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PREFAZIONE
L’intento di questa ricerca è quello di dimostrare l’importanza della formazione “one
to one”, con particolare attenzione ad una delle pratiche formative, cioè il coaching,
non limitando l’indagine solo all’applicazione aziendale di questo strumento
formativo, ma considerandone anche la validità per lo sviluppo personale nella vita
in generale. Riflettere sul valore del coaching in una società frenetica, vuol dire
apprezzare il tempo che si ha a disposizione per pensare a ciò che si sta facendo,
accompagnati da un formatore che ci illumina il percorso e arrivare a comprendere
dove ci troviamo, nel senso della realtà percepita, e dove vorremo essere come
obiettivo e aspettative. Riflettere in modo condiviso affrontando, in maniera
dialogica, argomenti anche difficili e fortemente impregnati di emotività, in uno
spazio dialettico esemplare per coloro che sono alla ricerca di risposte chiare.
La mia personale necessità di dare un taglio filosofico ad un argomento pratico è stata
soddisfatta, parlando proprio di “pratica filosofica del coaching”.
La filosofia viene così intesa quale disciplina pratica legata al modo di condurre
l’esistenza, alla saggezza pratica – la “phronesis” – e rivalutata dal punto di vista
umanistico come esercizio maieutico di cura di sé.
Il consulente filosofico o, come preferiamo definirlo con riferimento alla sua opera
nei contesti organizzativi, il filosofo pratico (nel senso di ‘praticante’), attraverso un
dialogo onesto e franco, accompagna il “coachee” nell’esplorazione delle proprie
idee e convinzioni, dei propri valori e della propria visione del mondo, lo assiste nella
elaborazione dei percorsi che lo conducono a comprendere i fondamenti concettuali
dei propri comportamenti, lo stimola alla scoperta di punti di vista inediti, di modi per
conoscere e riconoscere le proprie emozioni nell’agire.
Quando una situazione intimidisce o spaventa, quando i problemi diventano troppo
complessi, quando ci si sente dentro un circolo vizioso, quando il senso delle cose
sembra smarrirsi, quando non si riescono a identificare gli elementi in gioco e
qualcosa di importante sembra sfuggire, quando non si riesce a fare una scelta, il
coach filosofico può essere un approdo per iniziare una nuova esplorazione.
Facendosi guidare dal dialogo – senza proporre, né tantomeno imporre, la propria
visione ed eventuali soluzioni – il coach filosofico accompagna l’interlocutore ad
acquisire consapevolezza degli assunti teorici non espliciti e dello scontro tra valori e
sentimenti che rendono impossibile prendere in considerazione prospettive alternative
che potrebbero condurre a un’elaborazione fruttuosa del problema. In definitiva si
aiuta a mettere il pensiero in movimento, ampliando le visioni della realtà e creando
nuove convinzioni e a conoscere meglio sé stessi e i propri valori.
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INTRODUZIONE
“Negli ultimi trent’anni abbiamo assistito a una rapida trasformazione dell’economia
da “materiale” a “immateriale”, non solo per l’intervento deciso della finanza nelle
strategie e nelle decisioni aziendali, ma anche per le dimensioni e le conseguenze
dello sviluppo tecnologico e delle innovazioni nonché delle caratteristiche dei servizi
offerti e richiesti da un consumatore sempre più consapevole, informato ed esigente.
L’impresa da locale è diventata globale: se, fino a qualche decennio fa, operava
nell’ambito di un tranquillo e tendenzialmente stabile contesto nazionale
monopolistico o al massimo costituito da oligopoli, negli ultimi venti anni il
confronto tra imprese avviene a livello mondiale e in modo fortemente competitivo.
Il quadro d’azione è diventato molto più complesso e incerto.
Si è passati così dai piani strategici decennali e dagli investimenti di lungo termine a
piani strategici annuali, rivisti trimestralmente, accompagnati da investimenti
decisamente più contenuti e di ben più breve ritorno rispetto ai primi. E poi ancora, i
vertici aziendali erano garanti di una certa stabilità e continuità; ad essi si arrivava per
anzianità e attraverso una carriera tutta interna all’azienda e fortemente specialistica
che, step by step, dal livello più basso fino a quello più alto, passava attraverso tutti, o
quasi, i livelli gerarchici.
Lo sforzo, per questi dirigenti, era quello di produrre e vendere il prodotto, in un
contesto privilegiato, più o meno monopolistico, anche agevolati da un
consumatore/cliente che aveva poche alternative.
Assistiamo, invece, in tempi relativamente più recenti, a frequenti ricambi alla guida
delle aziende, con top manager provenienti dall’esterno, che costruiscono la loro
carriera in realtà aziendali diverse, che hanno arricchito i loro curriculum attraverso
percorsi professionali non soltanto verticali, ma anche, in modo finalizzato,
orizzontali. Il top manager di questi ultimi due decenni deve avere una visione
dell’azienda necessariamente più ampia e ha obiettivi da raggiungere più complessi e
sfidanti, per il raggiungimento dei quali deve possedere competenze trasversali oltre
quelle esclusivamente specialistiche.
La tensione che guida le loro strategie e le loro azioni mira a sostenere efficacemente
il confronto, sotto diversi punti di vista molto più articolato e complesso, con aziende
che operano a livello mondiale e con consumatori/clienti già saturi nella
soddisfazione dei propri bisogni e desideri e che possono scegliere, consapevolmente,
tra molteplici alternative. Anche la vendita non si concentra più solo sugli aspetti
hard legati al prodotto, ma deve necessariamente integrarli con aspetti soft,
arricchendo l’offerta con servizi complementari”.6
Oggi quindi viviamo in una società complessa caratterizzata dalla globalizzazione,
dai profondi mutamenti socio economici e politici,dal rapido cambiamento di valori
di riferimento, ma anche dall’eterogeneità e dalla contraddizione delle proposte e dei
modelli culturali contemporaneamente presenti nel sociale. Questo panorama può
essere disorientante, specialmente in età adulta dove ci si trova a fare i conti con la
realtà quotidiana, presi dai problemi familiari e da quelli lavorativi.
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Negli ultimi anni, in Italia, si sta assistendo ad un rapido cambiamento delle
organizzazioni del lavoro e al mutamento delle professioni, riferita non solo alla
rivoluzione tecnologica ma anche a quella economica mondiale; inoltre la flessibilità
dei contratti di lavoro e la cosiddetta “mobilità” che uniscono all’incertezza la
necessità di nuova creatività per potersi “reinventare” nel mondo del lavoro.
Dunque incertezza unita al dinamismo, un binomio difficilmente gestibile a livello
emotivo e pratico.
Le nuove organizzazioni lavorative si stanno sempre più esternalizzando, non
rimanendo più chiuse su se stesse e il loro assetto è indefinito e variabile e la loro
caratteristica sono solo le risorse umane.
Si è passati da un’attenzione aziendale rivolta esclusivamente alla produttività alla
concezione della qualità del servizio, del prodotto e del lavoro, quale elemento chiave
per soddisfare il cliente e per diventare sempre più competitivi e aumentare la
produttività. Chiaramente la qualità è sempre il risultato del comportamento
individuale e interpersonale delle risorse che operano all’interno delle aziende e
quindi i manager si dovrebbero occupare maggiormente di aspetti propriamente
relazionali ed emotivi. Stiamo assistendo alla pluralizzazione dei modi e dei luoghi di
produzione, a continui riduzioni dell’occupazione, alla complessità gestionale delle
risorse, alla trasformazione della nozione di subordinazione verso il lavoro autonomo
e alla cosiddetta flessibilità del lavoro.
Da un lato esistono maggiori incertezze: ad esempio il posto fisso viene soppiantato
da una varietà multiforme di contratti che regolano oggi i rapporti di lavoro.
Questo sia per semplificare e agevolare la vita dell’imprenditore e il suo rapporto con
il mercato, che per rispondere alle esigenze di un ventaglio di professioni che si è
progressivamente ampliato e articolato, rendendo più peculiare e complessa anche la
stessa organizzazione del lavoro. Dall’altro lato emergono percorsi professionali più
veloci e articolati che rendono sicuramente più stimolante e arricchente la vita in
azienda e spendibili, in contesti organizzativi diversi, le competenze acquisite. Le
aziende aprono e chiudono a grande velocità e non sembrano più in grado di garantire
certezze né di impiegabilità permanente né, tantomeno, di percorsi di carriera definiti.
Questa accelerazione va a ridurre, rendendolo spesso incongruo, il tempo necessario
all’azienda per l’attuazione dei progetti che guardano al domani oltre che all’oggi e
per lo sviluppo della persona, che rischia di non avere più agio di acquisire e
consolidare con l’esperienza le competenze idonee al proprio ruolo.
E così la persona, che oggi opera, a diverso titolo e grado, nel mondo del lavoro,
ricerca sempre più pro-attivamente una formazione che le permetta non solo di “fare”
ma anche di esprimere il proprio “essere” peculiare conseguendo quella auto-
realizzazione tanto auspicata. Lo sviluppo professionale, allora, non può essere
disgiunto da quello della persona, dal momento che l’individuo, rappresentando una
risorsa preziosa in termini di idee, decisioni, soluzioni, e modus operandi,
contribuisce non solo al successo dell’azienda, ma oggi più che mai ne garantisce
anche l’esistenza stessa. Alla formazione, dunque, si chiede non solo di trasferire
saperi ma anche di supportare le persone in quello sviluppo del sé che avviene anche
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attraverso l’integrazione con percorsi esperienziali volti a migliorare e consolidare
tutte le competenze.
Questo scenario è il luogo nel quale si muove la “formazione” e in cui si configurano
le diverse modalità del formatore che, dovrà avere nuove sensibilità, nuove
competenze e un approccio differente per la progettazione.
Occorrono infatti strategie di progettazione della formazione centrate su processi
focalizzati più sulla persona, quale attore del suo processo di apprendimento, e
coerenti con contesti organizzativi destrutturati, flessibili e discontinui.
Se volessimo dare una definizione di organizzazioni del lavoro potremmo dire che
sono strutture di persone orientate al raggiungimento di uno scopo attraverso forme di
cooperazione. Il collante delle organizzazioni è la cultura, quale riconoscimento dei
soggetti come membri di una comunità con una sua identità, che delinea i contesti
dove le persone sono inserite.
Il formatore di oggi, che sia in grado di comprendere e di agire nella complessità di
questo nuovo contesto socio-lavorativo, dovrà necessariamente attuare un approccio
olistico alla persona, cioè una visione complessa e articolata verso l’essere umano
nel suo complesso.
L’ideale della formazione/educazione umana, come ci ricorda il termine “paideia”, è
la cultura intesa come valore spirituale dell’umanità e come idea che l’uomo possa
migliorare prendendosi cura di sé stesso, della sua conoscenza, del suo nucleo di
valori e quindi della sua complessiva formazione interiore.
Questo percorso che un soggetto libero intraprende porterà alla riscoperta del senso e
del valore del lavoro, quale contributo al progresso dell’uomo nel sociale e allo
sviluppo socio-economico e produttivo di una comunità.
Oggi più di ieri è necessario concepire l’idea di formazione professionale come un
processo calato nella molteplicità dei contesti e che tenga conto dell’identità del
soggetto a cui si rivolge. In questo senso il concetto di formazione recupera
l’originario valore semantico di “dare forma” attraverso la relazione umana e il
linguaggio.
E’ inoltre importante valorizzare un tipo di formazione centrata sull’apprendimento e
non sull’insegnamento e un utilizzo di tale apprendimento per mettere in campo
azioni consapevoli e rivolte a risultati ben definiti.
In sostanza la formazione diventa il luogo in cui il soggetto per un verso acquisisce
consapevolezza del suo divenire e per l’altro introietta il senso delle sue potenzialità
inespresse.
“Formare, nelle sue variegate accezioni, rappresenta un’azione che pone volutamente
e responsabilmente al centro la persona e la sua evoluzione soggettiva.
Il progresso organizzativo, che spesso costituisce la principale finalità per
l’attivazione di percorsi formativi, non può quindi essere raggiunto se non con la
collaborazione, l’ausilio, l’integrazione, la motivazione, la sana complicità delle
persone che ne rappresentano gli elementi generativi. Allo stesso tempo ogni soggetto
vive di interazioni, di relazioni interpersonali, di contagi cognitivi e, pertanto, non
può prescindere dal confronto, dal senso di reciprocità nella relazione con l’altro.
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Ecco dunque che la formazione “one to one” diventa percorso privilegiato per attuare
questa dimensione metodologica più individualizzata, e consapevole della
responsabilità per lo sviluppo della persona intervenendo sull’evoluzione dei
comportamenti e delle performance, sull’affinamento delle capacità espresse, sul
riconoscimento dei valori di riferimento e sulla ricerca della propria identità.
Nasce da qui la duplice dialettica che caratterizza la persona, quella del radicamento
nella storia e quella del superamento dell’esperienza: la persona è dunque una sorta di
albero che affonda le sue radici nella corposa concretezza della terra, ma che, allo
stesso tempo, con i suoi rami, si apre all’esterno a un’esperienza che la trascende.
Il formatore, soprattutto nella relazione “one to one”, interviene quindi affinché
questa crescita sia caratterizzata dalla piena coerenza tra le varie parti della pianta
ovvero da un allineamento fra il contesto in cui la persona agisce, i comportamenti
che attiva, le capacità che manifesta, i valori e le convinzioni in cui crede e l’identità
personale e professionale che esprime. La persona, pertanto, con la sua struttura
cognitiva e con il suo bagaglio esperienziale, diventa il fulcro del processo di
apprendimento e, conseguentemente, il centro diffusivo delle azioni di cambiamento
da sviluppare all’interno delle organizzazioni.
Diversi sono i modelli, le teorie, gli approcci pragmatici che, partendo dalla
motivazione a evolvere del soggetto, hanno indagato e interpretato l’importanza della
centralità della persona cogliendone presupposti e criticità in un’ottica dinamica.
Dallo psicodramma, che invita le persone a mettere in scena se stesse attraverso la
rappresentazione drammatica grazie alla quale è possibile reinterpretare i momenti
salienti della propria vita, all’empowerment, che, concentrandosi sullo sviluppo delle
capacità vincenti di ogni individuo, studia una modalità di formazione finalizzata a
migliorare o far acquisire le percezioni dei propri punti di forza e la capacità di
utilizzarli in campo professionale e personale.
Dalla psicologia della formazione e dell’autoformazione, che pone al centro
dell’attenzione l’esperienza e la riflessività dell’esperienza, all’action-learning, che
rappresenta una metodologia di sviluppo del soggetto fondata sulla premessa che non
esiste apprendimento senza azione reale né azione intenzionale senza apprendimento.
Dall’analisi transazionale, che analizza le transazioni, ovvero la comunicazione
interpersonale e la struttura della personalità attraverso la definizione di tre particolari
stadi dell’io, alla psicanalisi o psicoterapia, che assume come struttura di base della
vita psichica l’ambito relazionale considerando l’individuo nel suo aspetto di
soggetto generato e di soggetto operante in relazione al gruppo.
Dalla programmazione neuro linguistica (PNL), che studia la struttura dell’esperienza
soggettiva e quindi i modelli comportamentali e comunicativi al fine di migliorare le
potenzialità relazionali, alla biosistemica, che prevede un approccio teso al
coinvolgimento mente-corpo nello sviluppo delle capacità emozionali e di relazione.
Molti di questi approcci, insieme ad altri modelli ancora, pur essendo nati da una
lettura clinica e terapeutica dei rapporti interpersonali e soggettivi, hanno visto in
seguito una declinazione generativa orientata alla loro applicazione anche in ambito
formativo, spesso individualizzata, partendo dal presupposto che la struttura del sé, si
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costruisce dall’interazione con il mondo dell’esperienza di cui l’individuo, in quanto
organismo indipendente, costituisce il nucleo centrale.
Una formazione individualizzata, e quindi ancor più centrata sulla persona, deve
pertanto porre l’attenzione non solo sul livello del comportamento agito dal
destinatario dell’azione formativa ma anche, e soprattutto, sul livello dei valori, delle
convinzioni e delle capacità che generano tali comportamenti.
Diventa pertanto centrale, per i formatori specializzati nella dimensione “one to one”,
acquisire e sviluppare le competenze per indagare e valorizzare l’organizzazione
dinamica degli aspetti cognitivi, affettivi, motivazionali e volitivi dell’individuo.
Per diversi maestri del pensiero filosofico occidentale la differenza nel divenire degli
esseri umani è determinata da ciò che uno è, ovvero dalla sua identità, dalla
personalità – intesa nel senso più ampio del termine, comprendendo la salute, la
forza, la bellezza, il carattere morale, l’impegno e l’educazione dell’ingegno – da ciò
che uno ha, dalle sue proprietà, dai suoi averi materiali, dai suoi possedimenti e infine
da ciò che uno rappresenta, ovvero dalla reputazione, dall’immagine che se ne sono
fatta gli altri, dalla fama e dalla notorietà, che consistono nell’opinione che gli altri
hanno di lui.
Sulla base di questi presupposti i formatori, quali esperti professionisti dei processi di
apprendimento degli adulti e quindi quali generatori di valore e di benessere delle
coscienze, devono, e non solo nelle relazioni “one to one”, responsabilmente e
criticamente affrontare le dinamiche del sé e dell’altro diverso dal sé, anche perché la
congruenza fra ciò che una persona è e ciò che la stessa fa, rappresenta un valore
aggiunto di elevata potenza nella percezione dell’azione formativa e nell’evoluzione
soggettiva.
La formazione, fermo restando l’importanza della dimensione plurale nei processi
cognitivi, dovrà quindi sempre più focalizzarsi sul reale apprendimento del singolo su
approcci e metodologie – quali il coaching, il counseling, il mentoring – che
favoriscono il processo di individualizzazione dell’apprendimento, determinando una
generatività di valori fortemente orientata al soggetto e alle sue distintività.
Nella assoluta, ferma e inequivocabile consapevolezza che tali approcci costituiscono
utili e fondamentali declinazioni metodologiche di quella formazione che rappresenta
la madre di tutte le discipline di sviluppo degli apprendimenti e di evoluzione della
persona, e non pratiche contrapposte e con essa in competizione. Sorge pertanto
l’esigenza di allargare responsabilmente il proprio campo metodologico e, in tal
senso, stiamo assistendo negli ultimi anni, a un processo evolutivo, seppure integrato,
di molti formatori che, oltre a possedere le metodologie d’aula tradizionali, si sono
orientati a sviluppare specifiche competenze negli approcci della formazione “one to
one.”.6
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Aa.Vv., M.Giangiacomo, Formazione one-to-one, 2012, pagg. da 10 a 14