4
Dalla contrapposizione fra contratti che hanno un loro nome e
convenzioni che transeunt ad propriam nomen contractus, i
Bizantini elaborarono appunto la figura dei c. d. contratti innominati.
In questa categoria dovevano rientrare sia gli accordi che in età
classica non si ritenevano idonee fonti di obbligazione
1
, sia quelle
convenzioni di epoca tarda prive di uno specifico rimedio
giurisdizionale.
La carenza di nomen iuris non è un segno di anomalia di questi
contratti rispetto al sistema generale del diritto romano. L’unica
differenza che intercorre fra i contratti innominati
2
e quelli nominati è
che i primi corrispondono a delle operazioni economiche non
particolarmente diffuse e praticate nel mondo degli affari e del
commercio, e, di conseguenza, sono privi di una uniformità sociale e
giuridica; i secondi, forse per una maggiore rispondenza ai bisogni e
alle necessità dei singoli individui, hanno assunto nella prassi
quotidiana e nel diritto una fisionomia definita.
La distinzione fra contratti innominati e nominati, nata già nel diritto
romano, fu conservata nelle codificazioni dell’ottocento.
1
Si riteneva infatti che le obbligazioni potessero sorgere esclusivamente dai contractus e che,
di conseguenza, non bastasse il semplice consenso ( pactum ) a generare obbligationes iuris
civilis. Il contratto dunque non era idoneo a trasferire la proprietà, né a creare rapporti o a
regolare una situazione oppure una relazione intersoggettiva. Gli accordi dai quali non
scaturivano delle obbligazioni in senso giuridico erano, infatti, dei semplici pacta, privi di un
rilievo processuale, almeno dal punto di vista dell’actio
2
Nel contesto del diritto romano, la categoria dei c.d. contratti innominati veniva
schematizzata in quattro forme: do ut des, do ut facies, facio ut des e facio ut facies e si
inseriva come una sottospecie dei contratti reali.
5
Il code Napoleon all’art. 1107 affermava l’ammissibilità giuridica di
convenzioni contrattuali che non avevano una denomination, cioè che
non erano nominalmente previsti nelle disposizioni codificate.
Una analoga asserzione era contenuta nel codice italiano del 1865
all’art. 1103
3
. Questa norma fu foriera di contrasti dottrinali che si
schematizzarono essenzialmente in due linee interpretative: una più
restrittiva, l’altra di vedute più ampie.
Per quel che riguarda il primo orientamento
4
si sosteneva che i
contratti innominati idonei a ricevere rilevanza e tutela giuridica
fossero solo quelli la cui causa costituiva il prodotto della mistione tra
due o più cause tipiche. Partendo dall’idea che le parti, ponendo in
essere un contratto, perseguono esclusivamente uno scopo pratico e
non un intento giuridico, che solo la legge può ricollegare l’effetto
giuridico alla fattispecie negoziale concreta, e, infine, che le
conseguenze giuridiche sono individuabili solo nelle figure previste e
regolate dal codice, si giungeva necessariamente alla conclusione della
tipicità degli intenti empirici negoziali. In quest’ottica l’autonomia
contrattuale ed in particolare l’autonomia del tipo contrattuale si
risolveva nella facoltà di creare rapporti obbligatori, anche diversi da
3
“ I contratti, abbiano o non abbiano una particolare denominazione propria, sono sottoposti
a regole generali […] “
4
Per tutti: Cariota – Ferrara, I negozi fiduciari, Padova, 1933, 121 e ss.
6
quelli tipici, ma non al di fuori delle cause fondamentali credendi,
solvendi e donandi.
Il secondo orientamento dottrinale
5
, invece, valorizzava il contenuto e
la portata pratica dell’art 1103 del codice civile del 1865, basandosi
essenzialmente su due argomenti, il primo dei quali è la tipicità delle
cause. E’ stato sostenuto, infatti, che i privati, con i loro atti negoziali
possono perseguire intenti pratici, scopi economici anche diversi da
quelli fissati nelle norme positive e purchè degni di tutela giuridica,
proprio in virtù dell’art. 1103 c.c .
Il secondo è la critica alla tesi che nega rilevanza all’intento giuridico
delle parti contraenti.
Si sostiene, nello specifico
6
, che si cade in errore quando si afferma
che l’intento delle parti è necessariamente tipico perché la legge
ricollega e può ricollegare ad esso solo effetti tipici, in quanto già
codificati. Al contrario, se pure è innegabile che solo la legge può
attribuire valore giuridico ad una certa operazione economica, ciò non
significa che non possano esservi dei casi in cui il riconoscimento dello
scopo perseguito nel contratto sia riconosciuto non in via specifica ma
in via generica.
5
Grassetti, Rilevanza dell’intento giuridico in caso di divergenza dell’intento empirico, in
Studi economico – giuridici della Università di Cagliari, XXIV, 1936, 14
6
Grassetti, op. cit
7
La soluzione a cui si pervenne non fu quella di ricercare una disciplina
specifica per la categoria dei negozi innominati ma si scelse di
applicare analogicamente le norme dettate per i contratti tipici più
vicini alla fattispecie concreta.
Nel codice civile del 1942 i contratti atipici vengono inseriti attraverso
l’art. 1322. Esso stabilisce, al comma 2, che ai privati è consentito
porre in essere dei rapporti contrattuali anche al di fuori dei tipi
disciplinati nel codice, ma a condizione che essi siano socialmente
utili e, solo in quanto tali, meritevoli di giuridica tutela.
Il significato di questa regola viene spiegato nella Relazione al Re, ove
si legge che “il giudizio di meritevolezza” doveva fungere da filtro che
impedisse la giuridicizzazione delle convenzioni private lecite, ma
insignificanti o irrilevanti per lo svolgersi della vita economica dello
Stato. Si coniugavano così tradizione liberale e ideologia fascista: si
salvava l’autonomia privata ma venivano funzionalizzati gli interessi
individuali.
Il potere dei privati di autodeterminare i propri rapporti era dunque
garantito e giuridicamente protetto solo se vi era coincidenza tra i fini
da loro perseguiti e le finalità cui tendevano la politica e l’economia
nazionale.
Il giudizio di meritevolezza sarebbe servito quindi a porre in essere un
duplice controllo: uno di legittimità e l’altro di merito.
8
Si noti, però, che il requisito dell’utilità sociale viene, oggi come allora,
richiesto per qualsiasi contratto, sia tipico che atipico. L’unica
differenza consiste nel fatto che il requisito della meritevolezza viene,
per i contratti tipici, controllato dal legislatore prima dell’inserimento
nel corpus legislativo.
La funzione cui assolveva il c.d. giudizio di meritevolezza nella
prospettiva del legislatore del 1942 non può ritenersi invariata, stante
il mutato assetto istituzionale e legislativo.
Venuto meno il sistema corporativo, sono cadute tutte quelle norme
che esprimevano i valori economico – politici che le relazioni private
dovevano realizzare e di cui il giudice doveva tener conto nella sua
valutazione di merito sull’efficacia (giuridica) dei c.d. contratti atipici.
L’art. 1322 è, quindi, espressione della libertà contrattuale delle parti
che hanno la facoltà di concludere negozi che non siano oggetto di
disciplina codicistica.
L’introduzione dell’art. 1322 c. 2 ha dato luogo a dispute
interpretative.
E’ stato già detto che i contratti atipici sono ammessi
nell’ordinamento in quanto volti a realizzare interessi meritevoli di
tutela secondo l’ordinamento giuridico e perciò, vietati ex art. 1322 c.
2, non sono altro che i contratti contrari a norme imperative, ordine
pubblico e buon costume.
9
Seguendo questo ordine di idee, allora, è opportuno chiedersi quale
sia il rapporto tra l’articolo in esame e l’art. 1343 c.c.
La dottrina si è divisa tra chi sosteneva l’inutilità della previsione del
comma 2° dell’art. 1322
7
e chi invece sosteneva la non ripetitività della
previsione in esame.
Per meglio capire la soluzione che col tempo è stata data a questa
questione, è opportuno vagliare i precedenti storici.
Un prima fase si è avuta negli anni ‘50/’60 del XX sec.: in questo
momento storico il contratto viene ammesso nell’ordinamento se
realizza interessi generalissimi. Si considera superfluo ricordarlo per i
contratti atipici poiché è ovvio che ogni contratto deve realizzare
interessi metaindividuali. L’interpretazione dell’espressione è, perciò,
considerata abrogante. In questa fase non esiste una differenza tra il
giudizio di meritevolezza e quello di liceità; un’operazione giuridica
risponde soltanto al giudizio di liceità.
In questa prospettiva le norme si appiattiscono e la previsione dell’art.
1322 c.c. sembra non avere nessun senso.
Una seconda fase si è avuta alla fine degli anni ’60 ed è stata
caratterizzata da un’inversione di tendenza
8
: l’art. 1322 e 1343 c.c.
7
Betti Teoria generale del negozio giuridico, Torino, Unione tipografico – editrice torinese,
1950
8
Gazzoni Il contratto in generale, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1987
10
hanno ambiti esclusivi d’azione. Il giudizio di meritevolezza e quello di
liceità attengono a fasi differenti della contrattazione.
Il primo attiene alla causa del negozio; viene operato un giudizio di
esistenza dello schema negoziale che porta ad un giudizio sulla
astratta possibilità di giuridicizzazione del vincolo. Il secondo attiene
al tipo di regolamento: un contratto non è idoneo a realizzare interessi
meritevoli di tutela se le parti hanno violato le regole dell’ordinamento
relative all’ordine pubblico, norme imperative e buon costume.
Nel contratto atipico, dall’interprete, dovrà essere realizzato prima il
giudizio di meritevolezza e successivamente quello di liceità.
Nel contratto tipico, invece, il giudizio di meritevolezza viene, a
monte, realizzato dal legislatore. L’interprete dovrà sempre
controllare se la pattuizione è conforme a norme imperative, buon
costume e ordine pubblico.
Questa interpretazione tenta di salvare la validità dell’art. 1322 c.c.:
esso fungerebbe da primo filtro per l’ingresso del contratto atipico
nell’ordinamento.
L’art. 1343 c.c. opererebbe un secondo controllo, di liceità, da operarsi
nei confronti di qualsiasi tipo di contratto.
Una questione che da sempre accompagna la distinzione tra contratti
tipici e atipici è quella riguardante la disciplina applicabile. In via di
principio, possiamo dire che ai primi si applica, oltre alla normativa
11
generale sui contratti, quella propria del tipo cui appartengono; ai
secondi, solo la normativa generale sui contratti.
A questo proposito, è possibile distinguere tra le soluzioni prospettate
dalla dottrina e dalla giurisprudenza.
La prima
9
focalizza la propria attenzione sul fatto che le norme di
parte generale, attenendo alla struttura dell’operazione e dunque
riguardando ogni tipo di contratto, disciplinano anche i contratti
atipici. Anche se, la stessa ammette che “il contratto atipico, cui
applicare le sole regole generali contenute negli art. 1321 – 1469 c.c.,
non ha mai fatto apparizione in un ufficio giudiziario”
10
.
La giurisprudenza, infatti tende spesso a tipizzare i contratti che tipici
non sono.
Questa riconduzione dei contratti atipici ai tipi è comprensibile: essa
risolve il problema d’individuare la disciplina applicabile al contratto;
e la individua in regole che, apparentemente, promettono un
equilibrato contemperamento degli interessi delle parti. Tuttavia essa
presenta un rischio: disattendere la volontà dei contraenti, deformare
arbitrariamente l’assetto di interessi perseguito col contratto che le
parti possono aver voluto atipico, proprio per sottrarlo alla disciplina
legale di qualsiasi tipo.
9
Sacco R. Il contratto, Torino, Unione tipografico – editrice torinese, 1975
10
Sacco R. op. cit.
12
Vengono dunque evidenziate tre tecniche di soluzione del problema in
esame che, secondo la dottrina citata, vengono utilizzate dalla
giurisprudenza.
La prima è quella della tipizzazione delle clausole : si crea una
corrispondenza fissa tra l’intento delle parti e gli effetti del contratto
(questa fissità verrebbe creata per evitare delle variazioni sul tipo
contrattuale). A questo proposito, possiamo considerare come
esempio il contratto di guida di autoveicoli. L’oggetto della
prestazione si esaurisce nell’insegnamento o esso comprende anche la
sorveglianza? Quest’ultima viene considerata dalla giurisprudenza
una prestazione in re ipsa.
La seconda è quella della prevalenza del tipo: le parti inseriscono nel
contratto una clausola estranea al tipo. La giurisprudenza considera
questa clausola variazione inessenziale del tipo che assume carattere
prevalente nella soluzione delle controversie.
Un’ultima tecnica parte dall’assunto che il contratto atipico, in genere,
produce singoli effetti di singoli contratti tipici. Partendo da questa
idea avremo la scissione degli effetti e l’applicazione relativa della
singola disciplina.
Spostando il nostro punto d’osservazione dalla succitata dottrina alla
giurisprudenza, l’individuazione della disciplina applicabile avviene
con le tre teorie classiche sui contratti atipici.
13
La prima è quella dell’assorbimento o prevalenza
11
: la fattispecie
atipica viene ricondotta al tipo che la assorbe.
A questa idea può muoversi una critica immediata: l’applicabilità della
disciplina tipica “prevalente”, frustra irrimediabilmente il reale
interesse delle parti che avrebbero avuto a disposizione già un tipo
legale per raggiungere i propri scopi e non avrebbero avuto ragione
alcuna di porre in essere un contratto atipico. Di fatto, questa teoria
elimina il problema del contratto atipico poiché esso viene ricondotto
completamente al tipo prevalente.
Il secondo orientamento è quello detto della combinazione
12
: il
contratto viene “scisso” nei vari elementi che lo compongono e ad
ognuno di essi verrà applicata la disciplina tipica corrispondente. Per
far ciò, possono essere utilizzati due metodi; il primo è quello
dell’alfabetizzazione, per cui si considerano corrispondenti alla varie
lettere dell’alfabeto i singoli elementi del tipo contrattuale. Al
momento dell’applicazione della disciplina, individuando le varie
“lettere dell’alfabeto”, si applicheranno le singole “porzioni” della
disciplina interessata. Il secondo è quello della sussunzione per cui, vi
è un confronto tra la fattispecie contrattuale concreta e il tipo
11
Asquini, Il contratto di trasporto terrestre di persone – Parte generale (1915), rist.,
Camerino, 1984, p. 69 e ss.
12
Messina, Negozi fiduciari in Scritti giuridici, I, Milano, 1948, p. 89 ss ; De Gennaro, I
contratti misti. Delimitazione, classificazione e disciplina. Negotia mixta cum donatione,
Padova, 1934, p. 182 e ss; De Simone, I negozi irregolari, Napoli, 1952, p. 101
14
astrattamente definito dalla norma, per verificare se la prima
corrisponda al secondo. A questa costruzione teorica, però, possono
essere mosse delle critiche
13
che vengono, di seguito, sinteticamente
ricordate.
In primo luogo, non è detto che l’interprete sia in grado di individuare
i singoli elementi di tutti i tipi contrattuali presenti.
In secondo luogo, è possibile che i vari elementi dei tipi necessitino
l’applicazione di discipline fra loro configgenti ( si pensi al caso
dell’inadempimento dell’utilizzatore nel leasing e la restituzione delle
rate versate: l’art. 1458 c.c, riguardante gli effetti della risoluzione del
contratto per inadempimento, considera impossibile la restituzione
delle rate già pagate nel caso di contratti ad esecuzione continuata e
periodica – e dunque applicabile alla parte del contratto relativa alla
locazione - ; l’art. 1523 c.c., in tema di riserva di proprietà, sancisce,
invece, la possibilità della restituzione delle rate riscosse salvo equo
compenso per l’uso della cosa).
Infine, non possono esistere elementi legati in maniera biunivoca ad
un unico tipo contrattuale ( es: il prezzo non è elemento presente solo
nel tipo contrattuale “vendita”).
Si conclude che, per poter individuare la disciplina applicabile, non è
possibile scomporre il contratto nei suoi singoli elementi e applicarvi
13
Ricca, Contratto e rapporto nella permuta atipica, Milano, Giuffrè, 1974
15
direttamente la disciplina tipica corrispondente, ma, in base ad essi,
bisogna applicare la disciplina corrispondente in maniera analogica,
caso per caso, in relazione al singolo problema.
Un’ultima via scelta da una certa parte della dottrina
14
è quella
dell’analogia: quando si applica la normativa del contratto tipico a
quello atipico, la si applica in via analogica con tutti i limiti di cui
all’art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale (cioè il limite delle
norme penali e delle leggi eccezionali).
Può capitare, poi, che ci si trovi davanti a contratti misti
15
e a contratti
collegati
16
. Con la prima definizione vengono identificati dei contratti
la cui causa sia combinazione di elementi propri di una pluralità di
contratti nominati. Nel secondo gruppo vengono individuati dei
contratti che non comprendono solo elementi del tipo contrattuale ma
l’intero tipo contrattuale.
In quest’ultimo caso, si avrà l’applicazione totale delle diverse
discipline inerenti ai tipi di contratti presenti nella mistione realizzata
dai contraenti.
14
La Lumia, I depositi bancari, Torino, 1913, p. 253 e ss.; Ferri, Vendita con esclusiva, in Dir.
e prat. Comm. 1933, p. 403 e ss.; Ascarelli, Contatto misto, negozio indiretto, “negotium
mixtum cum donatione” in Studi in tema di contratti, Milano, 1952, p. 82 s.
15
Cataudella I contratti, Torino, Giappichelli, 2000
16
Cataudella, op. cit