dell’essenziale e gente che sciupa senza ritegno ciò di cui altri hanno disperato
bisogno. Simili contrasti sono un affronto alla dignità della persona umana.
Non mancano certo i mezzi adeguati per eliminare la miseria, quali la
promozione di consistenti investimenti sociali e produttivi da parte di tutte le
istanze economiche mondiali".
3
CAPITOLO I: ASPETTI TEORICI DELLA
GLOBALIZZAZIONE E DELLA
INTERNAZIONALIZZAZIONE
“L’impeto della globalizzazione
unisce il mondo, ma al
contempo il mondo si sta sgretolando”
1
.
I.1. Che cos’è la globalizzazione?
Globalizzazione è il derivato di un verbo, globalizzare in italiano,
globaliser in francese, to globalize in inglese. Esso ha due accezioni
ben distinte: “considerare in modo globale” e “rendere globale”.
La globalizzazione è un processo in seguito al quale gli Stati nazionali e la
loro sovranità vengono condizionati e connessi trasversalmente da attori
transazionali, dalle loro chance di potere, dai loro orientamenti, identità e reti
2
.
Perciò la società mondiale non è, innanzitutto, una megasocietà
nazionale che annulla tutte le società nazionali, ma un orizzonte
costituito da molteplicità e non-integrazione, una società mondiale
senza Stato mondiale e senza governo mondiale, un capitalismo globale
dis-organizzato. L’opinione pubblica, così pure i governi,
sembrano disorientati da un tale processo: la mappa del mondo è
stata ridisegnata soprattutto dagli sconvolgimenti politici e dai
mutamenti tecnologici, e ciò ha scaturito due tendenze di fondo:
processo di globalizzazione, spinto dalle imprese, le protagoniste
della globalizzazione economica, e favorito dalla riduzione dei costi
dei trasporti e delle comunicazioni; permanere delle nazioni, legate
al proprio territorio, che cercano ormai di organizzarsi all’interno
1
H.P. Martin, H. Schumann, La trappola della globalizzazione: l’attacco alla democrazia e al
benessere, Edition Raetia 1998.
2
Beck U., Che cos’è la globalizzazione: rischi e prospettive della società planetaria, Carocci 1999.
4
di quadri locali, al più regionali. Imprese e nazioni seguono,
dunque, logiche diverse: le prime “internazionalizzano”, le seconde
cercano in tutti i modi di salvaguardare la propria “Identità”
3
.
Infilate entrambe le gambe in un tale processo planetario, e non
potendo chiamarcene fuori, forse diventa utile e necessario per
tutti capire di cosa si tratti, cosa stia realmente accadendo.
I.1.1. Cambiamenti e revisioni
Cambia la nostra percezione dello spazio: è come allungare la
mano e non trovare qualcosa che c’era sempre stata. Il mondo tende
ad assumere la forma folle degli orologi di Dalì: non sai dove comincia e
non sai dove finisce un territorio, una nazione, uno Stato, non
perché vi sia stata una storica rinuncia di prerogative, ma perché le
frontiere non contano. Passano senza controllo capitali, si
muovono popoli, scorrono flussi immensi di dati e notizie.
L’interazione con l’estero è continua: il borderless world, il mercato
mondiale senza frontiere, è caratterizzato da un tasso di
concorrenzialità molto alto e da scelte di allocazione di imprese
con presenza globale.
Cambia la nostra percezione del tempo: ogni giornata di vita
attiva e produttiva era di 7-8 ore al giorno, di solito nella parte
diurna della giornata; adesso siamo tutti invitati ad attraversare una
giornata senza notte, 24 ore su 24 azioni, voci, pensieri, energie,
decisioni, realizzazioni, tutto nel grande contenitore “mondo”; si sta
percorrendo ovunque una immensa gara a staffetta fra squadre che
non si conoscono
4
. Il mondo globalizzato lascia poco potere alla
politica, poco anche per il Presidente degli Usa: ciò che accade è
finanziario, tecnologico, logistico, psicologico, informativo. Bill
Clinton ha dichiarato di recente che, per la prima volta, non c’è
differenza alcuna tra politica interna e politica estera. E tutto ciò
non è una opzione, ne siamo coinvolti, lo stiamo vivendo.
L’idea di globalizzazione fa pensare all’assenza di un centro, di
una sala di comando, di un ufficio di direzione, in una parola ad un
“nuovo disordine mondiale”. Questo perché non sono più
3
Lafay G., Capire la globalizzazione, 1997
4
Colombo F., Vivremo una vita diversa e non abbiamo altra scelta, su Rivista Telèma n. II,
Globalizzazione, rischi e opportunità, inv.1997-98
5
accettate forme di controllo totalizzanti: l’umanità non è più
disposta ad obbedire o ascoltare una singola località, in virtù del
fatto che non esistono verità assolute o visioni del mondo
universali; è definito arrogante l’atteggiamento di chi vuole
pronunciarsi in nome dell’umanità intera. Diverso è, dunque, anche
lo scenario politico: il multilateralismo, prodotto del pluralismo
ideologico e istituzionale, è causa di difficoltà di formare una
maggioranza per le decisioni.
I 200 Stati e le 2000 nazioni non riescono più a far quadrare i conti.
Nel cabaret della globalizzazione, lo Stato fa lo strip-tease e alla fine dello
spettacolo resta con il minimo indispensabile: i suoi poteri di repressione. Una
volta distrutta la sua base materiale, annullata la sua sovranità e la sua
indipendenza, cancellata la sua classe dirigente, lo stato nazione diviene un
semplice servizio di sicurezza per le grandi imprese (...). I nuovi padroni del
mondo non hanno bisogno di governare direttamente. I governi sono incaricati di
amministrare gli affari per loro conto
5
.
Un tale processo implica, tra l’altro, anche una revisione delle
istituzioni internazionali, troppo condizionate dalla fissità
cristallizzante ereditata dai tempi della guerra fredda. Occorre
cogliere la dimensione sovranazionale. Il teorico della politica J.
Rosenau parla di “due mondi della politica mondiale”, sostenendo,
cioè, che non c’è “una” società globale, ma ve ne sono “due”: la
società degli Stati-nazione e la pluralità di organizzazioni
transazionali, attori, gruppi che tessono e disfano di continuo reti
sociali. Questi due tipi di società globali si intersecano, convivono,
e, al contempo, si contendono lo spazio.
5
Sous-Commandant Marcos, Sept piéces du puzzle néoliberal: la quatrième guerre mondiale a
commancè, in Le monde diplomatique, agosto 1997.
6
I.1.2. Elementi della globalizzazione
Prima di tutto vi è una globalizzazione che riguarda la circolazione dei
capitali : iniziata negli anni Settanta e sviluppatasi negli anni Ottanta,
nel giro di 10-15 anni ha condotto a un mercato finanziario
mondiale altamente integrato. Al momento attuale vi sono
fondamentalmente 12 grandi Borse attraverso cui circola il grosso
degli investimenti del mercato mondiale: un mercato finanziario
che grazie alle nuove tecnologie, le reti telematiche, funziona 24
ore su 24. Solo sul mercato valutario circola mediamente ogni
giorno un volume di capitale di oltre 1.500 miliardi di dollari,
equivalente al doppio delle riserve valutarie complessive dei paesi
industriali dell'OCSE. Quando questi capitali si spostano
provocano squilibri, come testimonia l'ultima drammatica crisi che
ha investito i mercati del sud-est asiatico, con pesantissime ricadute
sociali.
In secondo luogo è in corso un processo di "destatalizzazione", ovvero
un ritiro dello stato dalla gestione diretta di imprese pubbliche: al
primo posto è, in Europa, la Gran Bretagna, che ha completato la
trasformazione. Sulla stessa via stanno procedendo tutti gli altri
paesi, non solo europei. Siamo a un tornante storico: mentre lo
stato si defila dalla gestione diretta dell'economia, si allargano gli
spazi dei grandi gruppi transnazionali, i cui fatturati sono in
continua crescita grazie al continuo processo di fusioni e
acquisizioni.
Un terzo elemento della globalizzazione è il processo di
delocalizzazione della produzione. Esso sta configurando un mondo
che, mentre cadono le barriere agli investimenti esteri diretti,
diventa sempre più simile ad una grande fabbrica. Vi operano
soprattutto i grandi gruppi transnazionali, che trasferiscono
produzioni laddove vi sono i massimi vantaggi in termini di costo
del lavoro. Se andiamo, ad esempio, in paesi dell’Europa orientale
e nell'ex URSS, possiamo trovare un ingegnere meccanico
qualificato disposto a lavorare per uno stipendio mensile di 100-
200 dollari (tra le 200.000 e le 300.000 lire mensili) a parità di
professionalizzazione e di produttività.
7
I.2. La globalizzazione economica
Viviamo oggi in un mondo con sovrapproduzione, perché ci sono
molti produttori e non abbastanza consumatori, o meglio: 358
miliardi di persone hanno più denaro del 50% della popolazione
mondiale, mentre 1,3 miliardi vivono con meno di un dollaro al
giorno. Loro non possono comprare. Una distribuzione così
grottescamente asimmetrica fa pensare ad un mondo diviso tra
“globalizzati” ed “esclusi”.
Il nostro lavoro, inquadrato in ottica socio-economica, non può
non partire, per quanto concerne la seconda componente (quella
economica), dal teorico più noto della globalizzazione dei mercati:
Michael Porter.
L’idea di base porteriana si fonda sul superamento del vecchio
schema dell’economia industriale, struttura-comportamenti-
risultati, secondo il quale l’efficienza di un’impresa dipende dalla
natura e dalla forza delle relazioni competitive del settore di cui
essa fa parte. Secondo Porter, in un mercato ormai “globale”, non
è più sufficiente un approccio in cui il comportamento dell’impresa
viene analizzato solo in una visione deterministica: situazioni di
mercato ο comportamento. Occorre piuttosto analizzare la
reciproca influenza tra azione di una singola impresa e resto del
mondo. Oggetto della sua analisi è, quindi, lo studio delle
interconnessioni esistenti tra le situazioni competitive dei vari paesi
e le strategie per affrontare su scala internazionale tale
competizione. La fonte primaria di vantaggio competitivo è per
Porter il coordinamento, quindi la capacità di dar vita e di gestire con
successo accordi con altre imprese: le imprese non possono continuare a
considerare come due ambiti separati quello nazionale e quello internazionale,
ma devono considerarli come un tutto unico.
Le imprese interessate dal fenomeno della globalizzazione sono
caratterizzate da una struttura elastica, dinamica ed a contenuto
altamente tecnologico, sia nel campo della produzione che in
quello della distribuzione dei beni; inoltre, esse sono solite
riesaminare frequentemente i piani strategici, per far fronte al
mercato fortemente concorrenziale. Porter spiega che un settore
diventa globale quando esistono vantaggi competitivi derivanti
8
dall’integrazione delle attività su base mondiale e quando questi
vantaggi superano i costi. Ciò avviene per:
ξ innovazioni strategiche originate da un concorrente
ξ riduzione dei costi per modifica dei prodotti realizzati
presso un unico centro
ξ accrescimento dell’omogeneità di prodotto
ξ omogeneizzazione della domanda mondiale
In un altro dei suoi illustri lavori Porter sostiene che il fenomeno
della globalizzazione renda la Nazione ancora più importante,
perché essa è la fonte delle competenze professionali e delle tecnologie che
sostengono il vantaggio competitivo
6
.
Cinque sono le forze competitive individuate da Porter:
MINACCIA NUOVI
ENTRANTI
pi
POTERE
CONTRATTUALE DEI
FORNITORI ο
RIVALITÀ FRA
CONCORRENTI
ν
POTERE
CONTRATTUALE
µ DEGLI
ACQUIRENTI
MINACCIA DI
PRODOTTI/SERVIZI
SOSTITUTIVI
I.2.1. Le fasi dell’economia mondiale
Dal punto di vista economico, globalizzazione, quindi, vuol dire
concepire le attività produttive industriali all’interno del proprio
sistema, integrandone tutti gli aspetti e non limitandola al solo
sistema produttivo.
Proviamo ora a descrivere i tratti distintivi delle fasi che
l’economia mondiale ha attraversato in questi ultimi 50 anni:
6
Porter M., Il vantaggio competitivo delle nazioni, Milano, Mondadori, 1994
9