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INTRODUZIONE
Drammaturgo e poeta inglese Shakespeare è uno degli esponenti
principali del Rinascimento inglese e uno dei più grandi autori della
storia del teatro occidentale.
La mia trattazione si articola in cinque capitoli.
Nel primo capitolo tratterò della storia di Amleto principe di
Danimarca e la sua acentricità.
Il dramma dell’Amleto è un dramma assolutamente unico nel
canone shakespeariano. Nel corso del XIX secolo e inizio XX secolo
l’Amleto è stato considerato il lavoro più significativo e importante
dell’era romantica. Da una parte condensa innegabilmente in sé, nella
sua enigmatica ma assai eloquente inazione, tutta la crisi spirituale di
un’epoca che volge al termine, una crisi di coscenza e di valori.
Dall’altra parte è il simbolo, con le sue intime e personalissime
ragioni, dell’uomo eternamente in lotta con le antinomie della morale
e con la necessità di scegliere ogni giorno il proprio agire. Amleto è
il mito dell’uomo moderno e nessun dramma è stato tanto studiato,
riscritto, rappresentato, tradotto.
Sta nella sua singolarità la ragione di tanto successo teatrale e
critico che quest’opera ha incontrato nei secoli, singolarità del
protagonista, della sua azione sospesa, della sua messa in questione
di ogni asserto di verità.
In un periodo segnato da grandi trasformazioni, segnato dalla
Riforma e dai conflitti religiosi, dalle scoperte geografiche e
scientifiche che aprono ad una nuova visione della natura e del
mondo, dalle lotte imperialistiche che preparano l’età
dell’assolutismo, Shakespeare riesce, così, ad esprimere il dubbio
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dell’uomo moderno, il rapporto della mente umana con la vita e la
ricerca interiore di sé, scavando nel profondo della coscienza.
La coscienza tragica di Amleto esprime la percezione dello
svuotamento di essa, una coscienza lacerata, divisa, ed è questo
sperdimento l’insegna della modernità. «La visione shakespeariana
del mondo si può definire tipicamente rinascimentale per l’assenza di
intervento da parte di un’entità superiore o di una risoluzione
cristiana dell’angoscia terrena; è, tuttavia, un Rinascimento inquieto,
mirato a cogliere drammaticamente il paradosso della condizione
umana».
Il dramma ruota attorno alla sospensione dell’azione che il
principe dovrebbe compiere ma che, in realtà, rimanda in
continuazione. La sua acentricità è dovuta allo stesso comportamento
del principe che dopo la rivelazione del fantasma paterno e del
tradimento perpetrato si interroga sull’essere o sul non essere, sul
senso della vita e della morte, il mondo stesso ha perso la sua
coerenza, la sua unicità, la sua onestà. Egli cerca più volte di
ritrovare un senso a tutto, cerca egli stesso di rappresentarsi, prima,
come attore della propria tragedia nel cosiddetto ῾monologo di
Ecuba᾽, nel secondo atto, e poi come eroe del proprio destino nel
῾monologo di Fortebraccio᾽ nel quarto atto, senza, però riuscirci.
Ne emerge un relativismo estremo che tutto coinvolge, e che si
pone a tutti i livelli: percettivo, gnoseologico, assiologico e logico,
basti pensare agli stravolgimenti linguistici di Amleto. Tutto diventa
arbitrario e relativo, anche l’identità del soggetto si scinde, lo stesso
Amleto appare ora lunatico, ora ῾folle᾽, ora malinconico,
esprimendosi per giochi verbali illogici apparentemente privi di
senso, ma sempre pertinenti. Sempre nel primo capitolo, mi
soffermerò anche sui temi, la lingua e lo stile dell’Amleto.
Shakespeare alterna uno stile lirico e ricercato con uno ruvido e
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volgare, con risultati significativi sul piano semantico. Il registro
tragico si ibrida con il comico in un continuo incrocio, scontro di
lingue e stili. E del resto sono due gli schieramenti linguistici
ravvisabili: uno coinvolge la sfera del potere che utilizza procedure
sintattiche, stilistiche, e retoriche che cercano di dotare di senso ogni
cosa, attribuendo ad ogni evento un significato specifico. L’atro
schieramento è quello di Amleto e Ofelia i cui procedimenti
linguistici sono del tutto illogici, anomali, pronti a destabilizzare il
senso di ogni cosa, ad incrinare ogni certezza. Molti critici hanno
messo in risalto la pregnanza verbale dell’Amleto, scorgendo una
stretta affinità tra il linguaggio di Amleto e quello dei maggiori poeti
metafisici contemporanei.
La pseudo ῾follia᾽ di Amleto sconvolge l’assetto tradizionale del
mondo con tutte le sue finzioni, inganni e ipocrisie ed anche i valori
della gente.
La tematica della morte accompagna, come filo conduttore lo
svolgimento del dramma dall’inizio, con l’apparizione del fantasma e
col tema del suicidio che aleggia nella mente di Amleto fin
dall’inizio. Altro tema portante è quello della ῾follia᾽ di Amleto e
quella di Ofelia, una follia che demistifica il tutto, per riportare in
auge la verità; e quello del potere, volto a ribadire una stratta
gerarchica politica, sociale ed assiologia, tuttavia, esso non può
impedire lo smagliarsi dell’essere, collettivo e individuale. Infine è
da sottolineare la componente metateatrale del dramma in quanto
elemento estremamente moderno.
Il secondo capitolo sarà interamente dedicato alle fonti
dell’Amleto. Partendo proprio dalle origine della storia di Amleto, in
particolare dalla tradizione orale delle leggende scandinave e
germaniche del IX secolo, fino alle prime testimonianze scritte: lo
Shahnameh di Firdusi (935-1020), e in particolare l’opera di Saxo
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Gramaticus, l’Historiae Danicae libri, a cui attinsero, chi più chi
meno, tutti coloro che si sono, dopo di lui, accostati a tale dramma:
come l’Histoires tragiques di Belleforest che introdusse il tema
dell’adulterio di Gertrude, prima dell’assassinio del marito e quello
della malinconia del principe; il Palace of Pleasure di William
Painter; e la versione anonima nel 1608 con il titolo The Hystorie of
Hamlet, che contiene modifiche alla versione di Belleforest tali da far
pensare che il traduttore fosse a sua volta influenzato dalla tragedia
shakespeariana, a quell’epoca già popolarissima; ed infine il
misterioso Ur-Hamlet, del 1589, un dramma andato perduto, e che,
quindi, ci lascia all’oscuro circa la prima trasformazione che la storia
aveva subito giungendo al suolo inglese, ma di esso rimangono
testimonianze importanti. Un’altra fonte da citare è il manoscritto
tedesco Der bestrafte brudermond oder prinz Hamlet aus
Dannemark (Il fratricidio punito ossia il principe Amleto di
Danimarca), adattamento in prosa di un testo inglese,
presumibilmente Ur-Hmalet.
Ma interessanti sono soprattutto le fonti classiche. In effetti,
Shakespeare era un profondo conoscitore della poesia e del teatro
classico, e molte sono le riprese auliche senechiane, saffiane, o le
analogie con Tertulliano e Aristofane, e con le opere di Eschilo.
Sempre nel secondo capitolo si cercherà di sciogliere
l’ingarbugliata storia testuale dell’Amleto che è la più complicata
dell’intero canone shakespeariano, facendo riferimento alle edizioni
in-quarto ed in-folio, e le differenze che si riscontrano in questo
passaggio, citando tutte le varie edizioni dell’opera che raccontano
l’intera sua evoluzione. Importante sono i problemi di datazione
sull’opera di Shakespeare e diverse sono state le ipotesi formulate.
L’Amleto esce nel 1602, ma alcuni retrodatano l’opera al 1598, e del
resto molti indizi ci riportano a questa data, pensiamo alla nota che
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Gabriel Harvey appose alla sua copia delle edizioni delle opere di
Chaucer del 1598.
Il terzo capitolo si incentrerà sui contributi critici che il
personaggio di Amleto ha suscitato dal Settecento a oggi. Boas aveva
dichiarato che in ogni creazione poetica deve esserci sempre una
corrispondenza, mascherata o metaforica, tra i sentimenti che un
poeta descrive e quelli che ha provato di persona, altrimenti l’atto
della creazione sarebbe del tutto incomprensibile, e così sarà stato, a
suo parere per Shakespeare. Anche Heine comprese l’intima
connessione fra la sofferenza psichica e il bisogno di sfogo attraverso
la creazione poetica.
L’opera di Shakespeare è un’opera assolutamente aperta alle più
svariate interpretazioni, si presenta come una ʽsfinge della
letteraturaʼ, così è stata etichettata l’opera: ora il principe di
Danimarca viene considerato un dubbioso, ora un paranoico, ora un
eroe edipico ora un anti-eroe senza qualità. Nel Settecento da
ricordare i contributi critici di Charles Gildon e Tobias Smollet, le
riserve neoclassiche di Dryden, del razionalista Voltaire e del
moralista Johnson. I romantici cominciarono a interrogarsi sul
significato dell’opera, canalizzando la loro attenzione verso la psiche
dei personaggi: l’anima dell’opera era, per loro, l’io dell’eroe che si
ergeva contro il mondo. Da Goethe a Coleridge fino a Bradley
nascono le famose interpretazioni romantiche assai acute e
suggestive. Le interpretazioni romantiche sono soprattutto legate
all’incapacità del principe di agire e di portare a termine la vendetta.
Schlegel, Goethe, Coleridge, Hazlitt, ed Hartley Coleridge sono
sostenitori del punto di vista ʽsoggettivoʼ, che spiega l’irresolutezza
di Amleto nel compiere il suo atto legandola proprio al suo carattere
incapace ad agire; Klein e Werder esponenti del punto di vista
ʽoggettivoʼ legano l’irresolutezza del principe al carattere difficoltoso
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del compito da assolvere; il terzo punto di vista spiega il
comportamento di Amleto in una difficoltà insita nel compito stesso
tale da renderlo insostenibile.
Nel Novecento diversi sono stati i contributi critici da Sarah
Bernhardt ad August Strindberg, ad Andrew Cecil Bradley che
considerava l’Amleto il personaggio più affascinate, più inesauribile,
di tutta la letteratura mondiale; a Simon Blackmore Agostino che si
soffermò soprattutto sulla follia del principe; Anna Luisa Zazo. Uno
dei critici che sottolineò il carattere problematico e alquanto
complesso del personaggio shakespeariano fu Trench che definì
Amleto uno spirito contemplativo. Simile l’opinione di Edmund
Chambers, per poi proseguire con Eagleton; Robertson, Wilson, Jean
Starobinski. Uno dei contributi critici più importante fu quello di
Thomas Stern Eliot nel saggio Hamlet and his problems; per non
parlare di Jan Kott, profondo conoscitore di Shakespeare, che fa di
Amleto un ‘eroe esistenzialistaʼ. Occorre citare anche le tendenze
allegoriche date al significato dell’opera shakespeariana da parte di
Gerth, Gerkrath, Meisels.
Il quarto capitolo è interamente dedicato all’interpretazione
psicoanalitica del personaggio, a partire da Loening, Baumgart,
Clutton-Brock influenzati dalla recente teoria della ʽpsicosi
traumaticaʼ. Mentre Bachelard si era soffermato sulla morte di
Ofelia. Una spiegazione suggestiva della paralisi di Amleto nel
compiere la sua vendetta, venne data da Freud che legò il problema
di Amleto al cosiddetto ʽcomplesso di Edipoʼ. La tesi di Freud fu poi
sviluppata dal suo allievo Ernest Jones nel suo testo Amleto ed Edipo.
Per Jones come per Freud Amleto è un caso di psiconevrosi, in
quanto è ossessionato da fantasie dell’infanzia, quando aveva dovuto
dividere con il padre rivale il suo amore per la madre. Ora da adulto,
quelle memorie rimosse si sono trasformate in depressione e in
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incapacità di agire contro lo zio che ha fatto quello che lui avrebbe
voluto. Il conflitto radicato nella sua psiche lo blocca, lo distrugge.
Ed infine Jacques Lacan ha dedicato un lungo e ricco commento
all’Amleto di Shakespeare nel suo sesto seminario intitolato Le désir
et son intérpretation, presieduto dal grafo del desiderio attraverso cui
spiega il suo complesso. Per Lacan l’Amleto è la tragedia del
desiderio, ma occorre capire, e precisare cosa non funzioni nel
desiderio di Amleto tale da renderlo incapace ad agire. Ci si
soffermerà anche sulla figura di Ofelia così come interpretata da
Lacan.
Infine il quinto capitolo sarà dedicato alle trasposizioni
cinematografiche dell’Amleto. In un primo tempo si cercherà di dare
uno sguardo generico al mondo del cinema, ed ai rapporti tra cinema
e letteratura, con particolare riguardo alle modalità di trasposizione
cinematografica di un’opera teatrale. Poi attraverseremo l’Amleto nel
cinema, essendo l’opera shakespeariana di gran lunga più
rappresentata al cinema, partendo dall’epoca del muto sino ai nostri
giorni. Amleto è un importante momento di prova nella carriera di
ogni attore, un ruolo impegnativo per misurare le proprie capacità
attoriali o mostrare le proprie doti recitative, «Per un attore è
inimmaginabile non riuscire a recitare Shakespeare o non avere
l’ambizione di farlo». Il personaggio di Amleto ha suggerito letture
tradizionali ma anche anomale e stravaganti, consentendo di dare
sfogo ad intuizioni originali, riflettendosi nelle diverse situazioni
storico-politiche, socio-culturali e psicologiche contingenti all’epoca
della trasposizione. Ci si soffermerà in particolare sulla trasposizione
cinematografica dell’Amleto da parte di tre registi quali Olivier,
Zeffirelli, Branagh. Le pellicole sono sostanzialmente diverse l’una
dalle altre, ma innegabile in tutte è lo studio preliminare del testo
shakespeariano, allo scopo di recuperare l’intimo significato della
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tragedia. In particolare mi soffermerò ad analizzare il modo in cui
viene riportato il celebre monologo di Amleto: le parole di Amleto si
rinnovano di trasposizione in trasposizione, e pur restando invariate
nella loro originale stesura, acquistano diverse sfumature che
contraddistinguono la chiave di lettura di ogni singola pellicola.
Ognuno dei tre registi dà un taglio diverso alla propria
trasposizione: Olivier piega il cinema alle necessità dei testi
shakespeariani, evidenzia l’interpretazione freudiana (edipica) del
protagonista immerso com’è in un isolamento cosmico, irrimediabile,
unico uomo moderno, pensante, dubbioso; Zeffirelli riesce a fondere
i due generi, creando uno spettacolo avvincente, in tutti gli elementi
visivi che compongono il lavoro, ma anche la sua lettura reca
un’impronta freudiana; Branagh crea, invece, un film a grosso budget
che pensa al grande pubblico ed a un mercato internazionale, la sua è
una trasposizione integrale per una versione di quattro ore. Branagh
riesce a conciliare, in un mélange di raro equilibrio, spettacolo e
attenzione al testo, cinema e teatro, rendendo accessibile la tragedia
al grande pubblico, creando un Amleto diverso dalla tradizione,
vitale e attivo.
La produzione filmica di Shakespeare è un giardino in continua
fioritura arricchito sempre di nuovi innesti e nuovi colori. Una
successione cromatica che non avrà mai fine.
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CAPITOLO PRIMO
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I.1 La storia di Amleto, principe di Danimarca
Drammaturgo e poeta inglese Shakespeare è uno degli esponenti
principali del Rinascimento inglese e uno dei più grandi autori della
storia del teatro occidentale. Attraverso il suo teatro egli riesce a
sondare profondamente negli animi della gente del suo tempo e
trasferire sulla scena avvenimenti ed emozioni che perdurano, con
immutata energia, nel corso dei secoli.
Difficile inquadrare la sua notevole produzione artistica che
annovera drammi storici, commedie, tragedie, anche a causa della
rilettura successiva dei suoi lavori ad opera di letterati romantici che
videro profonde assonanze tra la loro ricerca estetica e i lavori di
Shakespeare.
Per lungo tempo, infatti, questa rilettura ha influenzato sia la
critica che gli allestimenti delle sue opere, esasperando le affinità
poetiche con il romanticismo. Indubbiamente sono presenti,
soprattutto nelle grandi tragedie, temi e personaggi che preludono
all’esperienza romantica, ma l’originalità del grande artista va cercata
maggiormente nella grande capacità di sintesi delle diverse forme
teatrali del suo tempo, in opere di grande respiro ed equilibrio dove il
tragico, il comico, l’amaro, il gusto per il dialogo serrato e per
l’arguzia sono spesso presenti in un’unica miscela di grande
efficacia.
Il dramma dell’Amleto è sicuramente uno di questi. Nel corso del
XIX secolo e inizio XX secolo l’Amleto è stato considerato il lavoro
più significativo e importante dell’era romantica: il conflitto tra
azione e contemplazione. Da una parte condensa innegabilmente in
sé, nella sua enigmatica ma assai eloquente inazione, tutta la crisi
spirituale di un’epoca che volge al termine, infatti, nel travaglio della
crisi epocale tra Cinquecento e Seicento, una crisi di conoscenza e di