Introduzione
5
A tale scopo, è stato scelto di prendere in considerazione nel dettaglio le fasi
del trattamento che hanno accompagnato le diverse tappe di sviluppo di due
bambini, entrambi affetti da diplegia spastica, ma, per uno dei quali, il quadro è
aggravato da un deficit visivo pressoché totale, ritenendo che, proprio il
confronto tra le due esperienze possa costituire il mezzo più semplice ed
immediato al fine di far emergere le differenze operative nei due contesti.
In una prima sezione di questo lavoro, in particolare, verrà svolto un breve
inquadramento della Diplegia nell’ambito del complesso capitolo delle Paralisi
Cerebrali Infantili e, a seguire, un cenno al sistema visivo, al suo sviluppo,
insieme ad alcune informazioni generali riguardanti la Retinopatia del
Pretermine. La parte si conclude, poi, scendendo più nel particolare dello
sviluppo motorio del bambino sano, del ruolo cruciale, in esso, della visione, e
come questo viene notevolmente influenzato e modificato dal deficit
neuromotorio e da quello visivo.
La seconda sezione, invece, dopo aver fornito alcune delucidazioni generali
sull’elaborazione del programma riabilitativo e dopo aver definito ciò che per
“strumenti riabilitativi” si vuole intendere, viene dedicata all’approfondimento
delle modalità operative del trattamento messe in atto nel caso di diplegia e di
cecità, prima a livello teorico, per poi considerare, nei particolari, ciò che è stato
svolto praticamente durante la presa in carico dei due bambini.
1. La Diplegia Spastica nell’ambito delle Paralisi
Cerebrali Infantili
Per affrontare in modo completo le problematiche riguardanti la diplegia
nell’ambito dello sviluppo motorio del bambino, occorre innanzitutto inquadrarla
all’interno del vasto capitolo delle Paralisi Cerebrali Infantili, accennando
appena alle spinose questioni della definizione e della classificazione, non con
la pretesa di presentare in modo esaustivo un argomento sul quale autori di
diverse nazionalità si sono confrontati per oltre un secolo, ma con il solo
obbiettivo di rendere evidente la complessità dell’argomento trattato.
1.1 Definizione di P.C.I.
Fino ad oggi le definizioni, descrizioni e classificazioni della PCI, sono state le
più diverse ed hanno subito numerose variazioni nel tempo, poiché sono state
elaborate da punti di vista differenti. (1)
È molto difficile dare una definizione e fare una descrizione che vada ad
attribuire unità a questo gruppo eterogeneo di sindromi, anche se dal punto di
vista clinico può essere considerato come un raggruppamento di quadri
sintomatologici diversi, accomunati da un evidente disturbo motorio di origine
encefalica. (4)
Tra le tante definizioni, una delle più accreditate, ancora oggi, è quella
elaborata dalla “Spastic Society” a Berlino nel 1966 che definisce la PCI una
“turba persistente ma non immutabile della postura e del movimento, dovuta ad
alterazioni della funzione cerebrale, per cause pre- peri- post- natali, prima che
se ne completi la crescita e lo sviluppo”.
Il termine turba indica una condizione, cioè uno stato permanente, non tanto
una malattia, passibile di evoluzione sia in senso positivo che negativo: una
turba permane, mentre una malattia può cambiare. L'aggettivo persistente
rinforza il concetto di turba come condizione stabile e definitiva, cioè non
evolutiva e viene solo in parte attenuato dall'aggettivo non immutabile che
indica come siano tuttavia possibili cambiamenti, migliorativi o peggiorativi,
1. La Diplegia spastica nell’ambito delle Paralisi Cerebrali Infantili
7
spontanei o indotti. Sostengono i miglioramenti la plasticità della struttura del
SNC, con le sue possibilità compensatorie, e soprattutto la capacità di
apprendimento attraverso l’esperienza. Per i peggioramenti dobbiamo
considerare che, anche se la lesione di per sé non evolve, divengono sempre
più complesse le richieste dell' ambiente al sistema nervoso con conseguente
aggravamento della disabilità, in funzione sia del danno primitivo, sia dei deficit
accumulati strada facendo in ragione della mancata acquisizione di esperienze
e di nuove abilità. L'espressione "alterazioni della funzione cerebrale" sottolinea
che la paralisi determina una incapacità del sistema, piuttosto che il deficit di
uno o più dei singoli apparati che lo compongono. In questo senso il termine
"cerebrale" va intesto come sinonimo di sistema nervoso e non di cervello.
Solo in parte è possibile stabilire una correlazione significativa tra sede e
misura del danno organico e natura e gravità della paralisi conseguente.
L'espressione "crescita e sviluppo del sistema nervoso", che con una forzatura
linguistica si riferisce all'aggettivo "cerebrale" piuttosto che al sostantivo
"funzione", vuol significare che la PCI si distingue dalla paralisi dell'adulto in
quanto mancata acquisizione di funzioni piuttosto che perdita di funzioni già
acquisite. L'espressione rimane ambigua perché non definisce a quali funzioni
ci si riferisce, anche se generalmente viene attribuita alla statica ed alla
locomozione (2,3).
1.2 Eziologia delle P.C.I.
Le cause di PCI sono varie e rappresentano qualsiasi evento in grado di
determinare lesioni cerebrali, intercorso a partire dal periodo embrionario fino
alla fine del 1°-2° anno di vita.
Sono sostanzialmente:
1. fattori prenatali (entro la 28ª sett. di gestazione):
anossia fetale che compromette l’apporto di sangue e di ossigeno al feto
(disturbo fetale cronico e le alterazioni placentari); prematurità; infezioni
materne (toxoplasmosi, citomegalovirus, rosolia,…); malattie metaboliche
materne (diabete); ittero (da isoimmunizzazione Rh); alterazioni cromosomiche;
malformazioni congenite; sindromi neurocutanee;farmaci; radiazioni.
1. La Diplegia spastica nell’ambito delle Paralisi Cerebrali Infantili
8
2. fattori perinatali (dalla 28ª sett. di gestazione al 10º giorno di vita):
prematurità (distress acuto con sindrome anosso-ischemica; emorragia
ventricolare o parenchimale); distocia da parto (danni per cause meccaniche e
distress fetale acuto o subacuto); farmaci.
3. fattori postnatali:
alterazioni metaboliche; infezioni (meningo-encefalite); traumi; disidratazione.(6)
La nascita pretermine, a causa della condizione di immaturità del neonato,
costituisce un evento di gran rischio per lo sviluppo di patologie neuromotorie. Il
rischio è tanto più grande quanto più basso il peso del neonato. La prematurità
è strettamente correlata alla diplegia spastica poiché i nati pretermine,
presentando una spiccata fragilità vasale, sono maggiormente soggetti ad
alterazioni trombotiche o emorragiche nelle aree periventricolari, ove decorrono
le fibre piramidali destinate agli arti inferiori.
Circa il 10% delle PCI sono probabilmente dovute ad asfissia perinatale.
Questa, alla nascita, comporta un’ipossia o un’ischemia cerebrale o, più
frequentemente, i due meccanismi sono associati (encefalopatia ipossico-
ischemica). (5)
L’incidenza della PCI, che nei paesi occidentali risulta ormai stabile, è stimata
intorno ai 2-3 casi ogni 1000 nati vivi. L’incidenza è significativa nei bambini nati
prematuri (in particolare sotto le 32 settimane di età gestazionale) e nei neonati
di peso inferiore ai 1500 gr. La prevalenza è complessivamente stimata intorno
a 1:500 bambini in età scolare.
1.3 Le Classificazioni
Nella PCI, proprio per l’eterogeneità dei fattori eziologici e la varietà dei quadri
clinici, è stato utilizzato, fin dai primi tentativi di classificazione, il criterio
descrittivo-fenomenologico che raggruppa i casi in base alle caratteristiche e
alla distribuzione dei sintomi.
La classificazione sintomatica più recente e diffusa a livello internazionale è
quella della scuola svedese proposta da Hagberg nel 1975. Essa ha la finalità
di individuare quadri clinici che agevolino gli studi epidemiologici e quindi
1. La Diplegia spastica nell’ambito delle Paralisi Cerebrali Infantili
9
risente di una certa semplificazione. Hagberg differenzia i quadri clinici delle
PCI in 3 grandi aree in base al sintomo prevalente:
• Forme spastiche
• Emiplegia (compromissione di un emisoma in cui il deficit può prevalere
all’arto superiore o all’arto inferiore).
• Diplegia (compromissione prevalente agli arti inferiori rispetto agli arti
superiori).
• Tetraplegia (compromissione della stessa entità ai 4 arti o maggiore agli arti
superiori).
• Forme atassiche
• Diplegia atassica (associata alla spasticità prevalente agli arti inferiori sono
presenti segni atassici specie agli arti superiori).
• Atassia congenita (quadri di atassia semplice senza componente spastica).
• Forme discinetiche
• Coreoatetosi (caratterizzata da movimenti coreici, atetosici e coreoatetosici,
coinvolgenti gli arti e il volto, con lieve ipotonia globale).
• Forma distonica (forma più grave dominata da distonie, dalla persistenza di
pattern riflessi primitivi con grave ipotonia di tronco e distretti bucco-facciali).
Una variante alla classificazione di Hagberg, più dettagliata nella descrizione
della distribuzione dei sintomi, è stata proposta da Michaelis nel 1989.
Michaelis distingue le forme spastiche in forme monolaterali e in forme bilaterali
in base alla distribuzione prevalente della spasticità.
• Forme bilaterali
• Leg dominated tetraparesis (corrispondente alla diplegia).
• Three limb dominated tetraparesis (corrispondente alla triplegia).
• Side dominated tetraparesis (spasticità prevalente ad un emisoma).
• Four limb tetraparesis (corrispondente alla tetraplegia).
• Crossed dominated tetraparesis (spasticità prevalente ad un arto superiore e
all’inferiore controlaterale).
• Forme monolaterali nelle quali sono incluse le forme emiplegiche pure e le
monoparesi (considerate espressione di emiparesi a netta prevalenza ad un
arto).
1. La Diplegia spastica nell’ambito delle Paralisi Cerebrali Infantili
10
Inoltre non sono contemplate in questa classificazione le forme di paraparesi,
perché considerate espressioni di patologie midollari, e la forma ipotonica o
aposturale, perché rilevata solamente nei primi due anni di vita, prima che
emergano i segni di tipo distonico o atassico.
Più recentemente, nel 1997, è stato proposto da un gruppo di ricercatori
americani e canadesi (Palesano, Rosenbaum et al.) un approccio diverso alla
classificazione, basandosi sui concetti di disabilità e limitazione funzionale,
permettendo così di determinare i bisogni del bambino e di deciderne gli
interventi terapeutici, nonché di verificare la validità del progetto terapeutico.
• Livello I: il bambino cammina senza restrizioni sia in ambiente familiare che
all’esterno. Le limitazioni si evidenziano in abilità motorie più complesse (corsa,
salto, ecc…).
• Livello II: il bambino cammina senza l’uso di ausili in ambiente familiare, ma
presenta limitazioni e necessità di assistenza negli ambienti esterni. Sale le
scale con appoggio e non è in grado di correre o saltare.
• Livello III: il bambino cammina con l’aiuto di ausili sia in ambiente familiare
che all’esterno; in ambienti estranei o per lunghi percorsi deve essere
trasportato. È in grado di mantenere la stazione seduta in autonomia.
• Livello IV: il bambino non è in grado di camminare anche con l’uso di ausili e
deve essere assistito anche nei passaggi da seduto ad eretto. Mantiene la
stazione seduta con sostegno e per gli spostamenti utilizza la carrozzina.
• Livello V: il bambino presenta gravi limitazioni dell’autonomia motoria anche
con l’uso di ausili. Non è in grado di mantenere la stazione seduta, né di
controllare stabilmente il capo; inoltre deve essere trasportato e assistito in tutte
le posture.
Per ogni livello, inoltre, sono descritte le abilità funzionali e le limitazioni che
caratterizzano le diverse fasce d’età (prima dei 2 anni, dai 2 ai 4 anni, dai 4 ai 6
anni, dai 6 ai 12 anni).
Negli anni più recenti il problema della definizione è divenuto meno importante,
poiché le nuove possibilità diagnostiche con le neuroimmagini e con le indagini
genetiche hanno reso possibile identificare precocemente le caratteristiche, l’
eziologia e il timing delle lesioni. Attualmente è di uso comune in letteratura
definire la PCI come una “Umbrella Diagnosis” (Mutch, 1992), cioè come una
1. La Diplegia spastica nell’ambito delle Paralisi Cerebrali Infantili
11
serie di quadri clinici a varia eziologia e con diverse espressioni sintomatiche,
che hanno in comune i disordini del movimento e la non progressività della
lesione. I disordini del movimento possono essere l’unica manifestazione
clinica, o ad essi possono essere associati disordini di altre funzioni, che talora
possono avere un rilievo predominante sulla sintomatologia motoria (7). I
principali disturbi associati sono rappresentati da:
disturbi della sensibilità;
disturbi visivi;
disturbi uditivi;
disturbi dell’integrazione percettivo-motoria;
disturbi della dominanza laterale;
disturbi del linguaggio;
disturbi convulsivi;
ritardo mentale;
disturbi emotivi comportamentali.
Queste manifestazioni patologiche, in associazione al disturbo motorio, sono
causa nel bambino di un’alterata acquisizione dello schema corporeo sia
perché il bambino, a seconda della forma di PCI presente, utilizza contro
gravità linee di forza anomale in intensità (come anomale si presentano le
modalità di mantenimento delle diverse posture e di spostamento), sia perché le
informazioni percettive che riceve dai segmenti corporei “sani” e da quelli
“malati” sono discordanti, rendendo così difficoltosi gli adattamenti del proprio
corpo a scopi relazionali ed inter-relazionali (5).
1.4. La Diplegia Spastica
1.4.1 Eziopatogenesi e diagnosi
La diplegia spastica è la forma più frequente di PCI (40-45%) ed è correlata in
particolare con la nascita pretermine. In realtà, gli studi epidemiologici e
solamente l’utilizzo recente della Risonanza Magnetica, hanno messo in
evidenza l’esistenza di un diverso pattern eziologico e patogenetico della
diplegia nel neonato pretermine da quello del neonato a termine.
1. La Diplegia spastica nell’ambito delle Paralisi Cerebrali Infantili
12
¾ Nel bambino pretermine la diplegia ha un pattern neuropatologico
omogeneo e ben conosciuto rappresentato dalla Leucomalacia Periventricolare
(LPV), lesione anossico-ischemica presentata soprattutto dai bimbi affetti di età
gestazionale compresa tra le 28 e le 36 settimane (Hagberg, 1993),
caratterizzata dalla necrosi della sostanza bianca periventricolare con
caratteristica distribuzione in quella adiacente agli angoli esterni dei ventricoli
laterali. Volpe (1992) sostiene che la causa primaria di LPV è l’ipotensione
sistemica anche di lieve entità ed attribuisce un ruolo fondamentale a tre fattori
nella sua patogenesi: 1) le strutture vascolari periventricolari, che rendono
questa regione particolarmente vulnerabile all’ischemia cerebrale nel
pretermine; 2) la circolazione cerebrale del pretermine, che dipende
passivamente dalla pressione arteriosa per l’insufficienza dei meccanismi di
regolazione vasale; 3) la maggior vulnerabilità delle cellule gliali periventricolari
in fase di attiva differenziazione e mielinizzazione. Nel bambino di età
gestazionale molto bassa invece (<28-30 settimane) predominano gli infarti
emorragici periventricolari, di frequente associati ad emorragie intraventricolari,
che evolvono in cavitazioni cistiche confluenti nei ventricoli laterali.
La relazione fra gli aspetti morfologici della LPV e il quadro clinico della diplegia
spastica è ormai chiaro: la compromissione motoria prevalente agli arti inferiori
rispetto a quelli superori è dovuta alle lesioni della sostanza bianca prevalenti
nelle aree laterali e dorsali dell’angolo esterno dei ventricoli laterali e che
interrompono i tratti cortico-spinali provenienti dalla corteccia motoria e diretti
agli arti inferiori. Dagli studi di RM, inoltre, anche l’estensione e la distribuzione
della LPV è risultata correlata con diversi aspetti clinici della diplegia, quali
disordini visuopercettivi (Koeda 1992) o il livello di Q.I. totale (Fedrizzi 1996).
¾ La proporzione di bambini nati a termine fra quelli affetti è nettamente più
bassa rispetto ai nati pretermine (25-30%); il pattern di cause e di fattori di
rischio è molto più eterogeneo e complesso rispetto a quella del pretermine. In
particolare Hagberg (1993) ha messo in luce la netta prevalenza di fattori di
sofferenza prenatale (malformazioni, lesioni pericorticali, LPV, lesioni
poroencefaliche) o non identificabili, rispetto ai fattori perinatali, molto elevati nel
gruppo dei pretermine.