3
economico di riferimento. Per quanto concerne le procedure concorsuali, in
particolar modo il concordato preventivo, deludenti erano stati i risultati sia
sotto l’aspetto tempistico di realizzazione dello scopo che per quanto
riguarda la percentuale di soddisfazione dei creditori. Inoltre, c’era la
necessità di adeguarsi agli obiettivi delle principali legislazioni europee che
mirano alla conservazione delle unità produttive e a considerare la
liquidazione del patrimonio del debitore sempre più una fase eventuale
della procedura concorsuale e non principale come lo era precedentemente.
Questa è la sintesi delle principali e fondamentali ragioni che hanno portato
a una riforma organica della disciplina. La rivisitazione della legge
fallimentare è partita con il sopraccitato Decreto Legge 14 Marzo 2005, n.
35, convertito nella Legge n. 80 del 14 maggio 2005, titolato inizialmente
“Disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo
economico, sociale e territoriale” poi ridefinito “Decreto per la
Competitività” ed è terminata con l’approvazione dei decreti legislativi per
l’intera riforma fallimentare avvenuta il 22 dicembre 2005.
In quest’opera si analizzerà la nuova disciplina del concordato preventivo,
con particolare riferimento alla modificazione del presupposto oggettivo da
stato d’insolvenza a stato di crisi e conseguenti sue implicazioni. Le
modifiche più considerevoli relative a questo argomento sono state
apportate principalmente dalla l. 80/2005, a cui chiaramente si farà
particolare riferimento. La Relazione accompagnatoria introduce il nuovo
concordato preventivo definendo che “le nuove regole rendono i creditori
divisibili in classi che rendono più omogenea l’espressione dei loro diversi
interessi nell’ambito della procedura liquidatoria: il concordato preventivo
diviene quindi lo strumento attraverso il quale la crisi dell’impresa può
4
essere risolta attraverso accordi stragiudiziali che abbiano ad oggetto la
ristrutturazione dell’impresa”.
In quest’opera appunto non si analizza dettagliatamente nella sua procedura
l’istituto del concordato preventivo, ma partendo dalla natura giuridica e
soprattutto dai suoi presupposti si focalizza l’attenzione sulle modificazioni
a riguardo portate dalla riforma, specialmente al presupposto oggettivo
dello stato di crisi, esaminando questi radicali cambiamenti in relazione alle
loro conseguenze, ai nuovi rimedi degli accordi stragiudiziali e di
ristrutturazione dell’impresa ed infine alla nuova considerazione del
principio di conversione e consecuzione del concordato preventivo in
fallimento. Tutto ciò sarà argomentato mettendo in risalto le differenze
della disciplina in merito ante e post riforma.
Si tenga presente che tenuto conto della novità delle norme, le valutazioni
ed i commenti contenuti nella trattazione non possono essere esaustivi e
potranno essere sconfessati nel prossimo futuro alla luce degli effetti della
riforma sulla pratica.
5
I CAPITOLO
ORIGINI DEL CONCORDATO
PREVENTIVO E SUA NATURA
GIURIDICA
7
L’insolvenza cronica dell’imprenditore o società comporta lo sviluppo di
una procedura che culmina con il fallimento, il quale implica
inevitabilmente la fine giuridica ed economica di moltissime imprese e
società che compongono ed hanno un ruolo fondamentale nella situazione
sociale moderna e nell’economia nazionale. C’è quindi uno stato di
necessità nell’evitare o quantomeno moderare queste pericolose
conseguenze, considerate dal legislatore e che lo hanno spinto a dar vita alle
cosiddette procedure concorsuali minori, che nella realtà dei fatti forniscono
al debitore una valida alternativa al fallimento.
In virtù di quanto appena detto già nel 1903 viene previsto dal legislatore,
in presenza di determinati presupposti, il ricorso al cosiddetto concordato
preventivo come altra scelta al fallimento.
Le origini del concordato, a differenza degli altri istituti normativi
disciplinati nel diritto vigente, non si attribuiscono propriamente al diritto
romano, nonostante ci siano delle fattispecie importanti che avranno
sicuramente influenzato i legislatori di epoca successiva nel disciplinare la
materia.2
Nello specifico, alcuni autori3 sostengono che già nel diritto romano ci
fossero degli istituti analoghi al concordato perlomeno nei principi, come ad
esempio la remissione dei debiti e la dilazione dei pagamenti in presenza di
particolari condizioni.4
2
E. S. FRASCAROLI, Origini ed inquadramento sistematico del concordato
stragiudiziale, in Diritto fallimentare, 1980, parte I, pag. 7 ss.
3E. S. FRASCAROLI, Op. cit., pag. 7 ss; A. RAMELLA, Trattato del fallimento, II,
Milano, 1904, pag. 10 ss..
4
A. REZZARA, Il concordato nella storia, nella dottrina e nella giurisprudenza, Roma-
Torino, 1901, pag. 9 ss..
8
Il riferimento più antico si ha con il pactum ut minus salvatur, definibile
appunto in una parziale remissione dei debiti a favore degli eredi del de
cuius i quali venivano tutelati, perchè si considerava l’azione di esecuzione
forzata un profondo disonore che, nei limiti del possibile, si cercava di
evitare al debitore defunto5.
Questa tutela veniva definita fama defuncti ed era il fondamento giuridico
per il quale si esercitava questo istituto.
L’istituto prevedeva un vero e proprio accordo tra l’universalità dei
creditori e gli eredi del defunto in modo da stabilire pattiziamente, tramite
un’ adunanza davanti al giudice, l’estinzione dei debiti. L’approvazione di
questo patto avveniva all’unanimità dei creditori se era possibile, altrimenti
si procedeva alla valutazione dell’ammontare delle somme; nel caso di
perfetta parità si esaminava il numero dei soggetti ed infine ci si atteneva
come ultimo requisito alla dignitas, ovvero alla posizione sociale che
rivestivano i creditori che avevano formulato l’espressa accettazione alla
remissione.
Se ci fosse stata un’ulteriore equivalenza tra le parti, spettava al giudice
intervenire seguendo l’humanior sententia, l’avviso più favorevole al
debitore.
Questo patto favoriva quindi l’accettazione dell’eredità e inoltre si rivelava
più conveniente anche per i creditori, in quanto non avrebbero aspettato la
lentezza della procedura, né atteso la vendita dei beni del debitore defunto
con le relative spese.
5
A. REZZARA, op. cit., Roma-Torino, 1901, pag. 9; E. S. FRASCAROLI, op. cit.,
1980, pag. 7 ss..
9
Nonostante tutto, alcuni autori6 non sono concordi nel considerare le norme
del pactum ut minus solvatur come spunto creatore dell’ attuale concordato
giudiziale per le diverse nature e funzioni dei i due istituti e soprattutto per
le diverse ragioni socio-economiche che hanno condotto alla loro ideazione.
Su questa opinione si schiera apertamente l’autore Rezzara7 che non
sostiene la possibiltà che il pactum ut minus solvatur sia sopravvissuto al
periodo barbarico per poi riaffiorare nell’età intermedia applicato prima al
debitore fuggitivo, dopo per analogia al debitore in genere e infine per
estensione al concordato.
Aldilà di questi diversi orientamenti è comunque innegabile che ci siano
delle analogie tra i due istituti, sia nel calcolo delle maggioranze
nell’adunanza dei creditori che nella remissione parziale del debito.
Infatti è riconosciuto che, nell’ epoca dell’ età intermedia in cui si ha la vera
origine del concordato, si siano presi spunti, soprattutto per i principi, dalla
materia ereditaria e quindi dall’ istituto antenato.8
E’ proprio in questa età che si ha un cambiamento di mentalità tale da
permettere un’evoluzione dei principi su cui è basato il concordato e quindi
un rapido sviluppo dell’intera disciplina.
Infatti con l’epoca statutaria si favoriscono gli accordi tra creditore e
debitore, anziché punire severamente il soggetto insolvente e inoltre si
consolida sempre più l’istituto del fallimento che di riflesso contribuisce
all’affermazione del concordato.
Questo è il risultato di un’inversione di tendenza, di un ribaltamento
concettuale dal pensiero romanistico, fondato sull’ordine morale e quindi
6
E. S. FRASCAROLI, Op. cit., pag. 10-11.
7
A. REZZARA, op. cit., Roma-Torino, 1901, pag. 15.
8
E. S. FRASCAROLI, Op. cit., pag. 12.
10
sulla punizione severa del debitore insolvente, a una concezione in cui si
denota come l’accordo dei soggetti porti a un duplice vantaggio sia tra le
parti che per la massa9.
In merito a quanto detto, si può evincere come il debitore non sia più
indotto alla fuga con il rischio di depauperamento del patrimonio10, ma
cerchi una collaborazione con l’altra parte, determinando una rapida
soddisfazione seppur parziale dei creditori e una riduzione dell’ onere
patrimoniale gravante sul debitore.
Si ottiene così una maggiore tutela dei creditori, che si riflette poi in una
tutela dell’interesse pubblico con minori spese gravanti sulla massa per la
procedura, maggiore possibilità di essere soddisfatti in tempi brevi.
La maggiore tutela dei creditori è quindi la ratio su cui si fonda il
concordato, che non coincide con il favor debitoris, ovvero una maggiore
clemenza del legislatore nei confronti del fallito, ma che è solo un
presupposto per difendere l’interesse pubblico.
L’ importanza di questa ratio è sottolineata inoltre dal fatto che l’ origine
del concordato è dipeso più dalla prassi commerciale che dalla legislazione;
tanto è vero che solo successivamente si è data alla tutela dei creditori
l’adeguata veste normativa.
In questa età comunque non c’era una legislazione uniforme sul concordato,
come vi era una netta divisione territoriale e statale, ciò valeva anche per la
legge, che veniva disciplinata in maniera diversa a seconda dello statuto di
appartenenza11.
9
U. SANTARELLI, Per la storia del fallimento nelle legislazioni italiane nell’età
intermedia, Padova, 1964, pag. 283 ss..
10
Era così frequente che in alcuni statuti i falliti furono denominati fugitivi.
11
U. SANTARELLI, op. cit., Padova, 1964, pag. 276 ss..
11
Di conseguenza anche il concordato era normato in modo difforme nei vari
statuti; ad esempio a Padova la sua esecuzione comportava il reintegro nei
propri uffici ed onori, mentre a Genova e a Firenze il fallito riacquistava i
propri diritti civili solo con il pagamento integrale del suo debito.
A partire dal XV secolo la procedura concordataria ha avuto una svolta, si è
modificata l’idea di concordato, visto non più come esclusivo mezzo di
risoluzione patrimoniale dei rapporti tra debitore-fallito e creditori, ma
come procedura alternativa al fallimento.
Le prime manifestazioni si sono avute nella Repubblica veneta, ma i primi
veri tentativi di normare il concordato con i suoi presupposti si sono avuti
negli statuti lucchesi nel XVI secolo, dove si è stabilito come presupposto
del concordato un indebitamento minimo di “duecento scudi” e si
prescriveva di presentarsi innanzi al giudice della Corte dei Mercanti,
sostanzialmente al debitore veniva proposto un salvacondotto, mentre ai
creditori era vietata la possibilità di stipulare accordi che li ponessero in via
privilegiata verso gli altri creditori, pena pesanti sanzioni.
Inoltre lo statuto lucchese prevedeva che, in caso di mancato accordo, ci
fosse il fallimento con decorrenza dei termini a partire dall’istanza di
ammissione al concordato.
Alla fine del 1600 si hanno così due tipologie di concordato:
un concordato inteso come procedura alternativa al fallimento;
l’altro inteso come procedura conclusiva del fallimento, ovvero interviene a
fallimento già dichiarato e serve a limitarne i danni più possibile12.
Nel 1808, con la pubblicazione del Code de Commerce, si ha il primo
esempio di codice che consacra la regola secondo cui la maggioranza dei
12
A. ROCCO, Il concordato nel fallimento e prima del fallimento, Torino, 1902, pag. 45
ss..
12
creditori poteva accordare al debitore, previa autorizzazione del giudice, sia
le dilazioni che le riduzioni di pagamento.
La creazione di suddetto codice è stata molto importante per la formazione
delle leggi successive.13
Anche il nostro esempio di codice del commercio è di origine ottocentesca
e prevedeva l’istituto della moratoria, la quale poteva esercitare i propri
effetti sia ante che post fallimento.14
La legge n. 197 del 24 maggio 1903 abolì la moratoria ed introdusse
ufficialmente il concordato preventivo; inoltre furono apportate importanti
modifiche dalle l. 17 aprile 1925 n. 473 e 10 luglio 1930 n. 995.
Infine si arriva al Regio Decreto n. 297 risalente al 16 marzo 1942, in cui si
delineò quello che è stato il profilo normativo del concordato fino
all’avvento della l. del 14 marzo 2005 n. 80 in cui si definisce la
legislazione vigente.
Dopo questo excursus storico in cui si è definita l’evoluzione del
concordato in generale e di quello preventivo in particolare, si afferma, con
un’esauriente definizione del noto giurista Provinciali, che “il concordato
preventivo consiste in un’esenzione dal fallimento, concessione che non è
ispirata ad un particolare riguardo che voglia accordarsi al debitore, ma, e
soprattutto, a considerazioni d’interesse pubblico”.15
In effetti, il concordato preventivo si risolve in una sorta d’imposizione
della maggioranza sulla minoranza ed offre numerosi vantaggi.16
13
Alle disposizioni del code de commerci s’ispirarono in particolare, i Codici di Sardegna
del 1842 e del 1859 e il primo codice di commercio del regno d’Italia.
14
A. BUTERA, Moratoria, concordato preventivo e procedura del piccolo fallimento,
Torino, 1938, pag. 47 ss.
15
R. PROVINCIALI, Trattato di diritto fallimentare, Milano, 1974, IV, pag. 2212.
16
U. RAMELLA, Trattato del fallimento, Milano, 1904, pag. 214.
13
Il fallimento, a differenza del concordato preventivo, arresta la vita
commerciale del debitore, portando, in particolar modo per le imprese più
importanti dal punto di vista economico, conseguenze notevolmente
negative per i commercianti, per gli imprenditori e anche per il personale
dipendente dell’impresa soprattutto se consta di un numero assai elevato di
unità.
Per questi motivi sopraelencati e per altre considerazioni socio-politiche e
nell’interesse dell’economia nazionale è preferibile che l’attività
commerciale del debitore in stato d’insolvenza non si arresti per l’avvio
della procedura fallimentare, ma continui, cercando aliunde, cioè
nell’accordo con i creditori, di risolvere il proprio dissesto interno.
Il concordato, infatti, è stato definito come una mano tesa alle imprese che
permette loro di superare situazioni economicamente complesse senza
arrivare alle estreme conseguenze che comporta la falciglia fallimentare.17
Questo aspetto e la tutela dei creditori sono i punti fondamentali su cui si
basa il concordato e l’importanza di questi concetti è testimoniata da una
nota pronuncia delle Corte di Cassazione18 che ribadisce la centralità
dell’interesse dei creditori rispetto ad altri interessi potenzialmente
concorrenti e statuisce che il concordato preventivo deve attribuire ai
creditori il più possibile di ciò che è sancito nell’art. 2740 c.c..
Uno dei dibattiti più avvincenti sul concordato preventivo è stato
sicuramente quello sulla natura giuridica dell’istituto, in cui si sono viste
contrapposte due tesi principali: quella contrattualistica da un lato e quella
processualistica dall’altro.
17
A. CANDIAN, Il processo di concordato preventivo, Padova, 1937, pag. 6 ss.
18
Cass. 12 luglio 1991, n. 7790, in Giust. Civ., 1991, II, 2928.
14
La dottrina che sostiene la tesi contrattualistica tratta il concordato come un
vero e proprio contratto che si ha tra un’assemblea dei creditori e il
debitore.19
A questa tesi sono state fatte numerose critiche proprio sulla discrepanza
che intercorre tra le regole contrattualistiche e la struttura concordataria.
La disciplina dei contratti viene definita erga omnes, ovvero avente forza di
legge tra le parti e non possono essere modificati senza il loro consenso; al
contrario le assemblee dei creditori si definiscono solitamente con il criterio
della maggioranza, che stona apertamente con le norme principali della
disciplina contrattualistica20.
Per giustificare questa evidente discrepanza, una minima parte della
dottrina ha qualificato il concordato come istituto rivestito dal crisma
dell’eccezionalità, quindi come una deroga ai principi stessi del diritto
contrattuale.
Altra tesi filocontrattualistica, che comunque non ha avuto un buon esito, è
stata quella dell’adesione data dai creditori alla proposta del debitore;
chiaramente questa forzatura nell’interpretazione dell’istituto ha portato a
una poca considerazione generale.
In sintesi, la difficoltà di spiegare come fosse possibile che i creditori,
deliberando a maggioranza sulla proposta di concordato preventivo,
potessero disporre gli uni dei diritti patrimoniali degli altri e che ciò
avvenisse in un sistema privatistico, in cui permane il principio per cui
nessuno può essere vincolato se non da propria dichiarazione di volontà, ha
convinto la dottrina di maggioranza a lasciare la concezione
19
E. S. FRASCAROLI, Il concordato preventivo, Padova, 1990, pag. 425 ss.
20
A. CANDIAN, Il processo di concordato preventivo, Padova, 1937, pag. 163 ss.; A.
BONSIGNORI, Il concordato preventivo, Commentario Scajola-Branca, Roma, 1979,
pag. 146 ss.; E. S. FRASCAROLI, op. cit., Padova, 1990, pag. 425 ss..
15
contrattualistica del concordato preventivo, preferendo di gran lunga una
ricostruzione strettamente processualistica.
Qui la dottrina ha teorizzato che il vincolo che pregiudica i diritti
patrimoniali, possa essere spiegato nel provvedimento che il giudice emette
sulla base della deliberazione di maggioranza.
C’è chi, infatti, sostiene che il concordato preventivo abbia addirittura
natura di sentenza.
Questa interpretazione deriva dal potere particolare che assume il Tribunale
all’interno del concordato, in quanto è chiamato sia a un controllo di
legittimità che anche di merito; infatti può negare l’omologazione per
ragioni di opportunità anche in presenza delle maggioranze stabilite.
C’è un altro lato del concordato che contrasta fortemente la tesi
contrattualistica e da spazio invece a quella pubblicistica; si tratta
dell’obbligatorietà che hanno tutti i creditori alla partecipazione del
concordato, nonostante la scelta sia stata effettuata con il criterio della
maggioranza; chiaramente ciò si contrappone notevolmente a una tesi
basata sull’accordo contrattuale tra le parti.
Si conclude che gli effetti del concordato non derivino dalla convenzioni
delle parti, a contenuto remissorio o liberatorio, ma direttamente dalla
volontà della legge.21
Altri autori, invece, non qualificano il concordato preventivo come una vera
e propria sentenza, ma lo riconoscono maggiormente in un accordo
convenzionale e allo stesso tempo giudiziale, quindi con carattere
processuale22.
Queste tesi penalizzano comunque eccessivamente l’importanza del voto
dei creditori, tanto è vero che sono state oggetto di critiche da parte di
21
E. S. FRASCAROLI, Op. cit., pag. 426.
22A. ROCCO, Il concordato nel fallimento e prima del fallimento, Torino, 1902, pag. 127.
16
illustri giuristi, proprio per il fatto che non si vuole considerare il ruolo dei
creditori come esclusivamente consultivo.23
Questi autori credono che il voto favorevole della maggioranza sia
comunque un atto imprescindibile del procedimento senza cui non si
arriverebbe al giudizio di omologazione.24
Nell’esaminare attentamente l’evolversi di queste teorie sulla natura
giuridica del concordato preventivo, si può notare che tale procedura sia
caratterizzata da una mescolanza di criteri e regole processuali con la
volontà negoziale delle parti , del debitore nel pagare e quindi conseguire
la liberazione e dei creditori nel soddisfarsi e nel rimettere il debito.
In conclusione si può affermare che l’organizzazione dei creditori è una
struttura disciplinata da norme processuali più che contrattuali, tanto è vero
che la tutela dei creditori viene regolamentata dall’autorità giudiziaria e
quindi non viene lasciata alla libera disponibilità delle parti; ma comunque
non si può disconoscere l’esistenza degli aspetti negoziali del concordato
che emergono nel diritto del voto dei creditori e nella proposta
concordataria che il debitore fa in presenza di determinati presupposti, nel
rispetto dei quali si acconsente alla procedura e che si analizzeranno
attentamente nei prossimi capitoli.
23
A. CANDIAN, Op. cit., pag. 177 ss.
24
A. BONSIGNORI, Del concordato preventivo, Comment. Scajola-Branca, pag. 321.