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INTRODUZIONE
Quando si affronta un tema tanto interessante, vasto,
ampiamente dibattuto e ancora aperto, quale quello della cura
monialium da parte dei frati Minori nella vicenda di Chiara
d’Assisi, due stati d’animo si impongono e si intrecciano nel timido
studente che comincia a muovere i primi passi nel vasto universo
francescano. Anzitutto il sentimento d’entusiasmo e stupore che
accompagna ogni nuova scoperta e, se questo è vero per ogni
ambito del sapere umano, a maggior ragione lo è nel campo della
ricerca francescana per chi sta compiendo un cammino di fede e di
sequela e vede nel suo studio un’occasione e una via privilegiata di
crescita. Accanto a questo sentimento c’è, poi, il senso di
scoraggiamento, dato dalla consapevolezza di una preparazione
non ancora consolidata e dalla mancanza di un linguaggio
appropriato. Con questi due sentimenti ho dovuto fare i conti
durante le fasi della ricerca, dalla scelta del tema alla selezione e
consultazione della vasta bibliografia, dall’analisi dei testi alla
sintesi dell’esposizione, dalla prima stesura alla redazione finale
dell’elaborato. Dopo la morte di Francesco, Chiara ebbe il sostegno
di frate Elia, Leone, Angelo e forse qualche altro frate della prima
ora, nonostante diverse tensioni sorte con l’Ordine minoritico e con
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la Sede Apostolica, affinché non venisse meno l’appoggio dei frati
Minori nei confronti dell’esperienza vissuta a San Damiano, come
era avvenuto alle origini quando Francesco stesso aveva accolto
alla vita religiosa Chiara e la sorella Beatrice. Nel Memoriale di
Tommaso da Celano, si nota la volontà del beato Francesco di
mantenere uno stretto legame con la comunità di San Damiano e,
se si considera che è stato composto dopo il 1247 sulla base di
alcune testimonianze giunte dai compagni di Francesco, non è
improbabile che i socii stessi abbiano sottolineano la volontà del
beato Francesco di averne cura, nonostante le difficoltà sorte,
all’interno della fraternitas, per la cura di altri monasteri sorti per
iniziativa del cardinale Ugolino. La struttura del presente lavoro è
articolata in tre capitoli. Nel primo, Francesco e il monachesimo
femminile, si ripercorre, a grandi linee, l’evoluzione storica del
monachesimo femminile e i passaggi iniziali di Chiara prima
dall’ecclesia di Sant’Angelo di Panzo e poi a quella di San
Damiano. Se nell’Alto Medioevo la vita delle mulieres era
unicamente monastica, nei secoli, XII e XIII, fioriscono varie
esperienze di vita attiva e contemplativa, di rigida clausura e
attività caritative quale, l’aiuto ai poveri, ai lebbrosi e ai bisognosi.
Le donne diventano, in questo modo, protagoniste dei nuovi
movimenti religiosi che si formarono intorno ai predicatori, monaci
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o laici che predicavano nelle città. Chiamate mulieres religiosae
erano d’ogni estrazione sociale, che vivevano in forme di vita
comunitaria semi religiosa e spesso nelle vicinanze di un ospedale
o di un lebbrosario dove prestavano servizio. Queste donne
ricevevano assistenza spirituale da parte di qualche chierico, in
genere designato dal vescovo, e Francesco non si sottrasse alla
modalità del tempo prendendosi cura della giovane assisana.
Inoltre si esamina la permanenza, breve, presso la ecclesia di
Sant’angelo di Panzo e il successivo passaggio a San Damiano. Nel
secondo, Chiara e il Papato, si evidenziano i rapporti, non sempre
sereni, con la Sede Apostolica. Furono anni di resistenze che la
Badessa di San Damiano oppose alle pressioni della Curia romana,
volta a far si che la comunità di San Damiano divenisse il punto di
riferimento di un’ampia rete monastica organizzata dall’allora
cardinale Ugolino. Durante questo lungo periodo caratterizzato da
attriti e da lotte, vissute con la Sede Apostolica, Chiara non perse
mai la consapevolezza dell’originalità della sua esperienza che
prendeva linfa vitale dal rapporto con la fraternitas minoritica e
dalla concessione del privilegium paupertatis. Le relazioni tra
Chiara e il papato furono senza dubbio ricche di significato non
solo per la comunità residente a San Damiano, ma anche per le
vicende del francescanesimo femminile. Di tali vicende è possibile
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ripercorrere il lungo travaglio normativo, legato ai riconoscimenti
pontifici, che contraddistinse gli ultimi anni di vita di Chiara a
partire dal terzo decennio del Duecento quando ebbero inizi gli
attriti e le incomprensioni con Gregorio IX. Nel terzo, I frati
Minori e la cura monialium, ci si sofferma sulla cura diligente e
sollecitudine speciale che Francesco promise a Chiara e che non
sempre, per vie delle vicende storiche, fu osservate dalla fraternitas
minoritica. Alla base dell’esperienza religiosa di Chiara vi è la
vicenda della sua obbedienza nelle mani di Francesco. La tonsura
fatta la sera delle Palme del 1212 e l’obedientia, a Francesco dopo
poco tempo la sua conversio, non la introduceva nella vita
claustrale ma in un’esperienza di vita evangelica. Chiara emette la
sua obedientia prima di entrare in monasterium quando ancora San
Damiano era una semplice ecclesia ed è accompagnata, verso la
sua esperienza religiosa, da Francesco il quale dimostra di averne
cura. La forma vitae, data da Francesco a Chiara, ribadisce l’unità
profonda, e vitale, esistente tra la comunità di San Damiano e la
fraternitas minoritica assicurando alle mulieres una cura speciale.
L’assistenza di Francesco nasce dalla consapevolezza che le
sorores di San Damiano partecipano della stessa vocazione che
s’esprime in un legame specifico, vale a dire nella sollecitudine
reciproca. Essa si manifesta nel rispetto di tutto ciò che si riferisce
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all’osservanza della forma vitae e il rapporto esistente ha
un’impronta spirituale e carismatica. La cura monialium è, senza
dubbio, un tema affascinante, di ricorrente attualità e il presente
lavoro non ha nessuna pretesa d’essere esaustivo; tuttavia ci sarà
modo di ritornare sui testi per approfondire le relazioni che
sussistono tra la fraternitas minoritica e le sorores di San Damiano.
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CAPITOLO PRIMO
FRANCESCO E IL MONACHESIMO FEMMINILE
Nel vasto universo medievale il monachesimo femminile,
riscuote un alto interesse culturale. Tale interesse, nasce dal
recepirlo come un’istituzione privilegiata per leggervi i segni dei
tempi e cogliervi gli aspetti della condizione e della spiritualità
femminile. Se la storia del monachesimo maschile è abbastanza
documentata, non è così per quello femminile che ha sempre subito
la stretta dipendenza da quello maschile. Per capire la forza e il
ruolo che Chiara ebbe all’interno della fraternitas minoritica, è
necessario conoscere anche la condizione dello stato femminile del
Duecento in cui la maggior parte delle donne è priva di
un’adeguata preparazione religiosa. Si spiegherebbe così una prima
sistemazione di Chiara, come conversa, presso il monastero
benedettino di San Paolo delle Abbadesse ma, a giudicare dalla sua
brevità, non corrispose alle aspettative della giovane assisana;
neppure il genere di vita penitenziale, come quello praticato a
Sant’Angelo di Panzo, appagò i suoi desideri. Solo il definitivo
trasferimento a San Damiano rivelò la sua partecipazione totale alla
fraternitas.
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1.1. Il monachesimo femminile
La religiosità delle donne nel Medioevo ha dato origine a una
sensibilità religiosa particolare. Proprio le donne, infatti, riuscirono
a esprimere tutta una serie di pensieri e di riflessioni su Dio e sul
rapporto con il Sacro, suscitando, poi, culti e devozioni con tratti
nuovi e personali. In Occidente la donna approdò all’esperienza del
monachesimo più tardi rispetto all’uomo e, chiusa tra le mura di un
monastero, passava da una vita familiare sotto la tutela del padre a
una monastica sotto la tutela di Dio, rappresentato dal Papa o dal
vescovo diocesano. Inizialmente era insufficiente, l’elemento
dell’esperienza eremitica, cioè la solitudine che era, infatti,
considerata pericolosa per la donna, ritenuta incapace di resistere
alle tentazioni. Il simbolo della monaca è, da sempre, l’evangelica
virgo prudens, che non si abbandona al sonno durante l’attesa dello
sposo, ma vigila e porta con sè una riserva d’olio, per poter sempre
tenere accesa la sua lampada, come appare nella Regula ad virginis,
la prima scritta per donne da Cesario di Arles del 534 a.C.
1
1
Dal tempo di sant’Agostino (IV sec) a tutto il XII secolo, conosciamo solo tre
esempi di regole per monache: l’Epistula CCXI ad sanctimoniales di
sant’Agostino, vescovo d’Ippona, la Regula ad virgines di Cesario di Arles e la
Regola di Abelardo composta dallo stesso per il monastero di sua moglie Eloisa.
In realtà sono delle semplici istruzioni al contrario delle grandi regole, quali
quella del Maestro e quella di San Benedetto. Vincenza MUSARDO TALÒ, Il
monachesimo femminile, Cinisello Balsamo (Mi): San Paolo, 2006, 12.; Servan
SIMONIN, v. Cesario di Arles, in Dizionario degli Istituti di Perfezione, 2 (1975)
col. 844-8.
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Dal monastero la donna cercherà di svincolarsi solo dopo il
mille, e se nel VI secolo Cesario di Arles prevede una vita comune
sotto rigida clausura, nel XII secolo diventano sempre più
numerose le donne che vivono da sole nelle celle o nelle loro
stanze della casa paterna, osservando i valori di castità e povertà.
Fu questo un gran secolo per il monachesimo femminile; infatti, lo
slancio e il fervore, le riforme monastiche del X secolo, il fiorire di
Cluny e delle grandi abbazie, portarono un grande e nuovo
equilibrio, sia per quanto riguarda i rapporti con i monasteri
maschili dei quali si ricercava la vicinanza e l’aiuto, sia nella vita di
austerità.
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Queste donne vengono considerate appartenenti allo
status ecclesiastico. Nell’iconografia e nella cultura letteraria,
l’immagine del monachesimo femminile si configura a quello della
sposa di Cristo. Ma accanto al tema dello sposalizio mistico,
possiamo ritrovarne anche un altro: quello della maternità mistica
e, in modo particolare, questo si esprime nel soffrire i dolori della
crocifissione del Figlio. In questo lungo periodo, la storia del
monachesimo femminile si divide in due parti: la prima ricopre la
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Nella maggior parte dei casi la clausura non escludeva che la badessa o le
monache potessero uscire dalle mura del monastero in caso di necessità e si
cominciano ad accettare tutte quelle donne che non disponevano di dote.
Emerge, in tal modo, quello che sarà il monachesimo femminile sviluppatosi nel
XII secolo. Jean LECLERCQ, Il monachesimo femminile nei secoli XII e XIII, in
Movimento religioso femminile e francescanesimo nel secolo XIII. Atti del VII
Convegno internazionale della Società internazionale di studi francescani, Assisi
11-13 ottobre 1979, Assisi: 1980, 67.
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fase dell’alto medioevo riguardante la storia del monachesimo
benedettino, mentre la seconda, tra la fine dell’ XI e l’inizio del
XII, dà luce a nuove esperienze religiose e istituzionali e la donna,
silenziosa, vive in una condizione di minorità all’interno della vasta
società medioevale. Data questa sua condizione di minorità, lo
spazio religioso diviene il luogo privilegiato di una qualche
espressione della vita femminile e, nei secoli XII e XIII, si assiste a
un grande fermento di vita che da origine a una serie di esperienze
religiose femminili. Nell’Alto Medioevo le uniche esperienze
religiose femminili erano del tutto monastiche, mentre nel XII
secolo, e per tutto il XIII secolo, sbocciano molteplici esperienze.
Si tratta d’esperienze di vita attiva e di vita contemplativa, di rigida
clausura, esperienze caritative quale l’aiuto ai poveri, ai lebbrosi, ai
bisognosi. Le donne diventano, in questo modo, protagoniste dei
nuovi movimenti religiosi che si formarono intorno ai predicatori,
monaci o laici che predicavano nelle città. La fondazione del
monastero di Fontevrault, per opera di Roberto d’Arbrissel
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, è
senza dubbio la più originale; l’asceta francese, infatti, fonda un
monastero multiplo in cui vivevano, in diversi edifici, comunità di
vergini, di vedove, di prostitute convertite, di lebbrosi e di monaci.
Il tutto era posto sotto l’autorità di una badessa il cui stato di
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Jean Marc BIENVENU, v. Roberto d’Arbrissel, in Dizionario degli Istituti di
Perfezione, 7, (1983) col. 1865-8.