x
locali, con particolare riguardo ai trasferimenti (indice di dipendenza dai livelli di governo
superiori, non di autonomia).
Nella seconda parte vedremo invece quali sono i passi necessari per avviare la co-
struzione di un’opera pubblica secondo l’impostazione classica, dalla fase decisionale alla
richiesta di finanziamento alla Cassa Depositi e Prestiti; vedremo anche come l’iter procedu-
rale diventi più complesso nel caso in cui la costruzione dell’opera richieda l’intervento del-
lo Stato. Una visione generale dell’andamento delle spese in conto capitale nel corso degli
ultimi anni ci verrà invece fornita dai dati ricavati dalla Relazione generale sulla situazione
economica del Paese: verranno esaminate le spese dei Comuni e delle Province secondo la
classificazione economica e funzionale e le loro principali fonti di fondi.
La notevole diversità che caratterizza un’operazione di project financing rispetto
all’impostazione tradizionale e i vantaggi che ne potrebbero derivare in materia di conti
pubblici sono il filo conduttore del capitolo introduttivo della terza parte del lavoro: un sem-
plice modello descrittivo sarà utile per confrontare le due diverse impostazioni. Nel prosie-
guo della trattazione si comincia poi ad analizzare come i diversi soggetti pubblici e privati
possano partecipare all’operazione nei diversi ruoli dei promotori, dei finanziatori e degli u-
tilizzatori finali del prodotto o del servizio.
Dopo avere descritto le tre principali fasi in cui si articola un’operazione di questo ti-
po, dall’ideazione dell’iniziativa, alla sua realizzazione vera e propria, alla fase gestionale,
una notevole attenzione verrà dedicata all’aspetto meramente finanziario dell’operazione:
analizzeremo allora il piano finanziario e la composizione delle fonti di finanziamento, dalla
possibilità di usufruire di un’elevata leva finanziaria alla possibilità di ricorrere al mercato
dei capitali.
Una delle caratteristiche peculiari del project financing, quella che permette di distri-
buire i rischi gravanti sul progetto su un’ampio numero di soggetti, verrà descritta nel quinto
xi
capitolo. L’obiettivo, nella costruzione di un security package, è quello di cercare di indivi-
duare e neutralizzare ogni possibile evento che possa causare un sensibile scostamento dalle
previsioni iniziali; la risultante è tutta quella serie di strumenti contrattuali ed assicurativi
che garantiscono al progetto il rispetto dei tempi e modi previsti per il completamento.
Sarà proprio la problematica riguardo alla possibilità di poter contare su previsioni
certe di ricavi l’argomento dell’ultimo capitolo, nel quale viene trattato l’argomento delle ta-
riffe; nel caso di un’opera pubblica la tariffa è l’unica fonte di ricavi per il gestore privato e
per questo sono necessari accordi certi riguardo alla fissazione del prezzo che gli utilizzatori
del servizio dovranno sostenere. All’interno del capitolo verrà anche presentato un modello
di riferimento per la determinazione delle tariffe.
Il lavoro si conclude con la presentazione di un caso pratico, precisamente di uno
studio di fattibilità per un progetto industriale da finanziarsi con la tecnica del project finan-
cing; anche se non si riferisce alla realtà italiana, il caso presentato sarà molto utile per vede-
re in che modo i soggetti promotori, con l’aiuto dell’advisor, presentino la loro intenzione di
realizzare l’opera ai soggetti potenzialmente interessati a finanziarla. Uno studio del genere
richiede un elevato grado di accuratezza, per quanto riguarda le previsioni riguardo alle va-
riabili sia di tipo esogeno (quindi in riferimento sia all’evoluzione della domanda del prodot-
to in questione nel mercato di riferimento sia alla situazione politica nel paese dove verrà re-
alizzato l’impianto) che di tipo endogeno, riferite al progetto.
Le previsioni riguardo all’evoluzione della situazione economico-finanziaria del pro-
getto, e quindi riguardo alla velocità con cui esso sarà in grado di soddisfare al ripagamento
del servizio del debito, verranno attentamente considerate dalle banche in sede di decisione
riguardo alla fattibilità dell’operazione.
Parte prima - Finanza Locale
Capitolo 1 - La fornitura di beni pubblici locali.
1.1. - Il concetto di bene pubblico.
Un bene pubblico puro, nella formulazione originale di Samuelson e Musgrave, è un
bene che deve essere consumato in ammontare eguale da tutti
1
. Un tale bene ha due prin-
cipali caratteristiche: la prima è l’ ‘offerta congiunta’ nel senso speciale che, una volta che
viene fornito ad una persona, eguali quantità di servizi di pari qualità possono essere rese di-
sponibili ad altre persone senza limiti e senza altri costi; la seconda è l’ ‘impossibilità di e-
sclusione’: se il servizio è fornito ad una persona, esso non può essere sottratto ad alcun altra
persona che lo voglia consumare.
Questo concetto, di portata empirica estremamente limitata, può tuttavia essere gene-
ralizzato. La caratteristica di offerta congiunta può essere generalizzata in due distinte di-
mensioni: in primo luogo è normale che i benefici di un bene congiunto vadano scemando in
qualche maniera dal punto dell’input (per esempio la protezione antincendi che diminuisce
con la distanza dalla stazione dei pompieri); in secondo luogo, immaginando un incremento
costante della popolazione senza variazione della sua distribuzione, è solo fino ad un certo
punto che lo stesso livello di servizio può essere fornito ad ulteriori utenti senza costi ag-
giuntivi: al di là di questo punto si ha congestione e il livello di servizio si deteriora.
La caratteristica dell’impossibilità di esclusione può invece essere generalizzata fino
a coprire empiricamente casi più significativi come quello in cui i prezzi potrebbero facil-
1 Si veda J.G. Head, Beni pubblici cit., p. 50.
2
mente venire fissati per alcuni ma non per tutti i benefici di un servizio particolare (pensia-
mo al programma di vaccinazione del servizio sanitario).
Operando tali generalizzazioni, ci ritroviamo con una considerevole gamma di beni
‘impuri’ per i quali la fornitura pubblica può ancora apparire appropriata, ma si rende ne-
cessaria una qualche misura di decentramento dei poteri di decisione politica alle unità re-
gionali e locali. Infatti alcuni beni si avvicinano al concetto di bene pubblico centrale e do-
vrebbero essere forniti dal governo centrale; altri possono essere beni pubblici regionali ri-
chiedenti per una loro fornitura ottimale un numero limitato di governi regionali (alcuni e-
sempi possono essere l’istruzione universitaria, le autostrade); altri ancora possono essere
beni pubblici locali che richiedono un numero relativamente elevato di governi locali. Il gra-
do in cui il potere effettivo di decisione politica dovrebbe venire delegato alle unità locali
dovrebbe dipendere dai possibili vantaggi che possono derivarne in termini di rivelazione
delle preferenze, specie quando la eterogeneità di gusti e ubicazione è molto grande. Quando
ciò non accada, le unità locali possono semplicemente essere incaricate di amministrare de-
cisioni centralizzate riguardanti il livello della fornitura del servizio.
3
1.2. - Beni pubblici e fornitura efficiente.
Alla base del problema di quali competenze o funzioni possono essere efficiente-
mente assegnate ai livelli superiori e quali ai livelli inferiori, stanno i due concetti/grandezza
dell’area geografica entro la quale una data attività svolta da una giurisdizione fa sentire i
propri effetti e dell’area geografica delimitata dai confini della giurisdizione. Ora, perchè
una funzione sia svolta a livello efficiente, è necessario che le due aree geografiche coinci-
dano: infatti, nei casi in cui l’area dei benefici è inferiore o superiore a quella dei confini del-
la giurisdizione, l’attività sarà svolta ad un livello non efficiente.
Pensiamo infatti, per il primo caso (area dei benefici inferiore), ad una ipotetica fun-
zione di controllo dell’inquinamento acustico esercitata dal governo centrale: l’area dei be-
nefici sarà limitata alle zone industriali le quali, per il fatto che i non residenti saranno con-
trari al pagamento di una parte di costo di un beneficio di cui non godono, molto pro-
babilmente non riusciranno ad ottenere l’approvazione dei provvedimenti a livello centrale,
a meno che non godano di un forte potere contrattuale.
Analizzando il caso opposto, sempre nel caso di una fornitura di servizi centralizzata,
andiamo invece incontro al problema degli spillovers di benefici i quali, distorcendo la lo-
calizzazione della produzione, fanno sì che un più ampio volume di risorse sia attribuito alla
produzione di un più basso volume di servizi nel complesso del paese
2
. Infatti, là dove è
molto difficile, costoso od inefficiente escludere le utenze mediante il meccanismo delle ta-
riffe entro una certa località vi sarà sempre qualche traboccamento, non assoggettabile a cor-
rispettivo, di servizi a favore di residenti di altre località. Alcuni spillovers di benefici sono
4
peraltro inevitabili anche in un sistema di confini ottimali disegnati rispettando la co-
incidenza delle due aree geografiche viste sopra (tipici i casi di traboccamenti indiretti do-
vuti alla pendolarità).
Quindi la giustificazione sulla base della efficienza di un effettivo decentramento del-
le decisioni politiche nell’offerta di beni pubblici regionali o locali viene indebolita dall’ esi-
stenza di spillovers significativi; però i benefici in termini di rivelazioni delle preferenze per
i beni pubblici locali possono bene giustificare una combinazione della decisione locale e di
una compensazione, sotto forma di coordinamento, per la fornitura di tali beni. Un tale coor-
dinamento può essere possibile sia su base puramente volontaristica, tra enti locali (attraver-
so accordi di compensazione), sia attraverso un sistema di sovvenzioni correttive ammini-
strate da un superiore livello di governo.
2 Cfr. J.M. Buchanan e M.Z. Kafoglis, A Note on Public Good Supply, in American Economic Review, 1963, citati in
J.G. Head, Beni Pubblici cit., p. 62.
5
Capitolo 2 - Rapporti tra finanza centrale e finanza locale.
2.1. - Due necessità di coordinamento.
La ripartizione dell’attività finanziaria tra enti di vario grado è il risultato di cause di
carattere sia storico-politico, attinenti alle funzioni tradizionalmente attribuite all’ente locale
quale, ad esempio, quella di far partecipare i cittadini alla trattazione di problemi ammini-
strativi vicini alla loro esperienza, sia di carattere tecnico-economico, come la facile acces-
sibilità al pubblico degli uffici degli enti locali e l’opportunità, già ricordata, che l’area di un
unità sia fatta coincidere, quanto è meglio possibile, con l’area nella quale si risentono i be-
nefici, diretti ed indiretti, dei servizi cui l’unità provvede: si spiega così, ad esempio,
l’affidamento della rete delle strade di grande comunicazione al governo centrale e, vice-
versa, l’affidamento della manutenzione della rete fognaria e dei parchi ai minori enti locali.
Tale ripartizione di attività finanziaria necessita però di una doppia forma di coordi-
namento:
a) coordinamento nella distribuzione delle funzioni tra il governo centrale e i diversi
ordini di enti locali;
b) coordinamento delle linee generali della politica finanziaria del governo centrale e
degli enti locali (in particolare, controllo del livello complessivo della spesa pub-
blica e del prelievo tributario, per evitare che la sovrapposizione dei diversi sistemi
conduca ad una pressione tributaria eccessiva e disordinata.
Quanto al primo dei due problemi, una definizione delle funzioni degli enti locali,
che tenga conto di fattori dinamici quali il raggiungimento di dimensioni adeguate dei sin-
goli enti e il trasferimento di competenze tra enti di diverso livello, sembra premessa indi-
6
spensabile per una corretta soluzione di problemi finanziari, come la ripartizione delle en-
trate tra Stato ed enti locali nel loro insieme, tra enti locali di diverso grado e tra contribuenti
nell’ambito dello stesso ente locale. Questo soprattutto perchè, nel caso degli enti locali, è
più ampia l’area dei servizi pubblici il cui costo può, almeno in principio, essere coperto se-
condo il criterio del beneficio che i servizi stessi recano a individui o a gruppi di individui.
Si vede dunque come sia particolarmente rilevante la connessione tra il sistema delle fun-
zioni svolte dagli enti locali e il sistema delle imposte ad essi attribuite.
La seconda forma di coordinamento tra finanza centrale e finanza locale si è resa via
via più necessaria con l’espandersi dell’attività economica degli enti pubblici, i cui interventi
hanno spesso ad oggetto le dimensioni e gli orientamenti fondamentali dell’economia di un
paese e pertanto devono essere progettati e attuati su scala nazionale. Questo però richiede
che essi rientrino nella diretta responsabilità del governo centrale o che, per la parte che è la-
sciata agli enti locali, le loro decisioni siano coordinate in modo tale da concorrere con la po-
litica seguita dal governo nazionale.
Tipici esempi di contrasti tra la politica finanziaria degli enti locali con le politiche di
stabilizzazione del governo centrale possiamo trovarli nei periodi di depressione o espan-
sione economica nei quali, mentre il governo cerca di svolgere un azione anticongiunturale
(espandendo o contraendo le spese), si è spesso osservato che gli enti minori fanno il con-
trario. Questo differente comportamento può essere spiegato con la diversa possibilità di ri-
correre al debito, possibilità molto maggiore per il governo centrale che non per gli altri enti
(anche perchè i debiti di un ente locale sono in generale debiti esterni); inoltre si deve con-
siderare che le spese di un ente locale si traducono in domanda (e quindi in effetti espansivi),
all’interno della giurisdizione, in misura generalmente minore di quanto avviene per le spese
statali per cui è possibile che le decisioni di investimento prese dagli enti siano insufficienti
rispetto al tasso di sviluppo economico auspicato dal governo centrale.
7
2.2. - L’azione di coordinamento e di controllo.
Viene svolta dal governo centrale tanto dal lato delle spese quanto dal lato dalle en-
trate. Il volume e la composizione delle spese sono controllati sia fissando certi servizi la cui
prestazione da parte degli enti locali è obbligatoria, sia favorendo la prestazione di altri me-
diante concessione di finanziamenti specifici; inoltre viene limitata in varî modi l’entità delle
spese la cui esecuzione è lasciata alla facoltà degli enti stessi. Analizziamo, per ora in modo
molto semplificato, la bipartizione fondamentale che distingue:
a) le spese correnti, che vengono fatte corrispondere ai consumi pubblici e sono anche
dette di funzionamento perchè servono a far ‘funzionare’ gli organi istituzionali,
l’amministrazione e i servizi pubblici;
b) le spese di investimento, che vengono fatte corrispondere alla produzione pubblica
e creano i beni e le strutture necessarie per il funzionamento dei servizi pubblici,
oppure le infrastrutture utilizzate dai privati.
Vi sono poi degli ulteriori vincoli, che sono quelli sulla gestione del patrimonio e
sull’accensione di debiti: questi ultimi hanno lo scopo di contenere l’indebitamento entro li-
miti dati, da una parte, dalle capacità dei singoli enti a far fronte in futuro al servizio dei pre-
stiti, dall’altra, dalle dimensioni del mercato finanziario nazionale e quindi dalla necessità di
un coordinamento del ricorso a tale mercato da parte degli enti pubblici nel loro complesso.
Parlando invece delle entrate, nelle strutture istituzionali e amministrative moderne,
agli enti di governo locali, o comunque sub-centrali, non è riconosciuta la facoltà di finan-
ziarsi mediante emissione di moneta: sono invece in genere ammesse le altre tre forme clas-
siche di provvista di mezzi finanziari di cui dispone l’operatore pubblico: la vendita di beni
8
e, soprattutto, di servizi sul mercato, il ricorso all’indebitamento, le fonti di natura tributaria.
In verità il campo principale nel quale si opera il coordinamento tra finanza centrale e fi-
nanza locale è proprio quello delle entrate tributarie. Queste possono essere articolate se-
condo un ventaglio di modalità che può essere ora descritto sommariamente, tenendo conto
che avremo modo di approfondire l’argomento nella parte del lavoro dedicata alle modalità
di finanziamento degli enti locali per la realizzazione delle opere pubbliche:
a) entrate proprie, secondo il cosiddetto principio della separazione delle fonti;
b) entrate derivanti da quote di proventi fiscali di un ente superiore, ripartite sulla
base di quanto prelevato nell’ambito della circoscrizione dell’ente locale. Questo
tipo di entrata assume usualmente la forma di sovraimposizione;
c) entrate derivanti da proventi fiscali di un ente superiore ripartite secondo criteri
come la popolazione, la superficie dell’ente beneficiario, il reddito pro capite,
ecc. Si parla in questo caso di partecipazione al gettito delle imposte del governo
centrale;
d) trasferimenti non condizionati, cioè sussidi di un ente superiore aventi carattere
di finanziamento generale, quindi non vincolati ad una particolare destinazione.
Sono solitamente accordati secondo i criteri già visti sopra;
e) trasferimenti condizionati, cioè vincolati all’assolvimento di una determinata at-
tività, alla realizzazione di un determinato servizio o infrastruttura o semplice-
mente all’impiego in un determinato settore d’intervento.
All’interno della forma del trasferimento possiamo inserire inoltre i trasferimenti in-
centivanti, quelli in somma determinata e quelli discrezionali.
9
Capitolo 3 - Il finanziamento degli enti locali.
3.1. - Autonomia ed interdipendenza.
L’esperienza di molti paesi dimostra che solo un accorto dosaggio dei vari tipi di fon-
ti o modalità di finanziamento viste sopra può consentire il raggiungimento degli obiettivi
politici, sociali ed economici cui è diretta una struttura di governo basata su una pluralità di
livelli. La scelta dell’optimum mix, che in larga od esclusiva misura dipende dal legislatore
dello stato centrale, sarà condizionata in particolare: dal grado desiderato di autonomia e de-
centramento decisionale; dalla equidistribuzione del carico fiscale e dall’uguaglianza dei li-
velli quantitativi e qualitativi dell’offerta dei servizi pubblici sul territorio nazionale; dal
controllo dell’economia nel breve e lungo periodo.
E’ possibile distinguere le modalità di finanziamento in due grandi ambiti: una prima
sfera che potremmo definire dell’autonomia o del beneficio locale ed una seconda sfera
dell’interdipendenza. La prima sfera è caratterizzata dal fatto che determinati proventi deri-
vano all’ente locale in relazione a risorse imponibili esistenti nell’ambito della circoscri-
zione dell’ente medesimo, ed in relazione a poteri in base ai quali l’ente locale può influire
in qualche modo sul volume dell’introito; nella sfera della interdipendenza rientrano invece
modelli di finanza derivata o di trasferimento.
La definizione della sfera dell’autonomia comporta la necessità di dare risposta a tre
differenti problemi:
a) quali poteri affidare in relazione alla determinazione delle basi imponibili, della
fissazione delle aliquote ed alla gestione dei problemi di accertamento;
10
b) a quale livello o livelli politico-amministrativi affidare tali poteri;
c) quali imposte far rientrare in questa sfera autonoma.
Per quanto riguarda la prima delle questioni, va detto che la possibilità di determina-
zione o di variazione della base imponibile viene da più parti riconosciuta in modo molto re-
strittivo o addirittura esclusa (anche per contrasto con il principio sancito dall’art. 23 Cost.
che riserva alle leggi dello Stato il potere di intervenire in materia tributaria); per quanto ri-
guarda invece il problema di operare una corretta scelta delle forme impositive locali, viene
solitamente accordata preferenza a quelle forme di imposta che, olterechè consentire all’ente
locale ragionevoli introiti, permettano alla collettività di stabilire un diretto raccordo tra spe-
sa locale ed onere sostenuto per affrontarla.
La sfera dell’interdipendenza racchiude in sé quei modelli di finanziamento degli enti
sub-centrali o locali in cui, grazie al sistema dei trasferimenti, più strette diventano le rela-
zioni finanziarie intergovernative. Questo schema di finanziamento, detto anche di finanza
derivata, è quello che ha avuto nel dopoguerra uno sviluppo nettamente superiore a quello
dell’autonomia, per arrivare al culmine all’inizio degli anni ‘70.
Anticipiamo qui le due principali finalità dei trasferimenti, i quali possono avere sia
funzione di correzione dei c.d. squilibri verticali (originati dalla scarsità di risorse dei livelli
inferiori di governo in relazione ai compiti loro attribuiti), sia funzione perequativa, volta al-
la correzione degli squilibri orizzontali, cioè dei diversi rapporti tra i bisogni e le risorse
proprie tra enti operanti allo stesso livello.
11
3.2. - Il finanziamento con le imposte.
E’ necessaria innanzitutto una precisazione terminologica: si devono intendere im-
poste locali quelle per le quali gli enti locali hanno la facoltà di decidere le aliquote e gli altri
elementi che concorrono a determinare il carico dell’imposta per i singoli contribuenti. Se
questa autonomia non esiste, non si può parlare di imposte locali: infatti, anche nel caso in
cui le giurisdizioni locali abbiano diritto al gettito di talune imposte, si ha un unico sistema
nazionale di imposte, con la particolarità che il gettito di alcune di esse è destinato agli enti
locali secondo quanto riscosso nella loro giurisdizione.
Vediamo ora due problemi essenziali che influiscono sulla scelta delle imposte lo-
cali: la concorrenza fiscale e l’esportazione delle imposte.
Praticamente nei confronti di ogni imposta, un ente locale potrebbe avere conve-
nienza a ridurre le aliquote per aumentare il proprio gettito attirando base imponibile dalle
circoscrizioni vicine: è sufficiente che l’elasticità della base rispetto all’aliquota sia superiore
a uno perchè l’operazione sia conveniente. Questa concorrenza può essere effettuata facil-
mente sia con le imposte gravanti sulle imprese sia con quelle personali sul reddito e con le
imposte sulle vendite ma, in realtà, esiste un interesse comune delle amministrazioni locali a
non variare sovente le aliquote o a richiedere che al livello locale vengano attribuite imposte
che non si prestino a tale concorrenza fra le giurisdizioni.
Più concreta è invece la possibilità di esportare le imposte, cioè di farle pagare a cit-
tadini residenti in giurisdizioni diverse da quelle che le riscuotono. L’esportazione può es-
sere sia involontaria (come nel caso di un’imposta di produzione sui liquori: l’azienda pro-
duttrice, esportando il prodotto, esporta anche una parte dell’onere fiscale all’esterno) che
volontaria: questo è il caso in cui una giurisdizione sfrutta una rendita di posizione di cui di-
12
spone (un tempo i pedaggi sui ponti, oggi le imposte di soggiorno nei Comuni turistici). Non
si ha invece esportazione dell’imposta quando si fa pagare ai non residenti il costo dei ser-
vizi da essi utilizzati (ad esempio le tariffe di parcheggio): fare coincidere benefici del ser-
vizio e prezzo pagato è fattore di efficienza.
Resta da vedere ora quali siano, a tutt’oggi, le imposte di competenza degli enti lo-
cali; in merito, non possiamo restare indifferenti alla accesa discussione, anche politica, sulla
questione del federalismo fiscale.
Le imposte più diffuse nei paesi industrializzati riguardano la proprietà immobiliare,
anche perchè hanno il vantaggio di combinare il principio del beneficio con quello della ca-
pacità contributiva; una discreta diffusione hanno poi le imposte personali sul reddito, ma in
nessun caso gli enti locali amministrano da soli queste imposte (infatti agiscono seguendo il
principio della sovraimposizione). In Italia, l’imposta comunale sugli immobili (ici) è desti-
nata a restare la principale entrata comunale; peraltro, l’autonomia (costituita dalla libertà di
fissare l’aliquota tra il 4% ed il 7%) è mortificata dalla dipendenza dai valori catastali che
continuano ad essere non aggiornati e rigidi (la base imponibile dell’ici dovrebbe essere il
patrimonio delle persone fisiche e giuridiche, ma in realtà è costituita dalla capitalizzazione
della rendita catastale). Invece l’imposta comunale per l’esercizio di imprese, arti e profes-
sioni (iciap) dovrebbe venire soppressa, all’interno di un processo di semplificazione che
sembra essere cominciato, se venisse introdotta l’irep (imposta regionale sulla produzione);
stesso discorso per i tributi c.d. minori, quali la tassa per l’occupazione di spazi ed aree pub-
bliche, il diritto sulle pubbliche affissioni, la tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi,
l’addizionale sui consumi di energia elettrica e altre.