politici che avevano una più estesa organizzazione ed un più accentuato grado di penetrazione nella
popolazione) ed organo del Comitato di Liberazione Nazionale; altre davano vita a diversi organi di
coordinamento, sempre allo scopo di attuare in maniera unitaria e secondo alcune direttive generali
una fattiva azione contro i nazifascisti.
L'azione di queste organizzazioni, che si manifestava con atti di sabotaggio ed attacchi di
colonne militari tedesche, fu continua al di fuori dei centri abitati, al fine di rendere difficile ai
tedeschi l'opera di assestamento.
Anche nella città di Roma si effettuarono azioni di sabotaggio ed attentati contro
autocolonne o comandi militari, allo scopo, chiaramente manifesto a mezzo di volantini, di
richiamare il nemico all'osservanza della posizione di città aperta della capitale d'Italia. Difatti,
malgrado questa posizione internazionalmente riconosciuta, i principali comandi militari tedeschi si
trovavano all'interno della città aperta ed in questa erano frequenti i passaggi di truppe e di
materiale bellico.
§ 1.1. L’attentato di Via Rasella
Solo dopo vari atti di sabotaggio ed attentati gli uffici militari furono trasferiti al di fuori di
Roma, ma continuò il passaggio di truppe e di materiale destinato alle truppe operanti.
2
Il 23 marzo 1944 alle ore 15 circa, in Via Rasella, all'altezza del palazzo Fittoni a Roma,
mentre passava una compagnia di polizia tedesca del Battaglione Bozen, che da quindici giorni era
solita percorrere quella strada, scoppiò una bomba che uccise ventisei militari di quella compagnia,
mentre altri furono feriti più o meno gravemente.
Subito dopo lo scoppio della bomba alcuni giovani, che sostavano all'angolo di Via
Boccaccio, lanciarono delle bombe a mano contro il resto della compagnia e, quindi, si ritirarono
verso Via dei Giardini, allontanandosi immediatamente dalla zona.
Alcuni militari della compagnia tedesca spararono in direzione delle finestre sovrastanti e
dei tetti, un pò all'impazzata, poiché in un primo momento credettero che l'attentato fosse stato
effettuato con lancio di bombe a mano da una delle case.
Immediatamente giunsero sul posto il Gen. Mältzer, comandante della città di Roma, il Col.
Dolmann ed alcuni funzionari di polizia italiani. Successivamente arrivò il Console tedesco a Roma,
Signor Möllhausen, con alcuni gerarchi del partito fascista repubblicano, i quali avevano sentito la
2
Andrae, La Wehrmacht in Italia: la guerra delle forze armate tedesche contro la popolazione civile 1943-1945,
Editori Riuniti, Roma, 1997, pp. 334 e ss.
4
detonazione dal vicino Ministero delle Corporazioni, dove avevano partecipato ad una cerimonia
celebrativa della fondazione dei fasci di combattimento.
Il Gen. Mältzer alla vista dei militari tedeschi morti e feriti fu preso da una forte eccitazione.
Intanto ufficiali e sottufficiali del comando di polizia tedesca di Roma, subito accorsi sul luogo,
eseguirono un'accurata perquisizione nelle case di Via Rasella. Alle ore 15.30 circa il Ten. Col.
Kappler giunse al comando di polizia tedesca in Via Tasso. Informato di quanto era accaduto si
avviò subito verso Via Rasella. Lungo la strada, in Via Quattro Fontane, egli venne fermato dal
Console Möllhausen, che ritornava da Via Rasella dove aveva avuto un forte diverbio con il
Generale Mältzer nel tentativo di fare procrastinare le intenzioni di vendetta che questi manifestava
sotto l'impulso di una forte eccitazione.
Il Kappler, giunto in Via Rasella, s'incontrò con il Gen. Mältzer, al quale, dopo un fugace
scambio di impressioni, chiese di essere incaricato di quanto riguardava l'attentato. Avuta risposta
affermativa, egli prese subito contatto con i suoi dipendenti diretti, fra i quali il Cap. Schutz e il
Cap. Domizlaff che già si trovavano sul posto.
Durante le prime indagini vennero raccolte quattro bombe a mano del peso di circa quattro
chilogrammi, colorate in rosso e grigio e munite di miccia. Dette bombe, che risultavano essere di
fabbricazione italiana, furono avvolte dal Kappler in un fazzoletto e fatte portare su una macchina
della polizia tedesca, che, a dire del Kappler, poco dopo sarebbe stata sottratta da ignoti.
Alle ore 17 circa, il Kappler, accompagnato dal Cap. Schutz che aveva già interrogato i
superstiti della compagnia, si recò al comando della Città di Roma. Ivi, alla presenza del Gen.
Mältzer e di altri ufficiali del detto comando, espresse l'opinione che l'attentato fosse stato effettuato
da italiani appartenenti a partiti antifascisti. Altro argomento di conversazione era dato dalle misure
di rappresaglia da adottare in relazione all'attentato.
Mentre si svolgeva la discussione il Gen. Mältzer parlò spesso al telefono. In una di queste
telefonate egli usò con frequenza le parole misure di rappresaglia.
3
Ad un certo momento il generale
tedesco fece cenno al Kappler di avvicinarsi e, quindi, passatogli il ricevitore ed informatolo che
all'apparecchio c'era il Gen. Mackensen, lo invitò a parlare con quel generale.
Il Gen. Mackensen, dopo aver chiesto alcuni particolari in merito all'attentato, entrò subito
in argomento circa le misure di rappresaglia intorno alle quali, a giudicare dal suo modo di parlare,
egli aveva già discusso con il Gen. Mältzer. Alla domanda di quel generale, intesa a conoscere su
quali persone potevano essere eseguite le misure di rappresaglia, il Kappler rispose che, secondo
3
Leszl, Priebke. Anatomia di un processo, Editori Riuniti, Roma, 1997, pp. 24 e ss.
5
accordi con il Gen. Harster, la scelta sarebbe dovuta cadere su persone condannate a morte o
all'ergastolo e su persone arrestate per reati per i quali era prevista la pena di morte e la cui
responsabilità fosse stata accertata in base alle indagini di polizia. Il Gen. Mackensen, quindi,
rispose di essere disposto a dare l'ordine, ove fosse stata data a lui la facoltà di fucilare dieci
persone, scelte fra le categorie indicate, per ogni militare tedesco morto. Aggiunse che si sarebbe
accontentato che venisse fucilato solo il numero di persone disponibili fra le categorie suddette. Una
conseguenza logica di questo accordo era che non si sarebbe fatta parola né con il Gen. Mältzer, né
con le autorità superiori e che si sarebbe cercato di far conoscere l'accaduto ai rispettivi superiori al
più presto possibile.
Dopo questa conversazione il Kappler si congedò dal Gen. Mältzer, senza comunicargli i
precisi termini della conversazione, ma con l'intesa di preparare un elenco di persone sulle quali
doveva effettuarsi la rappresaglia, e si diresse alla Questura di Roma per controllare gli schedari in
merito alle persone fermate in Via Rasella. Comunicato lo scopo della visita, il Questore Caruso
lasciò alcuni suoi dipendenti negli uffici della Questura per il controllo degli schedari e si allontanò.
Giunto in ufficio, il Kappler diede disposizioni perché fossero accelerate le indagini circa
l'attentato con l'aiuto di tutti i collaboratori italiani.
Poco dopo venne chiamato al telefono dal Magg. Böhm, addetto al comando della Città di
Roma. Quest'ufficiale lo informò che era giunto un ordine in base al quale entro ventiquattro ore
doveva essere fucilato un numero di italiani decuplo di quello dei soldati tedeschi morti. A richiesta
del Kappler, il Magg. Böhm precisò che l'ordine proveniva dal comando del Maresciallo
Kesselring.
Poiché il contenuto di quest'ordine si mostrava in contrasto con quanto convenuto nel suo
colloquio con il Gen. Mackensen, il Ten. Col. Kappler chiese di comunicare con il comando del
Maresciallo Kesselring. Dopo circa dieci minuti egli parlò con l'ufficio I a T, che si occupava delle
questioni territoriali. L'ufficiale addetto a questo ufficio, alla domanda intesa a conoscere se l'ordine
ricevuto in precedenza proveniva dal comando superiore sud-ovest, rispose: “No, viene da molto
più in alto.”
4
Alle ore 21 il Kappler ebbe una conversazione telefonica con il Generale Harster, capo del
BDS
5
con sede a Verona, al quale riferì in merito all'attentato ed al suo sviluppo. Gli comunicò pure
4
Per la ricostruzione fattuale, così come accertata durante i processi a carico di Herbert Kappler ed Erich Priebke, cfr. la
sentenza del Tribunale Militare Territoriale di Roma, in data 20.07.1948, e la sentenza del Tribunale Militare di Roma,
in data 22.07.1997, in Rassegna Giustizia Militare, consultabile online all’indirizzo www.difesa.it, sito del Ministero
della Difesa.
5
BDS, Befehlshaber der Sipo-Sd, Comandante della polizia di sicurezza.
6
che, in base ai dati poco prima fornitigli dalle sezioni dipendenti, egli disponeva di circa
duecentonovanta persone, delle quali però un numero notevole non rientrava nella categoria dei
todeswürdige.
6
Circa cinquantasette, difatti, erano ebrei detenuti solo in base all'ordine generale di
rastrellamento ed in attesa di essere avviati ad un campo di concentramento. Aggiunse che delle
persone arrestate in Via Rasella, secondo informazioni dategli poco prima dai suoi dipendenti, solo
pochissime risultavano pregiudicate o erano state trovate in possesso di cose (una bandiera rossa,
manifestini di propaganda ecc.) che davano possibilità di una denunzia all'autorità giudiziaria
militare tedesca. A conclusione della conversazione rimase d’accordo con il suo superiore
d'includere degli ebrei fino a raggiungere il numero necessario per la rappresaglia.
Dopo tale telefonata egli diede disposizioni affinché, il mattino successivo, i fermati di Via
Rasella fossero liberati ad eccezione di quei pochi che, per motivi vari, risultavano pregiudicati.
Nella stessa serata egli chiese al Presidente del Feldgericht Rome di autorizzarlo ad
includere nell'elenco le persone condannate dal Tribunale Militare alla pena di morte, le persone
condannate a pene detentive anziché alla pena di morte per concessione di circostanze attenuanti
inerenti alla persona ed, infine, le persone denunziate ma non ancora processate. Il Presidente
autorizzò l'inclusione delle persone della prima e della terza categoria, ma, in ordine alle persone
della seconda categoria, non intendendo assumersi la responsabilità, rappresentò l'opportunità di
chiedere l'autorizzazione del Chefrichter dell'O.B.S.W.
7
Questa autorizzazione richiesta giunse
poche ore dopo.
Nella notte il Kappler, con l'aiuto dei suoi collaboratori, esaminò i fascicoli delle persone
considerate todeswürdige sulla base dei precedenti accordi.
Intanto giunse notizia che altri soldati tedeschi, fra quelli gravemente feriti, erano deceduti.
Alle ore otto del mattino successivo il numero complessivo dei morti ammontava a 32.
Alle ore nove, il Kappler ebbe un colloquio con il Commissario di P.S. Alianello, che pregava di
chiedere, con la massima urgenza, al vice capo della polizia Cerruti se la polizia italiana era in
grado di fornire cinquanta persone. Il Cerruti poco dopo gli comunicò che avrebbe mandato da lui il
Questore Caruso perché prendesse accordi in merito alla richiesta di cinquanta uomini.
Alle 9.45 il Caruso, accompagnato dal Ten. Koch, che in quel tempo svolgeva funzioni di
polizia non ben definite, si presentò dal Kappler. Questi spiegò ai due che per completare una lista
di persone da fucilare in conseguenza all'attentato di Via Rasella aveva bisogno di cinquanta
6
Sono i c.d. “degni della morte”.
7
Chefrichter OBSW, Oberbefehlshaber der Heeresgruppe Südwest, Comandante supremo del gruppo di armate
dell’esercito Sud-ovest.
7
persone arrestate a disposizione della polizia italiana e spiegò i criteri in base ai quali egli aveva già
compilato una lista di 270 persone.
A conclusione di questo colloquio si stabilì che il Questore Caruso avrebbe fatto pervenire al
Kappler per le ore 13 un elenco di cinquanta persone. Führer
Nell'elenco compilato dal Kappler con l'aiuto dei suoi collaboratori numerosi furono i
detenuti per reati comuni e gli ebrei arrestati per motivi razziali; fra gli altri poi una persona assolta
dal Tribunale Militare tedesco e due ragazzi di 15 anni, dei quali uno arrestato perché ebreo.
8
Alle 12 circa il Kappler si recò nell'ufficio del Gen. Mältzer il quale, qualche ora prima, gli
aveva fatto sapere che l'attendeva per tale ora. Mentre il Generale lo informò che l'ordine della
rappresaglia proveniva da Hitler, giunse il Maggiore Dobrik del battaglione Bozen, che era stato
convocato qualche ora prima.
Il Ten. Col. Kappler informò il Generale di avere compilato una lista di 270 persone. A
questa lista, disse, dovevano aggiungersi i nominativi di cinquanta persone che, per le ore 13, gli
sarebbero stati dati dal Questore Caruso, scelti fra i detenuti che questi aveva a sua disposizione.
Complessivamente, quindi, si raggiunse il numero di 320 persone, pari al decuplo dei militari
tedeschi che fino a quel momento era deceduti.
Il Generale Mältzer, informato dal Kappler dei criteri adottati nella compilazione della lista,
si rivolse al Dobrik dicendogli che spettava a lui eseguire la rappresaglia con gli uomini che aveva a
sua disposizione. L'ufficiale espose una serie di difficoltà (il fatto che i suoi uomini erano anziani,
poco addestrati all'uso delle armi, superstizioni ecc.) con l'evidente scopo di sottrarsi al compito
affidatogli. Stante le difficoltà poste dal Dobrik, il Gen. Mältzer telefonò al Comando della 14esima
armata e parlò con l'allora Col. Hanser, al quale, dopo aver prospettato quanto detto da
quell'ufficiale, chiese che la rappresaglia venisse eseguita da un reparto di quell'armata. L'Hanser
rispose testualmente: “la polizia è stata colpita, la polizia deve fare espiare.”
9
Il Gen. Mältzer ripeté
ai due ufficiali presenti questa frase e quindi diede ordine al Kappler di provvedere personalmente
all'esecuzione.
8
Cfr. Manzi, I martiri delle Ardeatine… Ricordiamoli, Anfim, Roma, 1982, pp. 36 e ss.
9
Cfr. la sentenza emessa nei confronti di H. Kappler dal Tribunale Militare Territoriale di Roma, in data 20.07.1948, e
la sentenza emessa nei confronti di E. Priebke dal Tribunale Militare di Roma, in data 22.07.1997, in Rassegna
Giustizia Militare, consultabile online all’indirizzo www.difesa.it, sito del Ministero della Difesa.
8
Congedatosi dal Gen. Mältzer, il Kappler si recò nel proprio ufficio in Via Tasso. Qui
chiamò a rapporto gli ufficiali dipendenti e li informò che di lì a poco doveva eseguirsi la
fucilazione di 320 persone in conseguenza dell'attentato di Via Rasella.
Al termine della riunione il Kappler impartì l'ordine secondo cui tutti gli uomini del suo
comando, di nazionalità tedesca, dovevano partecipare all'esecuzione. Contemporaneamente ordinò
al Cap. Schutz di dirigere l'esecuzione e gli diede disposizioni particolari in merito alle modalità
dell'esecuzione medesima. Inoltre incaricò il Cap. Kochler di trovare immediatamente, in qualche
vicina località adatta per l’esecuzione, una cava in modo che la stessa potesse essere trasformata in
camera sepolcrale, chiudendone gli ingressi. Date queste disposizioni, il Kappler si recò a mensa.
Ivi qualche tempo dopo il Cap. Schutz lo informò di avere appreso poco prima della morte di un
trentatreesimo soldato tedesco fra quelli rimasti feriti in seguito all'attentato. Il Kappler, saputo da
quell'ufficiale che nella mattinata erano stati arrestati altre dieci ebrei, diede ordine a quest'ultimo di
includere dieci di questi fra quelli che dovevano essere fucilati. Intanto giunse a mensa il Cap.
Kochler, il quale riferì al Kappler che la cava per l'esecuzione era stata trovata e che l'ufficiale del
genio, che aveva visto il luogo, riteneva tecnicamente semplice chiudere l'imboccatura della cava
stessa. Il Kappler si diresse subito, assieme al Cap. Kochler, verso il luogo scelto per l'esecuzione.
Questo si trovava nella località delle Cave Ardeatine ad un chilometro dalla Porta S. Sebastiano. Ivi
giunto ispezionò la cava; quindi, ritornato all'aperto trovò sul piazzale il primo autocarro di vittime.
Mentre egli si aggirava nei pressi delle Cave Ardeatine, il Cap. Schutz, il quale aveva avuto
l'incarico di dirigere l'esecuzione, riunì gli ufficiali ed i sottufficiali e, spiegate le modalità con le
quali doveva essere effettuata la fucilazione delle vittime, disse che quanti non si sentivano di
sparare, non avevano altra via di uscita che mettersi al fianco dei fucilandi.
Quindi iniziò l'esecuzione: cinque militari tedeschi prendevano in consegna cinque vittime,
le facevano entrare nella cava, che era debolmente illuminata da torce tenute da altri militari posti
ad una certa distanza l'uno dall'altro, e le accompagnavano fino in fondo, facendole svoltare in altra
cava che si apriva orizzontalmente; qui costringevano le vittime ad inginocchiarsi e, quindi,
ciascuno di essi sparava contro la vittima che aveva in consegna.
Il Kappler partecipò, una prima volta, alla seconda esecuzione.
Il tetro spettacolo dei cadaveri che, dopo le prime esecuzioni, si presentava alla vista delle
vittime, quando queste entravano nella cava e s'inginocchiavano per essere fucilate, è espresso
sinteticamente dal teste Amonn,
10
il quale fu presente all'esecuzione, ma non sparò perché non ne
10
Cfr. Ascarelli, Le Fosse Ardeatine, Canesi, Roma, 1965, pp. 104 e ss.
9
ebbe la forza. Le vittime dei primi autocarri provenivano dal carcere di Via Tasso, le altre dal
carcere di Regina Coeli. Ivi si trovava il Ten. Tunath, accompagnato dall'interprete Ten. Koffler del
comando di polizia tedesca di Roma, il quale provvedeva a fare avviare alle Cave Ardeatine i
detenuti del terzo braccio a disposizione dell'autorità militare tedesca.
Ultimato il prelevamento di questi detenuti, il Tunath si rivolse al Direttore del carcere per
avere i cinquanta che erano a disposizione della polizia italiana e che, secondo precedenti accordi,
dovevano essere consegnati dal Questore Caruso. Poiché ancora non era giunta la lista se ne fece
richiesta telefonica al Caruso. Il tempo trascorreva senza che giungesse tale lista. Il Tunath telefonò
ancora alla Questura e parlò con il Commissario Alianello, al quale violentemente disse “che se non
si mandava subito l'elenco avrebbe preso il personale carcerario.”
11
Dopo un pò di tempo il Tunath,
stanco di aspettare, cominciò a prelevare dei detenuti in maniera indiscriminata. Poco dopo,
sull'imbrunire, arrivò il Commissario Alianello con una lista di cinquanta nomi datagli dal Questore
Caruso, che consegnò al Direttore del Carcere. Questi cancellò undici nomi, precisamente quelli
indicati con i numeri progressivi da 40 a 49 e con i numeri 21 e 27 e li sostituì con altri undici nomi
relativi a persone che già erano state portate dal Ten. Tunath e che non erano comprese nella lista.
La cancellatura degli ultimi nominativi della lista fu determinata dal fatto che la compilazione di
questa era stata fatta iniziando dalle persone ritenute più compromesse per continuare con quelle
che si trovavano in posizione migliore; il depennamento dei nomi indicati con i numeri 21 e 27
venne effettuato invece perché una persona era gravemente e l'altra non era reperibile.
Il Kappler, dopo circa mezz'ora dall'inizio dell'esecuzione e dopo aver partecipato ad una
fucilazione, si allontanò recandosi all'ufficio in Via Tasso.
L’esecuzione ebbe termine alle ore 19 circa. Subito dopo si fecero brillare delle mine,
chiudendosi in questo modo quella parte della cava nella quale i cadaveri, ammucchiati fino
all'altezza di un metro circa, occupavano un breve spazio.
Il giorno successivo, il 25 marzo, il Cap. Schutz e il Cap. Priebke riferivano al Kappler che
da un riesame delle liste, risultavano che i fucilati erano 335.
Il secondo di quegli ufficiali spiegò che la fucilazione di cinque persone in più rispetto al
numero stabilito dal Kappler era dovuto al fatto che nella lista del Questore Caruso le vittime non
erano segnate con un numero progressivo ed erano cinquantacinque invece di cinquanta.
11
Per la ricostruzione fattuale, così come accertata durante i processi a carico di Herbert Kappler ed Erich Priebke, cfr.
la sentenza del Tribunale Militare Territoriale di Roma, in data 20.07.1948, e la sentenza del Tribunale Militare di
Roma, in data 22.07.1997, in Rassegna Giustizia Militare, consultabile online all’indirizzo www.difesa.it, sito del
Ministero della Difesa.
10
Il 25 marzo i giornali italiani, che in quel tempo venivano pubblicati alle ore 12, recavano la
notizia dell'attentato di Via Rasella e della fucilazione di dieci “comunisti badogliani” per ciascuno
dei 32 soldati tedeschi morti.
Solo a seguito del dissotterramento delle vittime effettuato vari mesi dopo la liberazione di
Roma, si scoprì che il numero di esse era di 335.
12
§ 1.2. Il processo doveva celebrarsi di fronte ad un tribunale militare?
La rappresaglia compiuta presso le Fosse Ardeatine non è un’azione esclusivamente
militare, perché presenta una dimensione poliziesca riconosciuta come tale dai tedeschi.
13
Ma se
così è, essa rientra nei compiti della polizia, e questa a Roma era rappresentata da uomini come
Priebke, che apparteneva alle SS. Certamente azioni del genere potevano essere svolte anche dalla
Wehrmacht
14
, ma questo fatto si può spiegare con valutazioni di opportunità legate alle circostanze
della guerra e non esclude pertanto la natura poliziesca dell’azione stessa.
15
Si consideri che Priebke, proprio perché non era un soldato che apparteneva alla Wehrmacht,
non avrebbe mai dovuto essere processato di fronte ad un tribunale militare.
Ciò discende dall’art. 103 della nostra Costituzione che, al terzo capoverso, stabilisce che i
tribunali militari, “in tempo di pace, hanno giurisdizione soltanto per i reati militari commessi da
appartenenti alle Forze armate.”
16
Ora, se una cosa pare fuor di dubbio, è che le nostre Forze armate
corrispondono alla Wehrmacht tedesca e che Priebke non faceva parte di questa a nessun titolo, né
come poliziotto o funzionario di polizia che dir si voglia, né come membro delle SS. Come
poliziotto non rientrava nella Wehrmacht, perché in Germania i poliziotti di mestiere non hanno mai
fatto parte delle Forze armate. Anche come membro delle SS non poteva rientrare nella Wehrmacht,
perché questa rimane un’organizzazione paramilitare di partito. Ogni membro delle SS e della
Gestapo
17
va trattato come un criminale comune. Priebke rivestì una doppia figura: quello di nazista
in uniforme nera e quella di poliziotto, ma non mai la figura di soldato nell’esercito regolare.
12
Cfr. per una completa ricostruzione dei fatti v. Herbert Kappler. La verità sulle Fosse Ardeatine, a cura di Wladimiro
Settimelli, supplemento al n. 99 dell’Unità del 27.4.1994, vol. I, pp. 13 e ss.
13
Leszl, Priebke. Anatomia di un processo, Editori Riuniti, Roma, 1997, pp. 189 e ss.
14
Wehrmacht, Forze armate tedesche
15
Leszl, Priebke. Anatomia di un processo, Editori Riuniti, Roma, 1997, pp. 190 e ss.
16
Cfr. art. 103, 3 co. Cost. it. sull’ordinamento giurisdizionale: “I tribunali militari in tempo di guerra hanno la
giurisdizione stabilita dalla legge. In tempo di pace hanno giurisdizione soltanto per i reati militari commessi da
appartenenti alle Forze armate.”
17
Gestapo, Geheime Staatspolizei, Polizia segreta di Stato.
11
La mancata distinzione fra Wehrmacht ed SS armate che ha suggerito il ricorso ad una Corte
militare per Priebke è favorita dal fatto che la collaborazione tra l’esercito e le SS dal punto di vista
militare ha portato ad intrecci ed a sovrapposizioni.
18
Ed è quanto infatti si è verificato nel caso
dell’ordine di rappresaglia che portò alla strage delle Fosse Ardeatine. La colonna armata colpita
dai partigiani in Via Rasella era un reggimento di polizia che era stato messo a disposizione del
Generale Mältzer che, come comandante di Roma, era subordinato al comando della 14esima
armata. Il fatto che dopo l’attentato le SS non procedettero in modo autonomo si spiega con quella
subordinazione delle SS ai comandi della Wehrmacht per esigenze di guerra. Tuttavia ciò non
implica di certo il venir meno della distinzione tra le due organizzazioni.
19
Si consideri poi che dal punto di vista giuridico si è sostenuto che, anche nel caso in cui
l’imputato non avesse fatto parte delle Forze armate tedesche in senso stretto, gli si doveva
riconoscere, quale appartenente alle SS tedesche, la qualifica di “legittimo belligerante”, poiché i
membri di quell’organizzazione operavano a favore delle Forze armate tedesche e rispondevano ai
requisiti (come quello d’indossare un’uniforme) che l’articolo 1 della Convenzione dell’Aja
20
(recepito nella legge di guerra italiana nel 1938) propone per quella qualifica.
21
Non è una motivazione soddisfacente, perché l’art. 103 della Costituzione non fa
riferimento alla qualifica di “legittimo belligerante”, ma a quella di appartenenza alle Forze armate,
e quest’ultima è più restrittiva. Inoltre quella qualifica prescinde dalle funzioni effettivamente
esercitate da un uomo come Priebke, che non combatteva come un soldato in prima linea, come gli
appartenenti a gran parte dei corpi delle Waffen-SS
22
, ma apparteneva allo SD
23
ed alla Gestapo,
cioè a corpi che avevano funzioni eminentemente poliziesche oltre che, nel casi dello SD,
18
Cfr. Leszl, Priebke. Anatomia di un processo, Editori Riuniti, Roma, 1997, pp. 199 e ss.
19
Cfr. Buchheim, Die SS – das Herrschaftsystem, in Buchheim, Broszat, Jacobsen e Krausnick, Anatomie des SS –
Staates, Deutscher Taschenbuch Verlag, München, 1994, pp. 235 e ss.
20
Cfr. Convenzione internazionale dell’Aja, adottata il 18 ottobre 1907, concernente le leggi e gli usi della guerra
terrestre, il cui art. 1 recita: “Le Potenze contraenti daranno alle loro forze armate di terra delle istruzioni che saranno
conformi al Regolamento concernente le leggi e gli usi della guerra per terra, allegato alla presente Convenzione.”
Cfr. Allegato: Regolamento concernente le leggi e gli usi della guerra per terra.
Sezione I: Dei belligeranti;
Capitolo I: Della qualità di belligerante.
Art. 1: “Le leggi, i diritti e i doveri della guerra non si applicano soltanto all’esercito, ma anche alle milizie e ai corpi di
volontari che riuniscano le seguenti condizioni:
1° di avere alla loro testa una persona responsabile dei propri subordinati;
2° di avere un segno distintivo fisso e riconoscibile a distanza;
3° di portare le armi apertamente e
4° di conformarsi nelle loro operazioni alle leggi e agli usi della guerra.
Nei paesi dove le milizie o dei corpi volontari costituiscono l’esercito o ne fanno parte, essi sono compresi sotto il
nome di esercito.”
21
Leszl, Priebke. Anatomia di un processo, Editori Riuniti, Roma, 1997, pp. 192 e ss.
22
Waffen - SS, SS - Combattenti, costituiscono il ramo militare delle SS.
23
SD, Sicherheitsdienst, Servizio di sicurezza.
12
spionistiche.
24
Dire dei membri di questi corpi che essi operavano a favore delle Forze armate
tedesche e normalmente si attenevano alle leggi ed agli usi di guerra, se si pensa al ruolo che essi
ebbero nella deportazione degli ebrei e in gran parte degli altri delitti che furono compiuti durante la
guerra al di fuori di ogni finalità bellica, è francamente molto fuori luogo.
Vero è inoltre che in precedenza altri processi ai membri delle SS furono celebrati dinanzi a
tribunali militari. Si pensi al precedente Kappler. Dalle motivazioni della sentenza si desume che la
questione della competenza del Tribunale militare era stata sollevata.
25
Simile competenza venne
difesa attraverso una interpretazione dell’art. 103 della Costituzione italiana che consentiva di
processare Kappler anche nel caso in cui egli non fosse rientrato nelle Forze armate del suo paese.
Venne infatti asserito che, “con tale norma il legislatore ha voluto attribuire alla cognizione del
giudice ordinario quei fatti delittuosi i quali, col cessare della guerra, non presentino forti legami
con la compagine militare e con i piani che questa è chiamata ad adottare. In tempo di guerra un
principio base vuole che gli interessi comuni siano subordinati a quelli militari.”
26
In breve, è evidente che quanto viene sostenuto è che quell’articolo della Costituzione
introduce una restrizione che riguarda crimini o violazioni della legge che si verificano in tempo di
pace, senza estendersi a quanto si è verificato in tempo di guerra. Per quest’ultima situazione è
sufficiente il requisito che si tratti di fatti “strettamente collegati ad esigenze di guerra”.
Va ammesso che l’interpretazione dell’articolo costituzionale ora esposta ha una sua
plausibilità, perché indubbiamente la restrizione della competenza delle corti militari ai membri
delle Forze armate (piuttosto che ai “legittimi belligeranti”) si spiega più facilmente con la
situazione che si verifica in tempo di pace. Il fatto che il legislatore avesse in mente soprattutto tale
situazione, data l’ovvia rarità dei casi in cui, in tempo di pace, si pone l’esigenza di fare un processo
per crimini di guerra, non deve significare che l’articolo debba comportare un tale limite di
applicazione, che non viene in alcun modo enunciato esplicitamente. La situazione che si verifica in
tempo di guerra non è in alcun modo riproducibile in tempo di pace, perché le corti marziali
solitamente sono autorizzate a processare anche civili per reati che siano di tipo militare.
Un’estensione del genere della competenza dei tribunali militari non pare proprio essere
stata contemplata dal legislatore, anche perché la Costituzione configura la giurisdizione militare
come giurisdizione eccezionale in tempo di pace. La più plausibile estensione ai “legittimi
24
De Simone, Roma città prigioniera: i 271 giorni dell'occupazione nazista (8 settembre '43-4 giugno '44), Mursia,
Milano, 1994, pp. 98 e ss.
25
Dal Maso – Micheli, Processo Priebke: le testimonianze, il memoriale, Il Mondo 3, Roma, 1996, pp. 136 e ss.
26
Cfr. Leszl, Priebke. Anatomia di un processo, Editori Riuniti, Roma, 1997, pp. 192 e ss.
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belligeranti”, che includerebbe i membri delle SS, non è in alcun modo prevista. In ogni caso dubbi
al proposito potrebbero solo giustificare un coinvolgimento della Corte costituzionale circa la
corretta interpretazione dell’art. 103 della Costituzione italiana, perché è la competenza dei tribunali
militari piuttosto che quella dei tribunali civili che ha bisogno di essere provata, data l’eccezionalità
della giurisdizione militare.
La questione di fondo che si pone riguarda le funzioni che si ritengono proprie di un
tribunale militare: si tratta di un tribunale speciale che viene istituito in tempo di guerra (e senza
restrizione alla classe militare) per esigenze legate a quelle circostanze particolari, nelle quali
ovviamente non si può venire incontro a tutte le esigenze di rispetto del diritto che si impongono in
tempo di pace? Oppure si tratta di un tribunale ordinario che offre un’applicazione del diritto che
riguarda in particolar modo la classe militare? Nel primo caso il mantenimento dei tribunali militari
in tempo di pace è poco giustificabile (si può difendere unicamente con la considerazione che i
membri delle Forze armate debbono essere preparati, da ogni punto di vista, alle condizioni che
incontreranno in caso di guerra). Nel secondo caso si assume invece che la classe militare sia
un’entità separata dal resto della società, sicché le spetta una propria giurisdizione.
Quindi, interpretando l’articolo costituzionale in modo da estenderne l’applicazione al di là
dei membri delle Forze armate nel caso di delitti verificatesi in tempo di guerra si vuole e l’una e
l’altra cosa, quando nella maggior parte dei paesi democratici i tribunali militari cessano di esistere
in tempo di pace. Inoltre, conservando i tribunali militari in tempo di pace, si impongono ad essi le
stesse procedure che valgono per quelli civili, creando così un inutile duplicato.
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Esistono pertanto
delle buone ragioni per chiederne la completa abolizione, almeno in tempo di pace, ma
naturalmente non ci si poteva aspettare che un provvedimento legislativo di simile rilevanza potesse
essere preso per tempo in vista del processo contro Priebke.
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§ 1.3. La competenza del tribunale militare: i precedenti
Per completezza va detto infine che la competenza dell’Autorità giudiziaria militare può
essere contestata in quanto nella strage delle Fosse Ardeatine sarebbe in gioco il reato di genocidio
e per tale reato ha competenza la Corte di Assise. Tale reato è anche quello per il quale la Suprema
Corte argentina aveva concesso l’estradizione di Priebke. Peraltro è abbastanza chiaro dal testo in
cui sono riportate le motivazioni per concedere l’estradizione, che si fa riferimento a questo reato
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Leszl, Priebke. Anatomia di un processo, Editori Riuniti, Roma, 1997, pp. 196 e ss.
28
Leszl, Priebke. Anatomia di un processo, Editori Riuniti, Roma, 1997, pp. 198 e ss.
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