplicita estensione alle pubbliche amministrazioni
delle chances gestionali offerte nel settore privato dalla presenza di variegate
forme contrattuali di lavoro flessibile, fissando nel frattempo vincoli rigorosi
sotto il profilo non soltanto del rispetto del principio della selezione pubblica
(al fine di scegliere la “potenziale migliore risorsa umana” che si renda
disponibile per l’attività da svolgere), ma anche e soprattutto sotto quello della
(almeno parziale) “immunizzazione”
3
delle stesse amministrazioni dalle
conseguenze derivanti dal cattivo uso della risorsa contrattuale flessibile”
4
.
3
Le amministrazioni vengono infatti sottratte alla sanzione “normale” che la legge annette alla
violazione delle regole fondamentali di accesso ed utilizzo dei contratti di lavoro flessibile – la
trasformazione (o meglio conversione) del rapporto di lavoro “atipico” in rapporto di lavoro a tempo
pieno e indeterminato – e vengono assoggettate alle conseguenze meramente risarcitorie che possono
V
C’è da fare una precisazione che per flessibilità non s’intende solo
applicazione di schemi predefiniti d’utilizzazione delle prestazioni lavorative
ma anche capacità d’innovazione dei modelli organizzativi e gestionali (basti
pensare alle moderne tecnologie dell’informazione).
La flessibilità, in sostanza, andrebbe concepita ed applicata non come
uno strumento per aggirare vincoli ma solo per modernizzare e trasformare i
vecchi modelli.
Un impianto produttivo flessibile deve poter contare sul cambiamento
continuo delle mansioni dei dipendenti, impegnati a produrre beni al momento
richiesti; quindi ci deve essere una stretta correlazione tra flessibilità e
processo produttivo, che sappia in tempo reale rispondere alle esigenze del
mercato.
Infatti, la flessibilità nella pubblica amministrazione è una flessibilità
concreta, prevalentemente materiale ed operativa. Essa riguarda la prestazione,
i suoi contenuti, modi, luoghi, la cui adozione è vincolata ad una
programmazione
5
dell’uso delle risorse umane, al rispetto delle dotazioni
organiche e della normativa sull’accesso con l’obiettivo di contribuire ad una
graduale e progressiva riduzione del personale pubblico, soddisfacendo
esigenze di finanza pubblica.
6
In genere le forme contrattuali flessibili ricorrenti nel pubblico impiego
sono il contratto a tempo determinato, il lavoro interinale, il lavoro a tempo
parziale, le collaborazioni coordinate e continuative, il telelavoro e il contratto
di formazione lavoro.
derivare dalla predetta violazione (scelta, questa, ritenuta conforme al dettato costituzionale da Corte
cost. n. 89/2003), delle quali vengono anzi chiamati a rispondere, in ultima analisi, coloro che,
nell’agire in loro nome e per conto delle stesse, ne hanno causato l’esposizione a responsabilità
4
A.A.V.V ., “Lavoro pubblico e flessibilità”, su www.formez.it
5
Per sopperire alla mancanza di personale e per ovviare al blocco delle assunzioni, i contratti, sono
stati utilizzati spesso in modo improprio rispetto alle specifiche esigenze, creando cosi non un’area di
professionisti delle pubbliche amministrazioni, ma un bacino di personale che preme sempre più per
ottenere la stabilizzazione. Tutto ciò è dovuto anche ai limiti posti dalle leggi finanziarie alle
assunzioni di dipendenti da parte delle pubbliche amministrazioni, in particolare per le assunzioni a
tempo indeterminato ed a tempo pieno. È questo un dato che si può ormai considerare come costante
ed acquisito e che, nelle ultime due leggi finanziarie (Legge n. 289/2002 e Legge n. 350/2003), è
diventato particolarmente forte. Basti pensare che per la gran parte degli enti locali nel 2003, le
possibilità di assunzione sono state di fatto praticamente azzerate.
6
NIGLIO N., “La flessibilità del lavoro nella p.a: alcune riflessioni…”, Risorse umane, nov/dic,
2003, pag. 713.
VI
Ognuna di queste forme flessibili soddisfa specifiche esigenze e presenta
connotazioni particolari.
Il telelavoro, per esempio, è una forma flessibile di lavoro che concerne
le modalità di svolgimento della prestazione, ovvero del luogo della
prestazione, la quale non è svolta all’interno dell’ufficio tradizionale ma a
distanza. L’attenzione del legislatore al telelavoro nasce dalla consapevolezza
che coniugare l’evoluzione delle tecnologie dell’informazione e della
comunicazione con la riorganizzazione strutturale della P.A. è una scelta al
contempo strategica e virtuosa, giacché potrà garantire un’effettiva
trasformazione dell’apparato burocratico, potendo concretamente
rappresentare lo strumento attraverso cui rendere più efficaci i collegamenti tra
diversi uffici, consentendo di riorganizzare le risorse professionali disponibili,
migliorare e coadiuvare l’uso delle risorse strumentali.
Il lavoro interinale, ad esempio, consente alle pubbliche
amministrazioni di sopperire a temporanee esigenze di personale.
Il contratto di formazione e lavoro è, infine, un contratto a tempo
determinato nel quale la prestazione di lavoro è necessariamente associata ad
un’esperienza formativa e cosi via.
L’ingresso di queste forme contrattuali è stato e deve essere graduale
considerato il loro elevato impatto sulle forme organizzative e gestionali
7
,
sulle procedure e sui modi di lavorare esistenti nei diversi uffici
dell’amministrazione.
7
Infatti,è necessario assicurare un elevato coinvolgimento delle risorse professionali alle quali è
indirizzata l’innovazione, occorrono adeguate forme e procedure di informazione sulle finalità, sulla
natura e sulle potenzialità delle applicazioni della flessibilità per eliminare possibili pregiudizi e creare
un ambiente favorevole alle nuove dinamiche nella gestione del personale; è necessario lo sviluppo di
un programma che consenta alle amministrazioni di utilizzare nei modi più efficaci le potenzialità
assicurate dall’impiego delle forme flessibili di lavoro; l’individuazione di programmi base, formativi
e di assistenza, che tengano conto delle esperienze migliori riscontrabili in altre realtà; promuovere
nell’amministrazione il progressivo sviluppo e la valorizzazione di professionalità più coerenti ai
nuovi modelli organizzativi dell’ente; creare un sistema di monitoraggio e verifica.
1
CAPITOLO PRIMO
LA PRIVATIZZAZIONE E/O CONTRATTUALIZZAZIONE DEL
PUBBLICO IMPIEGO E LE TIPOLOGIE CONTRATTUALI
FLESSIBILI
SOMMARIO: 1. Analisi storica ed interventi legislativi nel contesto della riforma: La
privatizzazione o la contrattazione del pubblico impiego – 1.1. Dal D.lgs 29/1993 al D.lgs
165/2001: il passaggio dalla prima alla seconda privatizzazione – 1.2. La riforma “Biagi”del
mercato del lavoro – 2. Considerazioni preliminari sulla flessibilità nei rapporti di lavoro –
2.1. Alla scoperta della flessibilità nel pubblico impiego – 2.2. Il legame imprescindibile tra
la flessibilità delle funzioni pubbliche, flessibilità dell’organizzazione e flessibilità nella
gestione del personale – 2.3. Art. 36 del D.lgs. 29/1993 - attuale D.lgs. 165/2001: Sviluppo e
sua applicabilità
1. Analisi storica ed interventi legislativi nel contesto della riforma: La
privatizzazione o contrattualizzazione del pubblico impiego
Tra le riforme amministrative forse più significative varate negli anni
novanta certamente c’è quella della ricollocazione del lavoro con le pubbliche
amministrazioni nell’alveo del diritto del lavoro privatistico meglio conosciuta
come privatizzazione del pubblico impiego o più correttamente
“contrattualizzazione ” del lavoro pubblico.
La riforma del pubblico impiego si colloca in un contesto storico molto
ampio tanto che è stata definita “epocale”, poiché “conclude un ciclo quasi
secolare d’ascesa e di declino della concezione pubblicistica del rapporto di
impiego pubblico
8
”.
Si ricorda che l’Amministrazione italiana nasce e si consolida nella
seconda metà dell’ottocento secondo un modello “per ministeri”, con
organizzazione gerarchico-piramidale con al vertice il ministro che risponde al
parlamento.
8
CLARICH M., IARIA D. “La riforma del pubblico impiego: commento ai D. lgs. 3 febbraio 1993,
n. 29; 18 novembre 1993, n. 470; 23 dicembre 1993, n. 546; 31 marzo 1998, n. 80; 20 ottobre 1998,
n. 387 (alla luce della normativa emanata fino al settembre 1999)”, 3. ed. 2000, pag. 21
2
All’inizio del secolo scorso ha inizio un processo di espansione delle
funzioni dello Stato che, sovraordinato ai cittadini, ne limitava la sfera
giuridica con atti autoritativi in cui i “diritti degli stessi cittadini cedevano il
passo, una volta che venivano inseriti in un’organizzazione pubblica, ai doveri
dell’impiegato, cioè c’era un assoggettamento ad un rapporto di supremazia
speciale con la pubblica amministrazione”
9
.
Inoltre a presidio di questo sistema si erigeva il giudice amministrativo
investito della giurisdizione esclusiva in materia.
Con l’avvento della Repubblica e l’emanazione della carta
costituzionale si sviluppa lo “Stato sociale”, caratterizzato da un’espansione
imponente delle funzioni della pubblica amministrazione in vari settori
(scuola, fiscale, monetario, ecc...) ma ancora presente è il principio di
supremazia speciale, aumentano i conflitti interni dovuti alla continua
suddivisione delle competenze tra i vari uffici pubblici e tutto ciò va ad
alimentare procedure complesse, lentezza ed inefficienza dell’apparato
pubblico.
Ed è proprio dalla considerazione della lentezza ed inefficienza
burocratica, quale principale causa del mancato raggiungimento degli obiettivi
e della mancata soddisfazione dei bisogni per cui gli apparati erano nati, che
prende spunto il processo di riforma.
Infatti, nel 1979 fu presentato dal Ministro pro tempore della funzione
pubblica M. S. Giannini un rapporto (Rapporto Giannini) sui principali
problemi dell’amministrazione dello Stato
9
nel quale si evidenzia la necessità
di procedere ad un intervento di riforma che investa sia le strutture ed il
personale, sia le procedure, con l’obiettivo di introdurre nell’apparato pubblico
elementi d’efficienza, di razionalità nell’utilizzo delle risorse e di concreta
rispondenza alle richieste d’erogazione dei servizi proveniente dai cittadini.
Dall’analisi contenuta nel rapporto emerge l’immagine di
un’amministrazione impegnata a gestire se stessa piuttosto che a svolgere nel
migliore dei modi i compiti ad essa affidati dall’ordinamento.
9
“Rapporto Giannini”, il quale rappresentò una importante iniziativa di sollecitazione all’emanazione
di provvedimenti legislativi, di competenza parlamentare, aventi ad oggetto la problematica
concernente l’amministrazione statale.
3
Circa il personale, l’indicazione fornita dal Rapporto è quella di
valutare la praticabilità del processo di privatizzazione del rapporto di lavoro.
Si riteneva possibile, infatti, il raggiungimento degli obiettivi sopra indicati di
efficienza, efficacia ed economicità della pubblica amministrazione attraverso
la parificazione, sotto il profilo normativo e tecnico-operativo, del pubblico
impiego a quello privato e la conseguente eliminazione di un regime garantista
nei confronti dei pubblici dipendenti ritenuto la causa principale del cattivo
funzionamento dell’amministrazione.
Da qui numerosi dibattiti che trovarono sbocco in una serie di iniziative
parlamentari tra cui troviamo la Legge-quadro n. 93 del 1983.
Essa si presentò come una legge innovativa in quanto introdusse la
contrattazione collettiva, in un rapporto regolato esclusivamente dalla legge
quale era quello dell’amministrazione pubblica, fissò i principi di
omogeneizzazione della disciplina del lavoro pubblico, introdusse la disciplina
uniforme del procedimento negoziale
10
, che assommava una fase privatistica
(che terminava con la formulazione d’ipotesi di accordo), una fase
pubblicistica (che portava all’emanazione del DPR di recepimento) per tutti i
comparti e la definizione della composizione e struttura delle rappresentanze
sindacali nella fase della stipula contrattuale.
In realtà la normativa del 1983 non era riuscita, se non parzialmente, a
colmare le differenze tra lavoro privato e pubblico impiego, che rimaneva
ancora strutturato come rapporto di natura unilaterale; si pensi al regime di
contrattazione collettiva che “non costituiva fonte normativa diretta”
11
bensì
potremmo dire “mediata” in quanto” gli aspetti più rilevanti erano comunque
riservati alla legge” e la contrattazione d’ogni comparto veniva ad essere
recepita con appositi decreti (cosiddetti atti di recepimento). quindi non si
poteva parlare di contrattazione collettiva come attività libera, esercitata in
virtù di una capacità negoziale degli enti pubblici ma ancora una volta come
10
Il processo di “contrattualizzazione” del settore si è solo in parte realizzato secondo le linee indicate
dalla L. 93/83: in particolare, il procedimento negoziale è, infatti, risultato nel suo complesso gravoso
e destinato ad operare in tempi eccessivamente lunghi (nella tornata elettorale sono trascorsi circa
nove mesi tra la sottoscrizione dell’ipotesi di accordo e l’entrata in vigore del DPR di recepimento).
11
DI GESU’ C., MARICA F., MONTANARI W., “Il rapporto di pubblico impiego: normativa,
giurisprudenza e dottrina”, 2000, pag. 13
4
fonte dell’ordinamento speciale pubblicistico, essa, in altre parole, “fu
trasformata in un negoziato politico istuzionalizzato tra sindacati e Governo,
spingendo la spesa per il personale fuori controllo”
12
.
La legge n. 93/83, proprio per questa mescolanza fra conservazione
dello status pubblicistico e parziale contrattualizzazione del trattamento
economico-normativo, ebbe breve durata.
E’ proprio la crisi di questa legge e “sotto l’urgenza e la pressione di
una crisi finanziaria che portò ad una forte svalutazione della lira e all’uscita
del sistema monetario europeo, che il parlamento approvò la legge delega 23
ottobre 1992, n. 421, la quale gettò le basi di numerose riforme, tra cui quella
della privatizzazione del pubblico impiego, accomunate tutte dall’esigenza del
contenimento della spesa pubblica”
13
.
Nell’esercizio della delega venne emanato il decreto legislativo 3
febbraio 1993 n. 29 con il quale prendeva corpo quella che è stata definita la
“prima privatizzazione” del pubblico impiego.
1.1. Dal D.lgs 29/1993 al D.lgs 165/2001: il passaggio dalla prima alla
seconda privatizzazione.
Con il D.lgs 29/93 ha inizio la prima privatizzazione del rapporto di
lavoro pubblico che segna “l’eclissi del principio di supremazia
dell’amministrazione: la pubblica amministrazione diventa parte contrattuale
del rapporto ed i suoi poteri vengono equiparati a quelli del datore privato”
14
,
quindi essa “è parte e non autorità nei rapporti con i propri dipendenti”
15
.
Viene introdotto il principio della contrattualità nel rapporto pubblico.
Il rapporto di lavoro pubblico diventa rapporto di lavoro di diritto
comune, direttamente disciplinato dai contratti collettivi, non è più costituito
con un provvedimento amministrativo (l’atto di nomina) bensì, si costituisce
12
D’ANTONA M., “Scritti sul pubblico impiego e sulla p.a”, vol. IV, 2000, pag. 239.
13
CLARICH M.,IARIA D., “ La riforma del pubblico impiego…” op.cit.
14
PERRINO A.M., “Il rapporto di pubblico impiego”, 2004-XXVII pag 12
15
D’ANTONA M., “Scritti… ”, op.cit., pag. 180.
5
con l’accettazione da parte del singolo dipendente a che il rapporto di lavoro si
instauri secondo regole definite, almeno in parte, in sede di contrattazione
collettiva.
Quest’ultima viene articolata su due livelli, l’uno nazionale e l’altro
decentrato, dei quali viene precisato l’ambito di intervento anche se la
regolamentazione è per molti aspetti dettata dalla legge, a partire dalla
rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni che è affidata ad
un'agenzia nazionale, l’ARAN, posta alle dirette dipendenze del Presidente del
Consiglio, staccata dalle singole amministrazioni e che va a sostituire le
vecchie delegazioni pubbliche.
Per ciò che riguarda l’aspetto della privatizzazione il decreto mira a
valorizzare il ruolo della dirigenza
16
.
Viene introdotto il principio della netta separazione tra attività di
indirizzo politico e gestione amministrativa.
Infatti, il decreto attribuisce agli organi di direzione politica la
definizione degli obiettivi e dei programmi e la verifica della rispondenza dei
risultati alle direttive impartite; affida ai dirigenti la gestione finanziaria,
tecnica e amministrativa, compresa l’adozione di tutti gli atti che impegnano
l’amministrazione verso l’esterno, nonché compiti di organizzazione delle
risorse umane e di controllo della gestione e dei relativi risultati.
Inoltre, è previsto il passaggio della giurisdizione, nella risoluzione dei
conflitti tra i dipendenti, al giudice ordinario (del lavoro) da quello
amministrativo (investito dal 1924 della cosiddetta “giurisdizione
esclusiva”)
17
.
Inoltre il decreto legislativo n. 29 rende più flessibile la gestione del
personale introducendo principi organizzativi quali ad esempio, la
razionalizzazione dell’organizzazione dei pubblici uffici basata sulla
ridefinizione di uffici e piante organiche.
16
CLARICH M., IARIA D., “La riforma del pubblico impiego….” , Op. cit., pag. 27
17
Anche se l’art. 68 lascia alla giurisdizione amministrativa le controversie di lavoro riguardanti le
materie riservate alla fonte unilaterale pubblicistica dalla l. 421/92 quindi le giurisdizioni risultano non
dalla natura del rapporto controverso ma dalla natura della fonte da cui scaturisce la regola
applicabile,con una conseguente duplicazione dei giudici dotati di cognizione del rapporto di lavoro.
D’ANTONA M., “Scritti…” , Op. cit., pag. 241.
6
Tuttavia il permanere di settori e materie non interessate dalla
privatizzazione e l’insufficiente chiarezza del dettato normativo evidenziarono
il carattere incompiuto della riforma del 1993.
Tale aspetto unito al progetto di riforma organico della pubblica
amministrazione che si stava attuando in quegli anni con le cosiddette “Leggi
Bassanini” emanate nel corso del 1997, indussero il legislatore ad intervenire
attraverso l’emanazione di decreti che andassero ad integrare e completare la
riforma del 1993 dando una delega con Legge n. 59 del 1997 al Governo
talmente ampia
18
da consentire una riscrittura quasi integrale del D.lgs 29/83,
sollecitando in questo modo una seconda privatizzazione.
La delega è stata esercitata in due tempi con l’emanazione dei decreti
legislativi 4 novembre 1997, n. 396 e 31 marzo 1998, n. 80 e 20 ottobre 1998,
n. 387: il primo ridefinisce le regole della contrattazione collettiva prevedendo
una semplificazione delle procedure di contrattazione e pone una disciplina
della rappresentatività sindacale; il secondo introduce le regole per la
riorganizzazione dell’assetto normativo della dirigenza statale, con
conseguente contrattualizzazione del rapporto d’impiego dei dirigenti statali e
la possibilità di introdurre nel pubblico impiego le forme di impiego flessibile
(contratto a termine, contratto di formazione e “lavoro interinale)”; il terzo
decreto contiene norme dirette a disciplinare l’accesso alla dirigenza delle
amministrazioni e degli enti pubblici economici, che avverrà tramite concorso
per esami, nonché disposizioni concernenti l’introduzione di nuovi requisiti
per i concorsi pubblici.
“L’art. 20, 11° comma, legge n. 57/97 nel quadro dei generali obiettivi
di decentramento, semplificazione e normalizzazione delle pubbliche
amministrazioni, ha affidato ai testi unici il compito di razionalizzare, rendere
18
Tra i nuovi principi e criteri direttivi spiccano quello di “ completare l’integrazione della disciplina
del lavoro pubblico con quella del lavoro privato e conseguente estensione al lavoro delle disposizioni
del codice civile e delle leggi sul rapporto di lavoro privato nell’impresa (lett. a), estendere anche ai
dirigenti generali il regime di diritto privato,semplificare e rendere più spedite le procedure di
contrattazione collettiva riordinando e potenziando l’Aran, garantire a tutte le amministrazioni
pubbliche autonomi livelli di contrattazione collettiva integrativa, devolvere al giudice ordinario entro
il 30 giugno 1998 tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti. CLARICH M,
IARIA D., “La riforma del pubblico impiego…” , Op. cit., pag. 36
7
conoscibili e riordinare intere materie attraverso il disegno di legge annuale di
semplificazione.
Il primo progetto di testo unico fu previsto dalla prima legge di
semplificazione (art. 8, legge n. 50/99), i cui termini vennero a scadere
lasciando la delega inesercitata, la quale fu poi reiterata dalla seconda legge di
semplificazione (art. 1, comma 8, legge 340/2000)”
19
.
La delega prevedeva una strutturazione in due parti del testo unico
corrispondente a due diverse funzioni: la prima, ricostruttiva, di riordino delle
norme, diverse dal codice civile,che regolavano i rapporti di lavoro dei
dipendenti; la seconda di tipo demolitivo, di fissazione della decorrenza
dell’inapplicabilità delle norme che non sopravvivevano al decreto.
L’elaborazione del testo unico, che assumeva la forma del decreto
legislativo, fu affidata ad una commissione tecnica che alla fine di novembre
licenziò un testo che, però non vide la luce per il veto
20
opposto dai sindacati,
che non erano stati coinvolti dalla fase iniziale.
È stato quindi emanato il D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 recante “Norme
generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni
pubbliche”.
Il decreto è intervenuto sull’omogeneità terminologica e normativa del
testo del D.lgs. n. 29/93; ne ha espunto le norme abrogate, numerando
diversamente articoli e commi; ha curato l’aggiornamento delle norme esterne,
ha integrato il testo delle disposizioni finali e transitorie dei DD.lgs n. 80/98 e
n. 387/98 ma non reca alcuna norma nuova.
Esso si applica a tutti i rapporti di lavoro alle dipendenze di pubbliche
amministrazioni tranne per quelle categorie di soggetti che rivestono ruoli e
funzioni riguardanti la sovranità dello stato e che quindi investono la sua
soggettività pubblica
21
.
19
TALAMO V., “Il d.lgs. n. 165 del 2001 fra tradizione e discontinuità: guida ad un testo unico
meramente compilativo”, LPA ,2001, pag. 13.
20
Parlano di veto CARINCI F.. , “Una riforma a passo di gambero”, LPA, 2001, pag. 12.
21
Le categorie professionali escluse sono: magistrati,avvocati dello stato,il personale militare e delle
forze di polizia, il personale della carriera diplomatica e prefettizia,i professori universitari e
ricercatori, i dipendenti della Banca d’Italia, della Consob, della Camera dei deputati,del Senato e
della Corte Costituzionale. VIGGIANI A. “Brevi osservazioni sul decreto legislativo n. 165/2001”, in
LPO, 2001, pag. 1122.