molti venditori, desiderosi di acquistare o di vendere una o più merci>>.
Secondo una definizione più moderna il mercato è il luogo nel quale
avvengono le contrattazioni tra gli operatori economici, gli scambi e le
formazioni dei prezzi. Nel senso più generale, è definito dall'esistenza di una
relazione di scambio tra due o più agenti economici, indipendentemente dalla
natura del bene o servizio oggetto dello scambio2.
Nella teoria economica, l'interpretazione delle funzioni attribuite al
mercato all'interno del sistema economico varia dalla visione apologetica della
dottrina neoclassica all'atteggiamento radicalmente critico dei marxisti ortodossi.
Secondo la dottrina neoclassica, il mercato rappresenta
2
ACOCELLA N., Istituzioni tra mercato e Stato, Roma, 1999, pag. 25.
l'espressione più autentica del sistema capitalistico, in quanto il capitalismo,
specie nella sua versione libero-concorrenziale, riuscirebbe
a realizzare una utilizzazione efficiente e una distribuzione equa delle risorse
economiche proprio in virtù del fatto di avere sottratto la gestione delle risorse
alle decisioni dei singoli individui (come avveniva, per es., nell'ambito
dell'azienda feudale, governata dal potere del feudatario) e di averla affidata al
meccanismo collettivo ed impersonale del mercato. Tutti gli sforzi andrebbero
quindi rivolti a far si che il mercato funzioni in modo soddisfacente,
correggendone le deformazioni e i guasti. Al riguardo la dottrina neoclassica
distingue varie forme di mercato che si differenziano per diversi aspetti
strutturali dal modello della concorrenza perfetta (monopolio, monopsonio,
oligopolio, ecc.).
Secondo la dottrina marxista , al contrario, l'apparente libertà delle
contrattazioni, che pone sullo stesso piano lavoratori e imprenditori, sarebbe
soltanto la superficie esteriore dei fenomeni: un'analisi volta a cogliere la
sostanza del meccanismo economico rivelerebbe che il mercato altro non è che
uno strumento attraverso il quale la classe dei capitalisti riafferma nei confronti
del proletario il potere che le deriva dal fatto di essere proprietaria e utilizzatrice
esclusiva di mezzi di produzione.
Oggi del mercato della concorrenza perfetta e del funzionamento
efficiente, quello che è presupposto nella teoria economica soprattutto
neoclassica, si potrebbe dire come dell'Araba fenice "che ci sia ciascuno lo dice,
ove sia nessuno lo sa3".
Da questo punto di vista risulta per molti aspetti sorprendente il dibattito
che intercorre ancora ai nostri giorni, fra sostenitori e denigratori del mercato.
3
CELLA G. P., Impresa e stato n°48, gennaio 2000.
1) Il mercato come istituzione
Le scienze sociali e politologhe impiegano il termine istituzioni in
un'ampia varietà di significati.
In una prima ampia accezione istituzione è l'insieme di regole, norme o
routines di varia natura, ma aventi carattere durevole, atte a regolare i rapporti
fra diversi soggetti. Simili norme possono essere frutto di un'autoselezione da
parte dei soggetti o essere imposte dall'esterno. Inoltre, può esservi o meno la
capacità di obbligare i soggetti stessi ad osservare le stesse norme.
In una seconda accezione un'istituzione comprende non soltanto il
complesso di norme del quale si è detto, ma anche le persone preposte
all'osservanza delle norme stesse e i mezzi materiali cui esse si avvalgono. Nella
seconda accezione il termine istituzione praticamente si confonde con quello di
organizzazione o organismo sociale.
Sono istituzioni: nel primo senso, il matrimonio, il regime di proprietà
privata, il mercato; nel secondo senso, la famiglia, "Cosa Nostra", l'impresa, lo
Stato4.
Quindi il mercato è, soprattutto, un "istituzione" (o un insieme di
istituzioni), e come tale va considerato, utilizzando un apparato teorico e
conoscitivo che non è più di appannaggio esclusivo della teoria economica.
D'altronde, su questo cammino si è confortati dai riconoscimenti e dai successi,
di quel pensiero "neo-istituzionalista" che ha guidato la riscossa all'insegna del
motto "le istituzioni contano" e che si sono, ad esempio, concretizzati nel premio
Nobel ottenuto nel 1993 da uno storico economico come D. C. North..
In effetti questa lettura "istituzionalista" del mercato, e dei mercati,
corrisponde abbastanza bene alla percezione che degli stessi hanno gli operatori
economici, o comunque i soggetti che intraprendono transazioni economiche,
anche di modesto rilievo. La prima impressione che si ha riguarda la
4
ACOCELLA N., Istituzioni tra mercato e Stato, Roma, 1999, pag. 11.
disponibilità dell'informazione: difficile se non impossibile attivare scambi,
senza un minimo di informazioni sulle qualità-quantità dei beni da scambiare,
nonché sulla disponibilità legittima degli stessi, sulla solvibilità e credibilità
delle controparti, sulle possibilità di ottenere il rispetto dei contratti, e di essere
protetti dagli opportunismi dei partners dello scambio. La seconda impressione è
che entrare nelle relazioni di mercato comporta dei costi, che possono essere dei
semplici costi-opportunità (il tempo, ad esempio, dedicato alla ricerca di un bene
con caratteristiche particolari) ma anche veri e propri costi di intermediazione
(come nel caso della commissione pagata ad una agenzia in una compravendita
immobiliare). La terza impressione, che emerge, soprattutto, nella anormalità, e
si nasconde nella normalità, e che sul buon funzionamento del mercato incidano
non solo le disposizioni legislative, ma anche delle disposizioni informali, tratte
dalle tradizioni culturali, quelle che conducono alla fiducia e alla cooperazione.
Le istituzioni sono dunque necessarie, proprio perché nella realtà
economica il mercato non permette, di per se, una perfetta conoscenza e
transazioni senza attriti e imperfezioni.
Nella lettura neo-istituzionalista i costi derivanti da questa conoscenza
imperfetta (o da questa asimmetria informativa) e da questi attriti vengono
denominati costi di transazione. Secondo D. C. North i costi di transazione si
producono sia perché l'informazione è costosa ed è distribuita in modo
asimmetrico, sia perchè qualsiasi tentativo di creare un'istituzione che regoli i
rapporti tra gli individui produce, in qualche misura, un'imperfezione del
meccanismo di mercato. In realtà, gli effetti incentivanti delle istituzioni
forniscono ai partecipanti segnali eterogenei, per cui anche nei casi in cui un
nuovo sistema istituzionale sia in grado di conquistare attraverso gli scambi
maggiori benefici di qualsiasi sistema precedente, ci saranno sempre stimoli a
mentire ed altri comportamenti che contribuiscono all'imperfezione dei mercati.
Date le caratteristiche degli individui, è semplicemente impossibile ideare
istituzioni che risolvono i complessi problemi dello scambio, e che, allo stesso
tempo, siano immuni da un qualche incentivo incompatibile con una condotta
efficiente. Nella storia dei sistemi economici molti esempi indicano le
innovazioni istituzionali che hanno abbassato i costi di transazione, consentito di
acquisire gran parte dei vantaggi dello scambio e, quindi, permesso l' espansione
dei mercati. Ma, in generale, quelle innovazioni non hanno creato le condizioni
necessarie all'affermazione dei mercati efficienti nella teoria neoclassica5.
Anche Coase (premio Nobel 1991) nel famoso saggio "the nature of the
firm" scopriva, riflettendo sulle ragioni del sorgere delle imprese
5
NORTH D. C., Istituzioni, cambiamento istituzionale, evoluzione dell'economia, Bologna,
1994, pag. 156-157.
(in alternativa al mercato), i “costi di funzionamento” del mercato, ad esempio
costi di contrattazione, che potevano essere risparmiati concentrando le attività
produttive entro un'organizzazione e utilizzando le attribuzioni di una gerarchia
(il manegement). Una scoperta, e un'intuizione decisiva per l’analisi istituzionale
dell’economia, e dei mercati in particolare. In quest’ottica il concetto di mercato
cessa di essere un’astrazione di esclusivo valore teorico, senza trasformarsi in
una mera descrizione di una realtà frammentata e disomogenea, segnata dalle
differenze storiche, culturali, sociali (come accadeva nella vecchia economia
istituzionalista di stampo ottocentesco).
L’efficienza dei mercati dipenderà allora non tanto dalle loro
caratteristiche intrinseche, presupposto della teoria economica (ovvero
l’esistenza sul mercato di un prezzo di equilibrio che permette alle transazioni
effettuate di massimizzare le utilità degli operatori), quanto dalle capacità delle
istituzioni di ridurre le asimmetrie informative e le altre incertezze connesse agli
scambi, con costi di transazione possibilmente non elevati. Tutte le istituzioni
economiche che pongono vincoli formali agli scambi di mercato, dai titoli di
credito, al catasto immobiliare, alla borsa valori, alla certificazione sulle
imprese, hanno il compito di ridurre le incertezze informative.
Incertezze che aumentano vistosamente nei casi nei quali è problematica
la perfetta definizione dei diritti di proprietà (come negli acquisti di beni
immobiliari), quando le transazioni si estendono lungo un ampio arco temporale
(come nei contratti di fornitura), quando le qualità del bene oggetto dello
scambio sono oggettivamente difficili da determinare o comunque valutabili
solo da una delle due controparti (come nella compravendita di auto usate).
In generale, il mercato non può funzionare senza la fitta rete di soluzioni
istituzionali, informali (basate ad esempio sull'abitudine) o formali (ad esempio,
codificate dalle leggi), che tengono insieme una società, o, ne costituiscono il
cemento6.
6
ACOCELLA N., Istituzioni tra mercato e Stato, Roma, 1999, pag. 29.
Come dice North, è l’affermazione di un “chiaro modello di sviluppo
condizionato dalle istituzioni”. E lo sviluppo è in gran parte originato dalla
diffusione di mercati efficienti.
2) Un paragone con altre forme istituzionali
Il mercato, che lo si consideri come forma dello scambio, come forma di
allocazione, come forma di regolazione, può essere apprezzato nelle sue
potenzialità, e anche nei suoi limiti, se lo si considera comparandolo con altre
forme istituzionali.
Questa comparazione è resa possibile dall’insuperato modello di Karl
Polanyi, secondo il quale sono tre le forme fondamentali di integrazione fra
economia e società: la reciprocità, la redistribuzione (o la politica), il mercato.
Secondo Polanyi: la reciprocità sta ad indicare movimenti tra punti
correlati di gruppi simmetrici e quindi richiede gruppi organizzati in forma
simmetrica ritrovabili nella comunità tradizionale, ma anche nella famiglia e
nelle associazioni di volontariato; la redistribuzione indica movimenti
appropriativi in direzione di un centro e successivamente provenienti da esso,
cioè necessita di qualche forma di centralizzazione o di autorità centrale fornita
di norma dalle strutture dello stato; lo scambio si riferisce a movimenti bilaterali
che si svolgono fra due “mani” in un sistema di mercato, e richiede l’operare di
mercati auto regolati dai prezzi, e dai corrispondenti vincoli istituzionali.
Sono queste le tre grandi forme pure, che ritroviamo nella storia, ma
anche nella contemporaneità. Entro questo modello il mercato appare come una
forma con ben pochi caratteri di naturalità, e con all’opposto forti tratti di
artificialità, derivanti proprio dalla creazione istituzionale, legislativa in primo
luogo.
Un modello di questo tipo rende possibile l'identificazione dei diversi tipi
di sanzioni istituzionali (sociali, politiche, economiche) che regolano i rapporti
fra i soggetti partecipanti alle transazioni, colpendo le devianze o gli
opportunismi. Nella forma della reciprocità le sanzioni invadono la vita sociale
nella sua interezza, derivando da aspettative generali diffuse di comportamento
imposte dal sistema parentale, dalle reti di solidarietà, dai vincoli associativi.
Nella forma della redistribuzione (o politica) le sanzioni, specifiche, sono
derivate da regole formali (legislative) emesse dall’autorità e finalizzate al
raggiungimento dell’ordine politico. Nel mercato il motivo dei comportamenti è
l’interesse individuale, i conflitti sono risolti, soprattutto, dal movimento dei
prezzi sul mercato, le sanzioni sono specifiche e attengono in prevalenza alla
sfera economica. Le sanzioni possono essere lette dal lato degli incentivi
negativi che esse permettono nei confronti degli attori delle transazioni
economiche. Le sanzioni di natura pubblica, ad esempio, non sono in molti casi
ritenute adeguate per scoraggiare gli opportunismi dei managers. Gli incentivi
permessi dallo scambio di mercato sono ritenuti talvolta ben più efficaci nel
tenere sotto controllo questi comportamenti opportunistici. E’ questa una
ragione sottostante a molte decisioni di privatizzazione negli ultimi anni, in
svariati contesti nazionali7.
7
CELLA G. P., Impresa e stato n°48, gennaio 2000.