6
Nel corso di questo lavoro, si cercherà di capire la veridicità di tale affermazione,
tentando di comprendere se l‟unico punto in comune tra il mondo delle arti e quello del
business sia solo di natura economica, oppure se il beneficio che può dare la presenza
dell‟arte all‟interno di un‟azienda possa andare oltre, riuscendo ad infondere soprattutto
benessere culturale.
La nostra attenzione si focalizzerà quindi sul ruolo delle collezioni aziendali, sulle
motivazioni che spingono un‟impresa ad iniziare un‟avventura tanto complessa, quanto
dispendiosa, e sulle conseguenze che comporta tale scelta.
Indagando l‟ipotesi se il collezionismo d‟impresa rappresenti più un costo o un
investimento (Lisbonne e Zurcher 2009), si propone un approfondimento del fenomeno,
presentando i risultati di uno studio effettuato sulle collezioni aziendali più significative
a livello internazionale.
Nel primo capitolo, si guarderà dapprima alla nascita del fenomeno, alle forme iniziali
di collaborazione tra arte e impresa ed a come si è giunti alla nascita di vere e proprie
collezioni d‟arte. Si analizzeranno le principali causali che spingono un‟azienda a
collezionare proprio arte contemporanea, cercando di capire se esistono e quali sono, i
benefici che ne derivano. Si proseguirà poi con l‟analisi delle decisioni alla base del
collezionismo d‟impresa, della tipologia tipica di un‟azienda collezionista, delle
modalità di collaborazione con cui si può scegliere di sostenere l‟arte e di come si inizi
una raccolta di opere (Martorella 1990).
Gestire collezioni aziendali, comporta la presenza di figure dal ruolo chiave e sono
coloro che curano lo sviluppo degli acquisti di queste raccolte, che lavorano a tempo
pieno come direttori delle fondazioni o come consulenti. Si tratta di critici, direttori e
curatori di musei e anche di veri e propri manager, con una formazione più economica
che artistica: comunque sono tutti personaggi in stretto rapporto con le strutture del
mercato e le istituzioni culturali, che nello studio della corporate art dovevamo essere
almeno citati (Spranzi 2003).
Per comprendere meglio il fenomeno, si analizzeranno specificatamente sia le collezioni
degli istituti di credito, considerati i primi fautori del fenomeno, sia quelle di altre
aziende non operanti in tal campo, ma meritevoli comunque di attenzione.
Nel secondo capitolo si studieranno collezioni di importantissimi istituti creditizi come:
JP Morgan, ING Group, Gruppo Unicredit, UBS, Deutsche Bank ed Intesa San Paolo.
7
Si guarderà al ruolo delle raccolte all‟interno dei gruppi bancari ed a come questi si
occupino della loro gestione; parte dello studio tenterà di comprendere come e se la
presenza dell‟arte contemporanea in ambienti inusuali, come i classici edifici di una
banca o di un‟azienda, possa avere un affetto positivo sugli impiegati e sui clienti, che
hanno la possibilità di visionare tali opere in modo semplice ed immediato, anche grazie
ai programmi educativi organizzati dalle aziende stesse.
Nell‟epoca della comunicazione di massa, non si poteva non considerare il mondo del
digitale, per cui buona parte del ricerche saranno effettuate su internet, visitando i siti
delle collezioni e confrontando le metodologie usate da ogni impresa per poter
pubblicizzare e promuovere le proprie opere. Molte aziende inoltre, non solo
permettono la visione delle collezioni in rete, ma desiderano un coinvolgimento dello
spettatore, il quale può visitare direttamente da casa le mostre on-line o essere informato
sui vari progetti culturali organizzati dalla compagnia in tempo reale.
Nel terzo capitolo, sarà usata la stessa metodologia di analisi per le collezioni non di
istituti di credito, quali: Progressive, CCPL, Simmons&Simmons e Migros.
Si guarderà, in particolare, se esistono o meno delle affinità con i casi precedentemente
studiati e si porrà molta attenzione alla così detta “responsabilità culturale”, che sempre
più si affianca a quella tipica sociale. Si citeranno quindi progetti molto importanti in tal
senso, come quello di collaborazione tra Unilever e la Tate Modern di Londra, il quale
ha dato vita alle Unilever Series, il caso italiano di CCPL e il suo importantissimo ruolo
nel promuovere il patrimonio artistico di Reggio Emilia ed il programma Percento
Percentuale di Migros, con il quale si vuole creare una collaborazione tra diversi
contesti sociali, anche grazie all‟uso della cultura.
Vi sarà poi uno studio delle fondazioni di‟impresa, nel capitolo quattro, in cui si
affronterà il problema della mancanza di una definizione unanime di fondazione e di
una legislazione uguale per i diversi paesi europei. Per capire meglio il legame esistente
tra questo tipo di ente ed un‟azienda, si citeranno tre esempi: la Fondazione Cartier, la
Fondazione AkzoNobel e la Fondazione Teseco per l‟arte, ponendo attenzione sulle loro
attività di sponsorizzazione, committenza ed acquisizione delle opere.
Per concludere, in un‟appendice, si affronteranno temi non direttamente collegati alle
corporate art collections studiate, ma sicuramente attinenti all‟argomento, come: il capitale
investito nelle collezioni, il destino delle raccolte in caso di fallimento dell‟azienda
8
proprietaria, la nascita delle varie associazioni culturali che si occupano del connubio
esistente tra arte e business ( Art For Business, Art & Business, ADMICAL e CAS) e le
nuove forme di investimento proposte dalle banche ai privati legate alla cultura, meglio
conosciute come art banking.
9
CAPITOLO 1
IL COLLEZIONISMO D’IMPRESA: NOZIONI GENERALI
1.1 LE PRIME FORME DI COLLABORAZIONE TRA ARTE E IMPRESA
A partire dagli anni Sessanta, Arte ed impresa, due settori solo in apparenza lontani ed
incompatibili, hanno instaurato un rapporto forte e di lunga durata; l‟arte ha saputo
infatti suscitare l‟interesse delle imprese, le quali vi hanno creduto ed investito ingenti
quantità di denaro.
Gli artisti, creativi e irrazionali nel loro estro e nella loro genialità, sembrano avere poco
in comune con la rigidità e la logica, tipica del mondo delle aziende, le quali invece
hanno intuito le grandi potenzialità di questo mondo ed hanno iniziato a comportarsi
come veri e proprio “collezionisti”. Una raccolta di opere di un‟impresa può nascere nei
modi più insoliti, per un interesse e una passione personale, o per ragioni puramente
economiche, per poi diventare motivo di orgoglio e vanto dell‟azienda stessa.
Prima di affrontare il tema centrale di questo lavoro, ovvero la Corporate Art
Collection, analizzeremo la nascita del fenomeno e le prime collaborazioni tra artisti ed
imprese.
Prima del 1940, le compagnie assumevano gli artisti unicamente per creare nuove
confezioni per i loro prodotti, calendari aziendali o per fini pubblicitari; infatti, gli anni
compresi tra la fine del 1800 ed i primi decenni del 1900, sono ricchi di manifesti,
locandine e stampe che testimoniano la bravura e la creatività degli artisti, ancora oggi
oggetto di interessanti collezioni. Aziende automobilistiche, acque minerali, saponi,
profumi, ma anche film e località di villeggiatura, si sono avvalse di questa forma di
“collaborazione artistica”. Le aziende, con l‟evolversi della società e dei tempi, capirono
sempre più che l‟arte poteva essere utilizzata per molti altri scopi, come migliorare o
promuovere la loro immagine. Un esempio sono le ferrovie di Atchinson, Topeka e
Santa Fe1, che per liberarsi dall‟immagine violenta e di pericolo che i mass media
avevano dell‟America del Sud, commissionarono centinaia di dipinti, con lo scopo di
trasmettere un‟immagine bucolica e rassicurante del paesaggio e delle persone di quella
parte del mondo. L‟arte inizia quindi a risultare interessante per le aziende, non solo dal
punto di vista dell‟advertising, ma anche per il suo impatto sociale sui mass media.
1
Sull’argomento si veda: Martorella S., Corporate Art, Rutgers University Press, London, 1990, p. 21.
10
Acquistare dipinti ed opere significava avere interessi che andavano oltre lo scopo
puramente economico, ma trasmettevano un‟immagine di impresa colta, evoluta e
socialmente impegnata. Le collezioni d‟arte diventano un bene di grande valore per le
imprese, creando un ambiente stimolante e professionale sia per i lavoratori e per i
visitatori.
Nel 1939 l‟IBM iniziò ad acquistare opere d‟arte americana contemporanea ed a
sponsorizzarne le esibizioni. L‟ex Container Corporation of America2, attraverso il
presidente Mr.Walter Paepcke, contattò gli artisti Bauhaus per disegnare pubblicità e
altre attività relative alle pubbliche relazioni. La politica di Paepcke servì come modello
per altri uomini di affari di Chicago attorno agli anni Trenta. Egli fu molto abile nel
coinvolgere assieme uomini di affari ed artisti in un grande numero di attività culturali,
come la creazione dell‟Aspen Institute nel 19503.
Tutti questi sforzi, non solo erano tesi a coniugare arte e design alle moderne tecniche di
marketing, ma servivano a far nascere o accrescere l‟interesse delle imprese nei
confronti dell‟arte.
La società Nabisco (National Biscuit Company), specializzata nella produzione di biscotti
e merendine, riunì una grande quantità di stampe che trattavano il tema di ragazzini
dell‟epoca Vittoriana che mangiavano biscotti, mentre Steinway e Figli ( azienda leader
nella costruzione di pianoforti) contattarono artisti di fama internazionale per preparare i
loro cataloghi.
Pepsi Cola, Metro Goldwyn Mayer (storica compagnia privata di cineproduzione) ed i
laboratori Abbots (industria farmaceutica) si distinsero per il loro supporto alle arti negli
anni quaranta. La maggior parte delle collezioni, comunque, nascevano o per
2
La Container Corporation of America (CCA) è stata fondata nel 1926 e produce scatole in cartone
ondulato. Walter Paepcke, il suo fondatore, è stato un mecenate delle arti grafiche e di design e sotto
la sua guida, è stata creata una notevole collezione di opere d'arte. Oggi la raccolta è esposta al Museo
Nazionale di arte americana ed è stato scritto un libro su di essa, “ Arte, design, e la moderna società
per azioni”. Sull’argomento si veda: www.wikipedia.org, consultato in settembre 2009.
3
L’Aspen Institute, con sede oggi a Washington DC e centri d'attività ad Aspen (Colorado) e a Wye River
(Maryland) nasce nel 1950 e, da allora promuove e favorisce lo sviluppo di una leadership illuminata,
formata dal dialogo e in grado di affrontare le sfide della società globale. Le sue attività, come i seminari,
i programmi di politica e le conferenze, trattano temi strategici dell'economia e della politica
internazionale e nazionale e offrono alla comunità Aspen occasioni di dibattito libero in uno spirito
bipartisan e di apertura al dialogo. cfr. www.aspeninstitute.com, sezione “Aspen nel mondo”, 2009.
11
sponsorizzare gli sforzi fatti dagli artisti nelle loro opere o grazie all‟interesse personale
dei presidenti delle società per collezionare seriamente opere d‟arte.
Gli anni Cinquanta videro la continua crescita nel supporto dell‟arte da parte delle
società che per la prima volta non obbligavano più gli artisti a trattare esclusivamente
temi pubblicitari, ma lasciavano spazio alla loro creatività. Infatti, la competizione tra
aziende portò ad essere più concentrati nell‟espressione individuale del singolo artista
anzichè nei temi che dovevano per forza di cose tener conto degli interessi economici e
commerciali degli sponsor.
Il boom culturale degli anni Sessanta diede un grande contributo all‟estensione del
supporto delle aziende: certi stili artistici come la Pop Art e l‟uso della tecnologia
stimolarono particolarmente le industrie a guardare al mondo dell‟arte in maniera più
attenta ed interessata.
Nel 1960, il Whitney Museum4 inaugurò la mostra Business Buy Arts e nel 1961, il San
Francisco Museum di arte moderna inaugurò l‟esibizione Americans Business and the
Arts, rendendo le più importanti industrie mondiali consce dei loro sforzi e più
consapevoli dal prestigio derivante dall‟essere collezionisti d‟arte.5
Prima di quegli anni, una raccolta stabile di opere era probabilmente il risultato di un
abile e culturalmente astuto presidente che operava in qualche maniera in forma
indipendente e trasferiva il suo gusto al suo ufficio. Le collezioni prevedevano
l‟acquisto di opere dei maestri europei, lavori degli impressionisti del primo novecento
e una forte rappresentanza di opere di provenienza dalla scuola degli espressionisti
astratti di New York. L‟arte contemporanea non era ancora considerata una forma di
investimento e solo poche società lungimiranti, riuscirono ad acquistare le opere di
artisti famosi (come quelli della scuola di New York) a prezzi ancora abbordabili (nelle
collezioni iniziate dopo il 1960 abbondano le stampe, invece che le opere originali).
Per la maggior parte delle aziende prima del 1960, il concetto di arte comprendeva
qualunque cosa si pendesse alle pareti. Questo includeva dipinti, manifesti,scene di
caccia, diplomi, ritratti dei precedenti presidenti o disegni legati al mondo dell‟industria.
Non era raro, per esempio, che le banche avessero buoni del tesoro numerati, fotografie
4
Il Whitney Museum of American Art, spesso chiamato semplicemente "il Whitney", si trova a New York
City e vanta una collezione permanente di 18000 pezzi, con particolare attenzione al ventesimo secolo.
Sull’argomento si veda: www.wikipedia.com, consulato in settembre 2009.
5
Sull’argomento si veda: Martorella R., Corporate Art, Rutgers Univerity Press, Londra, 1990.
12
di case ed dei loro uffici distaccati. Non esisteva quindi il culto dell‟arte, capace di
abbellire, emozionare e far comunicare, anche in una sede non tradizionale come le
pareti di un ufficio, invece che di un museo.
Uno dei propulsori dell‟arte contemporanea, fu sicuramente David Rockfeller (nato a
New York nel 1910), il quale fu il primo a capire l‟importanza del connubio tra il
mondo dell‟arte e il mondo finanziario rappresentato dalle banche. Tale unione nacque
dal forte senso degli affari del magnate newyorkese e dalla sua spassionata attenzione
per la cultura e l‟arte. La Chase Manhattan Bank può sicuramente essere considerata la
pioniera delle collezioni d‟arte aziendali.
Spesso, oltre all‟attività collezionistica pura, le società stanziavano importanti contributi
per le sponsorizzazioni di manifestazioni artistiche. Esemplare fu l‟apporto della Philip
Morris nel 1969 per aver patrocinato la mostra “ When Attitudes Become Form"6, che
per la prima volta legittimava a livello museale, “le nuove tendenze processuali,
ambientali e concettuali”. Il sottotitolo della mostra, “Opere, concetti, eventi, situazioni,
informazione”, dimostrava che l‟attenzione principale era rivolta al processo, all‟attività
e all‟attitudine dell‟artista applicata all‟opera d‟arte. “Per Harald Szeemann l‟obiettivo
era introdurre nel quadro istituzionale del museo, senza dispersione di energie,
l‟intensità del vissuto con gli artisti, grazie al sostegno di un‟azienda, la Philip Morris,
allo scopo di porre la questione dell‟appropriazione e spezzare il triangolo formato da
atelier, galleria e museo all‟interno del quale, fino ad allora, l‟arte si manifestava in
maniera esclusiva.”7
La corporate art collection trova quindi la sua massima espansione tra il 1960/70; nel
1964 le aziende potevano altresì detrarre le donazioni fatte in un anno, per un periodo di
5 anni. Le revisioni sulle normative riguardanti le tasse del 1981 e del 1985 mantennero
sostanzialmente tali vantaggi fiscali per incoraggiare la creazione e lo sviluppo di nuove
collezioni di arte sia di Imprese che di privati. Nel 19868, anno in cui la riforma fiscale
6
“Quando le attitudini diventano forma”, realizzata da Harald Szeemann nel 1969 alla Kunsthalle di
Berna e tenuta in seguito al Museum Haus Lange di Krefeld e all’ Institute of Contemporary Art (ICA) di
Londra; tre paesi , Svizzera, Germania e Gran Bretagna , che tutt’oggi sono tra i più sensibili d’Europa
sull’arte contemporanea. Cfr. Lisbonne K. – Zurcher B. , Arte contemporanea: costo o investimento?,
Johan & Levi Editore, Londra, 2009, p.21.
7
Cfr. ibidem p. 22.
8
Verso la metà degli anni Ottanta, circa cinquecento società negli Stati Uniti avevano costituito una
collezione d’arte contemporanea. Dati del Directory of Corporate Art Collection , edito a cura
13
di Reagan ridusse i vantaggi fiscali ed i regolamenti sulle dotazioni cambiarono, la
deduzione fiscale non poteva più essere calcolata sulle quotazioni di mercato9, ma sulla
risultante della fattura d‟acquisto. Questa significativa modifica fece diminuire
sensibilmente sia il numero di collezioni aziendali sia quello delle donazioni di opere ai
musei da parte di privati e di aziende, ma ciò fu inevitabile poiché i mercanti, grazie ad
operazioni d‟asta poco lecite, attuarono frodi e speculazioni. Tale problema è tutt‟oggi
presente, in quanto l‟arte contemporanea è oggetto di speculazioni e sopravvalutazioni,
anche per colpa di una legislazione poco chiara e per la mancanza di informazioni che
regna in tale mercato.
Il tema è stato affrontato anche dall‟Art Business Forum10 del 2008, il quale ha dedicato
un‟intera sessione all‟argomento. La tavola rotonda, moderata dall‟analista finanziario
Antonio Mansueto, ha trattato l‟argomento affrontando il tema “dell‟imprescindibilità
della fissazione e del rispetto di regole chiare e trasparenti e dell‟inderogabilità
d‟introduzione di un regime fiscale incentivante le compravendite e gli investimenti in
arte”.
11Mansueto ha descritto il mercato dell‟arte contemporanea come un mercato
atipico, il quale, per attrarre investimenti, deve mirare “ad essere il più possibile
trasparente (fondato pertanto su norme non ambigue), concentrato (individuato da un
luogo fisico come aste e fiere in cui si tengono le operazioni di compravendita) e
simmetrico (garantito da parità e completezza di informazioni per chi compra e chi
vende)”12.
L‟opera d‟arte è un bene che nasce dal genio dell‟artista, è unica nel suo genere, fa parte
dei beni di lusso e non soddisfa nessuno dei beni primari; per cui, viene acquistata
unicamente per piacere dell‟acquirente.
dell’International Art Alliance di Largo, Florida. cfr. Poli F., Il sistema dell’arte contemporanea, Universale
Laterza, 2007, p.108.
9
Sull’argomento si veda: Poli F., Il sistema dell’arte contemporanea, Universale Laterza, 2007, p.108.
10
L’idea di Art For Business nasce dall’esigenza di integrare il modello classico di sviluppo economico
delle istituzioni culturali, all'insegna dell'introduzione di una maggiore efficacia ed efficienza
organizzativa, con un nuovo modello di sviluppo d’impresa che vede trasferire nell’organizzazione e nel
suo management la cultura, i valori, la creatività e la sensibilità che appartengono da secoli al mondo
dell’arte. Giunto alla sua seconda edizione nel 2008, l'Art For Business Forum si pone come obiettivo
quello di approfondire il tema del valore dell’arte per lo sviluppo delle imprese e della classe dirigente
del nostro paese, e dunque del territorio e del contesto sociale in cui si radica il fare impresa in Italia e in
Europa, cfr. www.artforbusiness.it, 2008, consultato in settembre 2009.
11
Sull’argomento si vedano gli atti del convegno Art For Business 2008, in particolare “La trasparenza
nel mercato dell’arte:investimenti e corporate collection”, www.artforbusiness.it, consulato in settembre
2009.
12
V. ibidem.
14
Il fatto che l‟opera d‟arte non sia ripetibile e standardizzabile, rende molto complessa la
sua valutazione e solitamente si prendono a riferimento i prezzi delle case d‟asta (i quali
sono solitamente più alti, rispetto ad un‟opera dell‟arte antica).
Pasquale Leccese, gallerista e presidente di Smart Milano, ha ampiamente trattato
l‟argomento della crisi dell‟arte, sostenendo che sono stati gli speculatori finanziari a
peggiorare la situazione, in quanto non essendo “cultori della materia”, hanno
considerato le opere solo da un punto di vista “puramente economico”, cercando una
continuità nella produzione e nella clientela.
In Italia, la situazione è ancora più complessa, poiché non esiste una tradizione forte
come quella statunitense nella corporate art collection e anche il mecenatismo da parte
delle banche è scarso e di poco conto, rispetto al resto d‟Europa ed agli USA.
Ciò ha portato il nostro paese a cercare un mercato alternativo, affine e continuo a
quello della finanza, che ha condotto ad un aumento esponenziale dei prezzi delle
produzioni artistiche, spinto da mere sollecitazioni commerciali, a scapito della qualità e
della creatività dell‟opera.
Recentemente, nonostante la crisi, le banche e le imprese italiane stanno sempre più
realizzando l‟importanza di investire in arte contemporanea (non solo quindi nelle arti
più classiche o nei palazzi storici, tipici della nostra tradizione) e stanno considerando la
gestione della cultura una strategia vincente per svecchiare le loro funzioni e le loro
immagini. A Milano è di esempio il caso Unicredit & Art (2004)13, orientato alla
promozione di giovani artisti.
13
Nel 2004 UniCredit Group, partendo dall’Italia, ha varato un progetto strategico sugli investimenti culturali,
che focalizza le azioni sulla promozione dei talenti emergenti nelle arti visive, nella musica, nel teatro e nella
letteratura. Le azioni vengono sviluppate attraverso un sistema di partnership, con progetti a lungo termine in tutti i
paesi dove il Gruppo è presente, estendendosi in un’area geografica che va dal mezzogiorno italiano ai Paesi Baltici,
includendo Germania, Austria, Est Europa e Turchia. L’impegno è visibile anche attraverso la collezione di arte
giovane, che aggiorna il vasto patrimonio storico, attraverso acquisizioni, committenze partecipate e finanziamenti
di progetti, residenze a giovani artisti, in gran parte in collaborazione con i musei partner. In Italia, negli ultimi
quattro anni, sono stati investiti oltre 6 milioni di euro nelle acquisizioni di giovane arte e l’azione si estende ora a
livello Europeo. Sull’argomento si veda : www.unicreditgroup.eu, 2009.
15
1.2 La scelta del collezionismo d‟impresa: principali motivazioni
Nel paragrafo precedente, si è considerato l‟inizio del fenomeno del collezionismo di
impresa a partire dalle sue origini, nato o per necessità pubblicitarie/pubbliche relazioni
o per volontà di qualche abile uomo d‟affari, motivato anche dagli incentivi fiscali che
ne derivavano.
Con il passare degli anni e sulla base dei cambiamenti che hanno interessato la società,
le imprese si sono occupate di nuovi temi al di fuori di quelli economici, coscienti del
loro ruolo sociale, soprattutto nei confronti della comunità in cui sono inserite. Per
questo motivo, hanno compreso l‟importanza di considerare la cultura come asset
strategico, capace anch‟essa di generare valore, orientare il mercato ed influenzare
favorevolmente il contesto in cui opera l‟azienda.
L‟arte contemporanea, in particolare, assume valore in quanto è vista come una risorsa
capace di comunicare e deve essere estremamente coerente con l‟immagine e il profilo
dell‟azienda stessa. Non sempre condivisa e di facile interpretazione, essa ha la capacità
di suscitare comunque interesse, emozioni, curiosità ed è simbolo dell‟evoluzione e
dell‟innovazione, anche grazie all‟evolversi della tecnologia. Essa garantisce un profitto
indiretto alle aziende di una certe importanza, assicurando un buon posizionamento del
brand (marca), nonché l‟individuazione e la conquista di nuovi settori di mercato. In
questo modo nasce una sorta di “circolo virtuoso” tra ente culturale e azienda, una sorta
di “vantaggio reciproco”, dove al ritorno indiretto dell‟azienda corrisponde un beneficio
diretto per il mondo dell‟arte, la quale trova un concreto sostegno economico.
Si cerca quindi di associare alla solidità di un‟azienda ormai consolidata, la flessibilità,
l‟innovazione, la rottura degli schemi tradizionali e l‟esplorazione di nuovi territori, che
rappresentano i valori tipici dell‟arte contemporanea.
Può succedere così, che da un dipinto o una fotografia appesa in ufficio, nascano
discussioni inusuali tra colleghi, o che la reception e una sala d‟attesa diventino piccoli
spazi espositivi e la hall di una banca ospiti opere di indubbio prestigio. Insomma, l‟arte
contemporanea può essere un linguaggio capace di aggregare e far parlare le persone, le
quali devono avere un‟apertura mentale, capace di comprendere un‟opera aldilà dei
canoni d‟estetica consolidati.