Capitolo 1 - Il sistema italiano delle
relazioni industriali: evoluzione storica
dal dopoguerra all’attualità
1 Stato e parti sociali tra autonomia e interazione
Quante volte, nell’arco della nostra vita, ci è capitato di sentir parlare
di concetti quali Stato, parti sociali, ordinamento democratico,
concertazione? Altrettanto spesso queste parole, apparentemente
prive di un concreto significato terreno, ci sono sembrate così
lontane dal nostro vivere quotidiano, al punto tale che l’eco del loro
suono ha semplicemente iniziato ad accarezzare le nostre orecchie,
come una musica familiare della quale non ricordiamo il titolo.
Eppure, tutto quello che ci accade mentre facciamo progetti per il
futuro, quindi la nostra vita, dipende direttamente dall’azione di quei
soggetti, Stato e Governo, organizzazioni delle imprese e dei
lavoratori, che interagiscono tra loro all’interno dell’ordinamento
democratico, posto in essere dalle norme costituzionali.
Ognuno di questi attori ha certamente dei propri obiettivi: Stato e
Governo sono mossi dalla finalità di rappresentare l’interesse
generale e di costituire, attraverso le leggi, le condizioni ottimali per
uno sviluppo globale sul piano civile, economico e sociale; le
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imprese mirano alla loro sopravvivenza e al loro sviluppo, mentre i
sindacati si preoccupano di tutelare i bisogni dei lavoratori.
L’interazione tra i soggetti costituisce un principio essenziale del
sistema di relazioni industriali: un insieme di elementi costitutivi
legati tra loro da rapporti di scambio reciproco.
Gli attori nel loro operare godono di un certo grado di autonomia, dei
fini come dell’azione. Su questa condizione sostanziale è costituito il
modello di sviluppo delle società occidentali, un modello nel quale
ciascun operatore riconosce (o è indotto a riconoscere) i confini della
propria autonomia rispetto a quella altrui; il funzionamento
dell’interazione libera tra soggetti, anche se conflittuale, porta ad
escludere ogni possibilità di esercitare ruoli egemonici da parte di
uno o dell’altro dei protagonisti.
Partendo da questo presupposto, dietro il fallimento di sistemi
politico-economici vi sarebbe proprio l’assunzione da parte dell’uno
o dell’altro attore di un ruolo egemonico.
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Come sottolineato, questo modello può benissimo contemplare
situazioni conflittuali le quali, necessariamente, porteranno alla
vittoria di una o dell’altra delle parti in gioco; tuttavia, anche
occasioni di questo tipo fanno parte di quel meccanismo di
interazione alla base del sistema di relazioni industriali, attraverso il
quale le parti possono giungere al conseguimento dei propri, distinti,
obiettivi
2
.
1
P. Merli Brandini, L’evoluzione delle relazioni industriali dal 1943 ai nostri giorni (Quaderni
ISRIL, 1993, PP 17 - 32).
2
M. Napoli, Diritto delle relazioni industriali (n. 3, 2003).
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2 Gli elementi costitutivi dei sistemi di relazioni industriali
Come specificato in precedenza, il sistema di relazioni industriali è
un insieme di elementi costitutivi. Tradizionalmente la letteratura ha
concentrato la propria attenzione su: le condizioni esterne, gli attori,
i metodi e i luoghi. In questa sede verranno esclusivamente presi in
considerazione gli attori e i metodi utilizzati dagli stessi per
relazionarsi tra loro; riguardo le condizioni esterne è opportuno
sottolineare l’esistenza di diversi equilibri politici, che influenzano di
volta in volta l’assetto dei rapporti tra i soggetti: situazioni anti-
labour (esplicite, quando si governa in nome e in rappresentanza di
classi differenti da quella dei lavoratori; implicite, quando di fatto si
tutelano gli interessi di tali classi); pro- labour (con partiti di sinistra
al governo); non anti- labour (quando, ad esempio, con uno sviluppo
sostenuto, si riesce a distribuire i vantaggi per molti gruppi sociali o
non si può governare senza un certo consenso delle organizzazioni
sindacali).
Gli attori vengono normalmente indicati nelle organizzazioni e nelle
rappresentanze sindacali, negli imprenditori e le loro associazioni,
nello Stato. I lavoratori si esprimono normalmente e prevalentemente
nell’organizzazione sindacale
3
. Di fatto, però, l’impresa può porre in
essere politiche, strategie, iniziative che hanno come destinatario la
collettività dei propri collaboratori senza passare attraverso il
sindacato e senza scendere sul piano individuale: in questo caso si
parlerà di relazioni dirette. Al contrario per relazioni sindacali si
intendono quelle tra l’impresa ed i lavoratori, intesi come collettività,
3
G. Giugni, Diritto sindacale (Bari, Cacucci, 2002).
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realizzate per tramite del sindacato, soggetto organizzativo
intermedio rappresentante le istanze e gli interessi dei lavoratori.
Limitatamente a quest’ultimo ed alla sua azione, essi comportano la
considerazione dei seguenti elementi:
ξ il grado di diffusione del metodo sindacale nei diversi settori
produttivi (es: agricoltura, industria, servizi e pubblico
impiego);
ξ la misura e la dinamica della rappresentanza (livello di
sindacalizzazione) e della rappresentatività (capacità di
interpretare le esigenze dei lavoratori in relazione alla loro
composizione qualitativa);
ξ la struttura organizzativa (sindacati territoriali/orizzontali o
settoriali/verticali);
ξ la base di riferimento, ovvero le caratteristiche con cui
vengono selezionati i possibili aderenti (sindacati di mestiere,
settoriali, generali, aziendali);
ξ le attività che un sindacato si prefigge di svolgere per la tutela
degli interessi dei suoi rappresentati (controllo del prezzo della
merce lavoro, determinazione delle modalità di offerta e di uso
della merce lavoro, la presenza politica dei lavoratori nella
società);
ξ il metodo di gestione del consenso (esso può essere dato dai
lavoratori sulla base della valutazione dei risultati dell’azione
sindacale - efficacia ed efficienza - o sulla base della
partecipazione degli iscritti alla vita ed alle decisioni del
sindacato medesimo - democrazia interna);
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ξ la platea di referenti cui essi si rivolgono: sindacati
associazione (quelli che assumono come proprio referente
politico gli iscritti e solo ad essi rispondono della propria
azione, pur non dimenticando del tutto i potenziali iscrivibili)
e sindacati movimento (quelli che assumono come propri
referenti la totalità dei lavoratori, quindi anche i non iscritti);
ξ i rapporti con i movimenti politici: 1) modello rivendicativo
puro (senza relazioni dirette e senza istanze politiche
esplicite); 2) modello trade-unionista (rapporti diretti, di
equilibrio, subordinazione o dominio con i partiti riformisti);
3) modello “cinghia di trasmissione” (rapporti, quasi sempre,
di subordinazione con movimenti rivoluzionari o in
opposizione al sistema); 4) modello “consiliare” o
“sindacalista” (il sindacato comprende al suo interno la
prospettiva politica, sia come movimento, sia come assunzione
di obiettivi politici di carattere generale).
Alla luce degli ultimi due elementi, è possibile affermare che
l’esperienza sindacale propria di un modello rivendicativo puro viene
tradizionalmente indicata come di natura associativa; essa, quindi, si
esprime nella tutela esclusiva degli iscritti, privilegia le iniziative sui
luoghi di lavoro e le strutture verticali, non ha rapporti espliciti con i
partiti; al contrario, negli altri modelli, il sindacato opera per tutti i
lavoratori, privilegia iniziative di ampiezza maggiore e le strutture
orizzontali, ha rapporti con i partiti di riferimento.
4
Come visto in
4
G. Cella, T. Treu, Le nuove relazioni industriali. L’esperienza italiana nella prospettiva
europea (Bologna, Il Mulino, 1998).
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precedenza, l’associazione dei lavoratori che agisce secondo questi
criteri viene considerata un sindacato movimento (o di classe).
Questa distinzione è venuta in gran parte meno nel secondo
dopoguerra: in Italia i due maggiori sindacati, Cgil e Cisl, oltre ad
aver avuto per lungo tempo politiche unitarie, si sono dotate nel
corso degli anni di una struttura organizzativa molto simile.
Anche le imprese si avvalgono di loro associazioni, alle quali è
demandato il compito di rappresentare gli interessi dei loro associati.
Tuttavia, nonostante si faccia, per ragioni di semplicità, continuo
riferimento al concetto di sindacato delle imprese, è opportuno
osservare che le associazioni datoriali presentano delle peculiarità
rispetto a quelle della controparte lavorativa, proprio perché la
disomogeneità fra le singole imprese è superiore a quella fra i
lavoratori. In effetti ad essere disomogenei sono gli interessi in
gioco; le imprese hanno delle esigenze più articolate e variegate
rispetto alla determinazione del salario o delle condizioni di lavoro e,
conseguentemente, le loro organizzazioni avranno un orizzonte
adeguato alle suddette esigenze.
Le associazioni delle imprese si distinguono sul piano:
ξ associativo (associazioni territoriali o categoriali, con finalità
di rappresentanza nelle relazioni industriali, di supporto
all’attività di impresa o entrambe);
ξ aziendale (distinzione basata sulla tipologia di impresa che
l’associazione accomuna: dimensione dell’impresa, tipi di
processi produttivi,ecc.).
Il terzo soggetto delle relazioni industriali, lo Stato, svolge il suo
ruolo in quattro differenti direzioni:
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ξ è datore di lavoro (in quasi tutti i paesi occidentali esso è il
datore di lavoro con il maggior numero di dipendenti);
ξ attraverso l’erogazione di norme che influenzano direttamente
o indirettamente i rapporti tra imprese e lavoratori (molto
dipenderà poi dal tipo di equilibrio politico vigente);
ξ attraverso interventi di politica economica e sociale, che hanno
influenza sulle condizioni dei lavoratori e, più in generale,
sull’intera economia;
ξ attraverso la mediazione di conflitti tra le parti sociali.
Infine vi sono i metodi, determinati in buona misura dalle scelte e dai
caratteri dell’attore sindacato ma, ugualmente, dalle condizioni
politiche, nonché dalle scelte e dai caratteri della controparte. Può
essere fatta una distinzione tra:
ξ regolamentazione unilaterale (il sindacato stabilisce
autonomamente le condizioni alle quali i suoi affiliati
accettano l’occupazione);
ξ la contrattazione collettiva (ossia il processo che si serve della
negoziazione tra imprenditori e sindacato per la definizione
delle retribuzioni e degli aspetti normativi del rapporto di
lavoro);
ξ la regolamentazione per legge (voluta, accettata o subita dai
lavoratori e dalle loro rappresentanze).
Il primo metodo, tipico delle associazioni di mestiere, è oggi
praticamente inesistente, con situazioni residuali, ad esempio, in
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Gran Bretagna. Il secondo è da tempo divenuto il metodo normale
ma, sia nel passato che nel presente, la regolamentazione legislativa
assume un notevole rilievo.
3 Le relazioni industriali in Italia
Durante il secondo dopoguerra le relazioni industriali in Italia hanno
avuto uno sviluppo relativamente modesto; le condizioni economiche
del Paese, fino almeno ai primi anni ’50, non permettevano
certamente azioni sindacali che non fossero prettamente difensive e,
di conseguenza, le organizzazioni dei lavoratori erano soprattutto
preoccupate del mantenimento dei livelli occupazionali. Vi era
inoltre in buona parte del sindacato stesso l’idea che gli interessi e le
istanze dei salariati fossero da difendere prevalentemente in sede
politica, piuttosto che sul piano contrattuale. I partiti della sinistra si
facevano così promotori degli interessi indicati, anche se una quota
importante della popolazione lavorativa si sentiva estranea a questa
logica e pertanto non rappresentata. Si trattava di una spaccatura
ideologica che ebbe delle conseguenze decisive e che portò,
congiuntamente ad altri elementi, alla nascita della Cisl nel 1950.
Queste divisioni interne evidenziano la debolezza del sindacato di
quel periodo che, una volta soddisfatte le necessità principali, non
riusciva ad imporsi obiettivi progressivi; ciò si rifletteva
nell’incremento dei salari, decisamente inferiore rispetto agli aumenti
di produttività del lavoro (spesso gli aumenti venivano concessi
dall’imprenditore con atti unilaterali e individuali).
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Il ruolo preminente spettava alla negoziazione interconfederale e, in
misura più ridotta, ai contratti nazionali, mentre erano praticamente
assenti sindacato e accordi a livello aziendale. Il tutto spiegava la
scarsa estensione della contrattazione (in molte aziende i contratti
non erano rispettati), la sua modesta portata (si tendeva a garantire
soprattutto il “minimo” delle condizioni pattuite), la poca consistenza
della sua intensità.
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Il boom degli anni ’60 fornirà invece il decisivo impulso per lo
sviluppo delle relazioni industriali. La sostenuta crescita economica
favorirà infatti la costruzione di un complesso e avanzato sistema,
connotato da una più intensa attività sindacale, da più favorevoli
condizioni del mercato del lavoro, da più aperti equilibri politici.
A partire da questo decennio l’azione e le organizzazioni sindacali
compiono un eccezionale “salto di qualità”, assumendo finalmente
un forte potere contrattuale; inizia a diffondersi con rapidità il
metodo sindacale (con centralità dell’industria ma rilevanza nel
terziario e nel pubblico impiego); alti livelli di rappresentanza e, in
numerosi settori, di rappresentatività; espansione e protagonismo
delle strutture verticali, seguite dall’articolazione e dalla
moltiplicazione delle sedi di iniziativa rivendicativa, specie
all’interno delle unità produttive; affermazione di obiettivi
propositivi e progressivi; continuità e diffusione della conflittualità;
assunzione di un ruolo politico in prima persona.
6
L’azione sindacale accrescerà la sua importanza negli anni ’70, fino
ad assumere un ruolo ormai fondamentale per l’andamento
dell’economia italiana. Questa espansione presenta peraltro delle
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G. Cella, T. Treu, Op. Cit.
6
G. Cella, T. Treu, Op. Cit.
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