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PREMESSA
Il presente lavoro prende in esame gli scoli antichi che contengono un giudizio su
Pindaro. Tali scoli sono stati individuati sulla base dell’indice dell’edizione di
A.B.Drachmann. Lo scopo dell’indagine è quello di individuare quegli scoli che
contengono valutazioni, giudizi positivi o negativi, osservazioni interessanti per
poter studiare le categorie, la terminologia e i procedimenti della critica letteraria
antica. Essi possono essere distinti in diverse tipologie, secondo i vari aspetti del
testo poetico ai quali fanno riferimento: lessico, peculiarità delle scelte di Pindaro,
narrazione del mito, digressioni, morfologia e sintassi, opinioni di commentatori
antichi, efficacia ed eleganza stilistica, casi particolari in rapporto con la
tradizione. Tali scoli sono distinti secondo l’ordine alfabetico dei giudizi espressi.
Alla fine di ogni gruppo di giudizi analoghi vi sono delle osservazioni conclusive.
Per il testo degli scoli si è fatto riferimento all’edizione di A.B. Drachmann
(Scholia Vetera in Pindari Carmina Lipsiae 1903-1927).
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INTRODUZIONE
Gli scoli sono i commentari agli autori classici, sia greci che latini, scritti nei
margini dei manoscritti medievali che trasmettono i testi. Questa definizione li
rende un prodotto del medioevo per la ovvia ragione che nella maggior parte dei
casi possiamo leggerli solo nella forma che hanno assunto in quello stadio della
loro storia. Alcuni scoli sono il prodotto di studiosi e maestri medievali, i cui nomi
in alcuni casi sono noti, ma è un errore presupporre che il contenuto degli scoli
per intero sia medievale, o che la forma in cui appaiono nei manoscritti e nelle
edizioni a stampa possa dimostrare che siano invenzioni medievali. La storia degli
scoli va indietro al tempo in cui le spiegazioni dei testi letterari divennero per la
prima volta necessarie, quando i maestri si resero conto che gli allievi avevano
bisogno delle spiegazioni di termini rari e di altre difficoltà in Omero e nei poeti
lirici, i testi base dell’educazione letteraria. 1
L’inizio dell’attività scolastica greca risale in definitiva alla fondazione del Museo
di Alessandria agli inizi del III sec a.C. e per secoli gli studiosi che svolgevano lì
le loro ricerche furono i più importanti dell’antichità.2 La trasformazione degli
antichi commentari in scoli fu un passaggio importante; in un certo senso si trattò
di una transizione soprattutto di formato, per gli antichi commentari
(hypomnemata) in libri separati, mentre gli scoli medievali presero la forma di
marginalia intorno al testo che commentavano. Questo cambiamento è
generalmente pensato come connesso con il cambiamento nella produzione
libraria nel tardo antico: la maggior parte dei testi antichi erano scritti su rotoli di
papiro in corte colonne parallele con un piccolo spazio tra di loro e senza spazio
per i marginalia, mentre la maggior parte dei testi medievali erano scritti su codici
di pergamena, spesso con ampi margini intorno alla pagina. Ad un certo punto
alcuni hypomnemata furono copiati intorno ai margini dei codici, e poi sia quelli
che gli hypomnemata non trascritti andarono perduti, lasciando soltanto i
marginalia ancora esistenti. Gli scoli medievali non sono semplicemente
trascrizioni, o trascrizioni sommarie, degli antichi hypomnemata, né sono solo
1WILSON 2007 p.40
2DICKEY 2007 p.3
5
semplici note di lettori; sono dense e sistematiche raccolte di estratti da diverse
fonti. Gli scoli spesso presentano severe riduzioni, e qualche volta mutilazioni
degli hypomnemata, ma allo stesso tempo le selezioni iniziali del materiale
sembrano essere state eccellenti. La maggior parte dei commentari trasmessi dai
papiri, è piuttosto elementare, e solo una piccola percentuale conserva le opere dei
grammatici alessandrini, ma gli scoli si basano spesso su materiale alessandrino,
suggerendo che i primi compilatori fecero uno sforzo per trovare i commenti più
autorevoli da copiare nei margini. Tali commentari non erano, sfortunatamente,
quelli degli alessandrini stessi, che sembra siano andati perduti prima della fine
del periodo romano, ma piuttosto i commentari composti da Didimo e dai suoi
contemporanei. Materiale dalle opere alessandrine è stato spesso mescolato con
molte opere letterarie comuni nel periodo romano, e spesso con materiale più
tardo, ma è anche vero che la maggior parte del materiale alessandrino può essere
tratto sia dagli scoli che dai papiri. La data precisa e il modo in cui questo cambio
cruciale da commentari separati a scoli ebbe luogo è discusso, con date proposte
che vanno dal IV al X secolo. Evidentemente il cambio fu completato per l’epoca
dei più antichi manoscritti con scoli, che risalgono al IX-X secolo, ma alcuni
hypomnemata indipendenti potevano essere sopravissuti fino a quella data, quindi
i manoscritti più antichi potrebbero contenere scoli copiati direttamente dagli
hypomnemata. I più antichi manoscritti superstiti di molti testi letterari sono
databili al primo periodo Bizantino e questi manoscritti spesso contengono scoli.
Ma gli scoli, così come si trovano nei manoscritti, non sono sempre trasmessi così
come erano quando divennero marginalia. Per poter sopravvivere gli scoli
dovevano essere ricopiati con ciascuna copia del testo principale, e questo non
sempre avveniva; in molti casi la quantità degli scoli scoraggiava i copisti,
conducendo alla omissione di gran parte del materiale. E’ tipico per gli scoli di
opere poco corpose essere più ricchi rispetto a quelli di opere più lunghe ed è
tipico che gli scoli siano più abbondanti all’inizio di una lunga opera piuttosto che
nelle sezioni intermedie. Qualche volta correzioni di queste omissioni sono state
apportate dagli studiosi bizantini i quali, originariamente copiarono un testo con
pochi o nessuno scolio, poi trovarono fonti diverse con scoli e li copiarono. Più
avanti, anche se trascritti, gli scoli subirono ogni tipo di corruzione. Erano
frequentemente abbreviati, spostati, copiati male o uniti insieme in maniera
inappropriata. Il loro testo fu trattato con molta meno attenzione rispetto a quella
6
che si aveva per il testo principale, cosi che alcuni copisti si sentirono liberi di
correggerli. Di conseguenza, gli scoli ad un singolo autore spesso appaiono in una
forma radicalmente diversa in manoscritti diversi, e spesso le divergenze sono tali
che non è possibile alcuna ricostruzione dell’originale. La situazione è inoltre
complicata dal fatto che alcuni studiosi Bizantini composero le loro note sulla
letteratura antica, qualche volta sulla base degli antichi scoli e altre volte in base a
proprie congetture, e queste annotazioni sono state trasmesse nei margini dei
manoscritti. Gli scoli bizantini sono conosciuti come scholia recentiora e ricevono
meno attenzione rispetto agli scoli più antichi, conosciuti come scholia vetera. 3
Cure filologiche ed editoriali furono dedicate al testo di Pindaro fin dalla prima
generazione di grammatici attivi nella Biblioteca di Alessandria, ad opera di
Zenodoto (ca. 330-260 a.C.) e Callimaco (ca.320-240 a.C.), per culminare,
qualche decennio più tardi, nell’edizione pindarica di Aristofane di Bisanzio (ca.
265-190 a.C.), destinata a divenire canonica e a costituire la base della successiva
attività ipomnematica da Aristarco (ca. 215-144 a.C.). L’esegesi aristarchea,
integrata dall’apporto di Didimo del I sec a.C., costituisce la base della
scoliografia pindarica di tradizione tardo antica e medievale.4
I corposi scholia a Pindaro offrono una abbondante quantità di materiale antico
non mescolato e corrotto dalle aggiunte posteriori. Le divisioni principali sono tra
gli scoli metrici e non metrici e tra scoli antichi e scoli bizantini. Il corpus di scoli
metrici è piuttosto ampio, compilato probabilmente nel V sec. d.C. e basato
sull’analisi metrica delle Odi scritta nel II sec d.C. Questi scoli dovevano
attingere, probabilmente, all’opera su Pindaro di Dracone di Stratonicea, un
contemporaneo, come sembra, di Dioniso il Trace (II sec.a.C.)5; la sua
trasmissione medievale fu in parte separata da quella del testo delle Odi e degli
scoli non metrici. Gli scoli esegetici a Pindaro sono più numerosi rispetto a quelli
metrici e preservano i resti dei commentari di Aristarco e diversi dei suoi
successori, incorporati in un’opera globale da Didimo e poi epitomati nel II
sec.d.C. Come gli antichi scoli metrici, sono virtualmente liberi da tarde
interpolazioni, così che ogni informazione che si trova può essere ritenuta come
3DICKEY 2007 pp.10-16
4NEGRI 2004 p.11
5GENTILI 1995 p.LXXXIII
7
direttamene derivante dagli Alessandrini (sebbene non necessariamente senza
riduzioni e alterazioni). Questi scoli hanno lo scopo di spiegare le difficoltà delle
Odi e di offrire una interpretazione di quel che il poeta voleva dire. Essi fanno
riferimento a dati storici, biografici, mitologici, alcuni dei quali sembrano solo
essere congetture dei grammatici alessandrini basate sugli stessi componimenti .6
Gli scoli nella recensione Vaticana (V), che ricoprono in vari manoscritti tutti e
quattro i libri delle odi, offrono il tipo di informazioni garantite dagli scoli anche
per le altre opere poetiche, parafrasi in prosa, informazioni biografiche e sommari
di diversi ipotesi su interpretazioni dubbie. Gli scoli nel manoscritto Ambrosiano
(A) che sono rimasti solo per le prime dodici Olimpiche, tendono a citare più
autorità che gli scoli dei manoscritti della tradizione Vaticana, che spesso
riportano opinioni senza indicazioni di nomi. Tuttavia gli scoli del manoscritto A,
nonostante i contenuti più dettagliati, non rappresentano più accuratamente degli
scoli Vaticani la sostanza dei commentari originari. Ma nonostante il fatto che gli
scoli pindarici preservano molte informazioni tratte dai commentari alessandrini,
non possono per questo motivo essere considerati come guide affidabili per
l’interpretazione della sua poetica. Si potrebbe aggiungere che nessun’altro corpus
di scoli lascia una tale impressione confusa di quella poesia che invece dovrebbe
spiegare. Le opere di Pindaro, a causa della sua oscurità, suscitano negli
alessandrini maggiori congetture rispetto alle opere degli autori epici. Gli antichi
commentatori a Pindaro nel loro intento di parafrasare il testo, spesso invece
equivocano il suo significato. Apparentemente erano fuorviati dal poeta stesso,
perché lo interpretavano alla lettera e sentivano il bisogno di semplificare le
complesse metafore utilizzate, spesso senza comprenderle. I commentatori
avevano capito che gli epinici, a differenza di altri componimenti, servivano per
esaltare le virtù atletiche, ma sembra che essi apprezzassero solo superficialmente
quelle qualità che permettevano alla poesia di questi componimenti di trascendere
dal particolare; Pindaro eleva tutti gli specifici talenti al livello dell’universale
mescolando passato e presente e descrivendo, spesso attraverso le metafore, gli
aspetti più archetipici dei particolari eventi. Ma i commentatori fallirono spesso
nel rilevare le asserzioni più generiche di Pindaro o non scrissero niente di
positivo al riguardo. Gli antichi commentatori, quando descrivono le tecniche di
6DICKEY 2007 pp.38-40
8
composizione di Pindaro, sembrano considerare la sua poesia come frutto di un
processo irrazionale o extra razionale, un concetto che di fatto ha origine alla fine
del V secolo. Come risultato, quando Pindaro mette in risalto sé stesso e il suo
controllo sulla materia da trattare, le sue metafore vengono parafrasate in maniera
negativa e letterale. Nelle opere retoriche dell’antichità le “apologie” per le
digressioni venivano usate per sottolineare l’importanza di presentare il materiale
e per testimoniare la sincerità e l’entusiasmo dell’autore. Ma evidentemente nella
lirica la funzione di questi espedienti stentava ad essere riconosciuta, specialmente
dopo il V secolo, quando la poesia sempre di più veniva considerata come un
prodotto che aveva origine dai sentimenti dell’uomo, dalla sua parte irrazionale ed
emotiva piuttosto che frutto della ragione. Le parole stesse del poeta
confermavano agli scoliasti che le allusioni al mito erano digressioni o excursus
piuttosto che aspetti integrali e inevitabili di una ode per una vittoria. Nel caso
dell’esposizione pindarica, i commentatori sembravano preferire una esposizione
tradizionale e chiara. Applaudirono l’accuratezza letterale nelle descrizioni; le
metafore inusuali sono considerate difficili e di conseguenza spesso sembrano non
aver compreso l’intento poetico sotteso a ciascuna opera. Per quanto riguarda il
mito approvano quando Pindaro omette volontariamente degli elementi irrazionali
del racconto ma disapprovano quelle che sembrano ingiustificate deviazioni. Non
osservano mai che nel vasto corpus dell’epica diverse versioni di un mito possano
essere contemporaneamente diffuse. I commentatori considerarono i trattati storici
e geografici e gli autori ellenistici come Apollonio aventi maggiore autorità di
Pindaro. I passi che citano da queste autorità, quando si possono verificare, spesso
offrono soltanto conferme superficiali delle asserzioni degli scoliasti e,
all’occasione, addirittura li contraddicono. Se occasionalmente i commentatori
sembrano aver riassunto accuratamente le intenzioni di Pindaro, è perché egli le
ha espresse in termini relativamente espliciti o perché quel che scrive può essere
elaborato per calzare con i preconcetti delle teorie retoriche post-classiche. Ma
nella maggior parte dei casi, specialmente se si leggono consecutivamente gli
scoli di ogni singola ode, l’idea complessiva è che Pindaro aveva diverse
intenzioni e metodologie conflittuali e nel migliore dei casi che si esprima in
maniera oscura e disgiunta. Confusione ulteriore fu introdotta dall’assunto dei
commentatori che l’oscurità pindarica fosse deliberata. 7
7LEFKOWITZ 1985 pp.269-282
9
1. ἄδεινλ
P I 4c
ἀ γ ι α ΐ α ο ἀ ξ ρά : ἀκθίβνινλ πόηεξνλ ἡ βάζηο ἀγιαΐαο ἀξρὴ νὖζα, ἢ ζὺ ὦ
θηζάξα ἀγιαΐαο ηπγράλεηο ἀξρή. θἀληεῦζελ δὲ ἄδεινλ, ἤηνη ἀγιαΐαλ η ὴλ θαη ὰ η ὰο
παλεγύξεηο θεζί, θαζ’ ἣλ πάληεο γαλλύκελνη ηεξπόκεζα, ἢ ἀγιαΐαλ η ὴλ δηάρπζηλ
θαὶ εὐθξνζύλελ.
“Principio di festa”: incerto se il passo è il principio di festa oppure tu, o cetra, sei
l’inizio della festa. Quindi non è chiaro se intende per festa quella nelle
παλεγύξεηο, nella quale tutti noi siamo felici e ci dilettiamo, o per festa l’ allegria
e la letizia.
La prima Pitica celebra la vittoria nella corsa delle quadrighe ottenuta da Ierone,
tiranno di Siracusa, a Delfi nel 470 a.C. (29° Pitiade).
Il proemio in forma di inno occupa la strofe e l’antistrofe con un’invocazione alla
cetra, “possesso comune di Apollo e delle Muse”, che si risolve in una grandiosa
esaltazione del potere della musica, l’elemento unificante che conferisce ordine e
armonia all’intero universo. L’idea lirica della prima Pitica è l’armonia morale, di
cui l’altra armonia, celebrata con l’invocazione alla cetra, non è che un riflesso.8
Lo scolio si interroga su quale sia il principio della festa, se è la cetra oppure il
passo di danza. E’ un dubbio ingiustificato: certamente ἀγιαΐαο ἀξρά è
apposizione di βάζηο; soltanto con i movimenti di danza del coro la festa può
considerarsi iniziata. Βάζηο è il “passo di danza” che segna l’inizio della festa,
8PERROTTA 1958 p.42
10
come in Aristofane, Thesm. 968.9 In sincronia con la danza anche il canto del coro
è iniziato e guidato dagli accordi della cetra.
Altro problema affrontato dallo scolio è che cosa si intenda per “festa”: se è la
festa in senso concreto, le παλεγύξεηο, oppure la festa in senso psicologico,
l’allegria. Molto probabilmente lo scoliasta non ha capito che si trattava della festa
in onore della vittoria di Ierone; nell’immagine dei versi iniziali (1-4) sono evocati
i due piani paralleli della festa degli dei olimpii e della festa epinicia a Etna in
onore di Ierone: il coro terreno che esegue il canto è il riflesso del coro delle
Muse guidato da Apollo, cui il poeta deve la propria ispirazione e la capacità di
incantare l’uditorio con parole e musica.
9CINGANO 1995 p.328
11
ἄδεινλ
“Non è chiaro”
Il giudizio dello scoliasta riguarda la mancanza di chiarezza di Pindaro nel far
comprendere al lettore a quale festa facesse riferimento nella Pitica 1; in questo
caso è più probabile però che sia stato lo scoliasta a non aver compreso quello che
Pindaro intendeva piuttosto che una mancanza di chiarezza da parte del poeta.
Nel corso dei secoli e nel corso della critica che ha avuto come oggetto l’opera di
Pindaro, il suo linguaggio è stato universalmente riconosciuto come oscuro
soprattutto per la sua tendenza a scegliere il modo più complesso e inusitato per
esprimere un’idea o un’immagine (in contrasto con lo stile più narrativo del suo
rivale Bacchilide). L’unicità dello stile di Pindaro consiste proprio nella complessa
e articolata composizione del dettato poetico; già Dionigi di Alicarnasso10 ne
poneva in rilievo le asperità e le dissonanze: le parole di Pindaro gli sembrano
blocchi di pietra squadrati, che mal si giustappongono. Di qui spesso l’ordine
artificiale delle parole, apparentemente sconnesso e incomprensibile e che doveva
costituire un impedimento alla comprensione del testo da parte del pubblico
destinatario del canto.11
10De Compositione verborum 22,7 sgg.
11GENTILI 1995 p. LXVI
12
2. αἴληγκα
P IV 468a
εἰ γ ά ξ η η ο ὄ δν π ο : πεξὶ Γεκνθίινπ ἀπνινγεῖηαη η ὸ αἴληγκα. εἰ γάξ ηηο, θεζ ὶ,
πεξηθόςεη δξ ῦλ, ὅκσο δὲ θαὶ η ὸλ θαξπὸλ ἀπνβεβιεθπῖα θέξεη πεξ ὶ ἑαπηο ςθνλ
γελνκέλε ἢ νὐδὸο ἤ ηη ἄιιν ηνην ῦηνλ· ὡο θαὶ Ὅκεξνο (θ 43)· νὐδόλ ηε δξύτλνλ
πξνζεβήζεην· ἢ η ὸ παλέζραηνλ, εἴ πνηε ππξὸο ρεηκεξί νπ ρξεία γέλεηαη, πξὸο
ἀιέαλ ρξήζηκόο ἐζηηλ.
“se infatti qualcuno i rami”: l’allusione è fatta in difesa di Damofilo. Se infatti
qualcuno, dice, mutila una quercia, allo stesso modo, anche se perde il frutto,
porta testimonianza di sé diventando o una soglia o qualche altra cosa dello stesso
genere; (come anche Omero [Od. XXI, 43]: “raggiunse la soglia di quercia”);
oppure, come soluzione estrema, se c’è bisogno di fuoco d’inverno, è utile come
fonte di calore.
Nell’ultima sezione della Pitica 4 Pindaro si discosta dai contenuti precedenti di
lode verso la famiglia dei Battiadi in generale e Arcesilao in particolare,
rivolgendosi invece direttamente al re vincitore per supplicarlo del ritorno di
Damofilo, un personaggio mai menzionato precedentemente nell’ode; la preghiera
per il ritorno di Damofilo viene introdotta attraverso l’immagine simbolica della
quercia dietro la quale si nasconde un enigma che la sapienza di Arcesilao è
chiamata a sciogliere.
Una quercia, dice il poeta, anche se viene privata dei rami con una scure- e ciò
deturpa il suo aspetto e la priva dei frutti- dà ugualmente prova di essere utile, sia
che venga bruciata sul fuoco, sia che venga utilizzata per ricavarne una colonna
per un edificio.
Lo scolio 468a afferma che l’enigma parla in difesa di Damofilo, il che non
comporta che Damofilo sia da identificare con la quercia, tanto più che di lui si