1. LA LETTURA DELLA MUSICA
E in cosa consiste l’arte di leggere a prima vista? In que-
sto: nel suonare il brano alla giusta velocità, come deve
essere eseguito, suonando tutte le note, le appoggiature
ecc. con l’espressione e il gusto più appropriati, cosicché si
possa pensare che l’esecutore l’abbia composto lui stesso.
W olfgang Amadeus Mozart
1
1.1 Il solfeggio parlato
Fino al Diciannovesimo secolo l’insegnamento della musica avveniva principalmente in forma
orale. Le difficoltà tecniche venivano affrontate con esercizi composti ad hoc dall’insegnante e il
giovane apprendista veniva incoraggiato a crearne di propri, a trasportarli in varie tonalità e a im-
provvisarci sopra. Il musicista che affrontava un simile apprendistato era poi in grado di svolgere la
professione con grande versatilità, essendo in grado di suonare, scrivere musica, improvvisare e leg-
gere a prima vista.
2
Le trasformazioni sociali avvenute tra Diciottesimo e Diciannovesimo secolo videro la na-
scita di una nuova figura di studente di musica non destinato necessariamente a diventare un pro-
fessionista. Nella società inglese di fine Settecento, per esempio, l’istruzione di una donna non po-
teva dirsi completa se questa non era in grado di suonare e di cantare in pubblico, come sa bene
chi ha letto i romanzi di Jane Austen. Analoga situazione la ritroviamo in Francia, in Austria, in
Germania e negli Stati Uniti, come hanno dimostrato gli studi di Arthur Loesser.
3
Un esempio lo
1 ABERT, Hermann, W .A. Mozart, Breitkopf & Härtel, Leipzig, 1923-24. T raduzione inglese a cura di Stewart
Spencer, Y ale University Press, London, 2007, pp. 405-6.
2 V edi MCPHERSON, Gary. E. e EVANS, Paul, ‘Il suono prima del segno’ , in Orientamenti per la didattica stru-
mentale, a cura di Johannella T afuri e Gary E. McPherson, LIM, Lucca, 2007, p. 16.
3 LOESSER, Arthur, Men, W omen and Pianos. A Social History, Simon and Schuster, New Y ork, 1954. Il libro è
1
troviamo in questa corrispondenza dell’ Allgemeine musikalische Zeitung dove con efficacia, e non
senza qualche ironia, viene descritta la società viennese dei primi dell’Ottocento:
Ogni ragazza ben educata, che abbia talento o no, deve imparare a suonare il pianoforte o a cantare:
prima di tutto perché è di moda; poi (ed ecco che subentra lo spirito della speculazione) perché è la
maniera più efficace per fare il proprio ingresso in società in maniera attraente, e infine, se è fortu-
nata, perché la può portare a un’unione matrimoniale vantaggiosa, soprattutto dal punto di vista
economico. Anche i figli devono imparare la musica: primo, anche in questo caso, perché è una cosa
da farsi ed è di moda; secondo, perché serve loro come forma di raccomandazione nella buona so-
cietà; e l’esperienza insegna che molte persone (almeno tra di noi) che hanno studiato musica hanno
poi ottenuto una moglie ricca o un incarico altamente redditizio.
4
La necessità di fornire un’istruzione musicale a un numero sempre crescente di studenti,
5
unita al parallelo sviluppo delle tecniche di stampa — che rendevano più rapida e più economica
la produzione editoriale —, portò alla proliferazione di testi di tecnica meccanica pura (scale, ar-
peggi, esercizi per l’indipendenza delle dita, legature e così via) nei quali gli aspetti musicali erano
in parte o totalmente assenti.
ora pubblicato in reprint da Dover, Mineola, NY, 1990.
4 «Every well-bred girl, whether she has talent or not, must learn to play the piano or to sing: first of all, it’s
fashionable; secondly (here the spirit of speculation comes in), it’s the most convenient way for her to put
herself forward attractively in society and thereby, if she is lucky, make an advantageous matrimonial allian-
ce, particularly a moneyed one. The sons likewise must learn music: first, also, because it is the thing to do
and is fashionable; secondly, because it serves them too as a reccomendation in good society; and experience
teaches that many fellow (at least amongst us) has musicked himself to the side of a riche wife, or into a higly
lucrative position» da una lettera del 22 ottobre 1880, citata in LOESSER, Arthur, op. cit., pp. 137-138.
5 Carl Czerny, per esempio, ricorda nelle sue memorie che la sua attività didattica, per quanto estremamente
vantaggiosa dal punto di vista economico, lo costrinse a dare 11-12 lezioni al giorno dalle otto del mattino
alle otto di sera per almeno una ventina d’anni, con pesanti conseguenze sulla sua salute. Vedi HANSON, Alice
M., Musical Life in Biedermeier Vienna, Cambridge University Press, Cambridge, 1985, pp. 30-31.
2
L’esigenza, da un lato, di alfabetizzare un gran numero di allievi e, dall’altro, di spingere in
direzione di un elevato virtuosismo vocale e strumentale, impose la creazione di nuove tecniche
didattiche.
Tale abbondanza di materiali stampati cambiò in modo significativo la natura dell’apprendimento:
la musica diventò l’arte della riproduzione e si accentuarono particolarmente i problemi di tecnica e
d’interpretazione. Venne così interrotta la tradizione didattica orale e si diffuse la pratica di allenarsi
con esercizi lungamente ripetuti.
6
In Orgoglio e pregiudizio (1813) lady Catherine de Bourgh, che si vanta di essere una grande
esperta di musica («Se mai l’avessi studiata, ne sarei una grande conoscitrice» le fa dire Jane Au-
sten con la consueta ironia), raccomanda l’esercizio costante:
Mr Darcy fece un affettuoso elogio dei progressi della sorella.
‘Sono molto contenta di avere notizie così buone’ , disse lady Catherine; ‘e vi prego di dirle da parte
mia che non può aspettarsi di eccellere se non persevera nella pratica’ .
‘Vi assicuro, signora’ , replicò, ‘che non ha bisogno di questo consiglio. Si esercita con molta
costanza’ .
‘Tanto meglio. L’esercizio non è mai abbastanza: e la prossima volta che le scriverò, la esorterò a non
trascurarlo per nessun motivo. Dico spesso alle ragazze che nella musica non si raggiunge l’eccellen-
za senza una pratica costante. L’ho detto più volte anche a miss Bennet che non suonerà mai vera-
mente bene se non studia di più; e siccome Mrs Collins non possiede uno strumento, le ho anche
detto più volte che a Rosings è la benvenuta: può venire tutti i giorni a suonare sul pianoforte nella
stanza di Mrs Jenkison. Non disturberà nessuno, in quella parte della casa.
7
6 MCPHERSON, Gary. E. e EV ANS, Paul, op. cit., p. 16.
7 «Mr. Darcy spoke with affectionate praise of his sister’s proficiency.
‘I am very glad to hear such a good account of her, ’ said Lady Catherine; ‘and pray tell her from me, that she can-
not expect to excel if she does not practice a good deal.’
‘I assure you, madam, ’ he replied, ‘that she does not need such advice. She practises very constantly.’
‘So much the better. It cannot be done too much; and when I next write to her, I shall charge her not to neglect it
on any account. I often tell young ladies that no excellence in music is to be acquired without constant practice. I
3
L’esercizio portato all’estremo, per formare strumentisti sempre più abili sul versante del vir-
tuosismo, divenne una prerogativa delle istituzioni musicali di stato. Il Conservatorio di Parigi,
fondato nel 1795 per fornire strumentisti alla Guardia Nazionale, seguì proprio questo tipo di im-
postazione, arrivando al paradosso di formare un’intera generazione di buoni strumentisti che mo-
stravano però gravi lacune nella musicalità di base.
8
Come ha osservato Carlo Delfrati:
Il virtuosismo orienta a un insegnamento tecnicistico, dominato dall’esercizio ripetitivo, duro e in-
terminabile: un insegnamento “all’arma bianca” , dove conta non la massa dei caduti sul campo, ma il
manipolo che raggiunge l’obiettivo (ossia l’esecuzione del pezzo difficile). È in questa realtà e in
questa logica che i pedagogisti celebrano il divorzio tra educazione e istruzione.
9
Come la pratica strumentale, anche la lettura della musica divenne una disciplina a sé stan-
te: l’alfabetizzazione musicale era diventata infatti una conditio sine qua non in una società nella
quale la trasmissione e l’insegnamento della musica avvenivano ormai in forma prevalentemente
scritta.
have told Miss Bennet several times, that she will never play really well unless she practises more; and though Mrs.
Collins has no instrument, she is very welcome, as I have often told her, to come to Rosings every day, and play on
the pianoforte in Mrs. Jenkinson’s room. She would be in nobody’s way, you know, in that part of the house.’»
Jane Austen, Pride and Prejudice (1813), cap. 31.
8 «The early achievements of the Conservatoire were the successful training of a generation of instrumental-
ists, publication of many tutors and establishment of a free library. Its early failings were the inability to pro-
duce well-equipped singers, too little training in fundamental musicianship and lack of provision for
boarders». CHARLTON, David e TREVITT, John, voce ‘Paris’ , in: The New Grove Dictionary of Music and Musi-
cians.
9 DELFRA TI, Carlo, ‘L’insegnamento del solfeggio’ , in Avvio alla pratica strumentale: aspetti formativi e istituzionali,
(a cura di Rosanna Casella), Ricordi, Milano, 1988, pp. 93-94.
4
Questo ha condotto all’impostazione attuale dei metodi, dove i concetti teorici sono spesso slegati
dalle conoscenze percettive, e le abilità tecniche sono separate dal processo di imparare a suonare.
10
Nel tardo Ottocento il solfeggio parlato divenne una vera e propria istituzione didattica:
Escogitato come propedeutico al canto, il solfeggio parlato finisce con l’invadere le aule scolastiche,
sempre all’insegna della “facilitazione” […] A furia di facilitare la lettura vocale del pentagramma, si
trova il sistema di renderla praticabile anche a quegli allievi che non arrivano (col sistema dell’«ar-
ràngiati») a costruirsi un quadro mentale delle funzioni tonali. […] L’educazione ritmica, che era
stata condotta direttamente, attraverso il canto o la pratica motoria, viene fatta confluire nell’eserci-
zio parlato, dove la lettura delle complicazioni ritmiche, lungi dall’essere facilitata, veniva irrigidita
in formule meccaniche dalla preoccupazione di nominare le note in contesti intervallari spesso schi-
zofrenici.
Non la voce è in questione, nemmeno la voce parlante. È il sovrappiù della nominazione dei suoni
che, mezzo senza lode e senza infamia nei primi momenti di familiarizzazione col pentagramma e
con lo strumento, si frappone poi come ostacolo alla percezione diretta dei ritmi, del decorso della
frase, e in sede esecutiva alla naturalezza e fluidità. Tutte abilità che si acquisiscono attraverso un
addestramento percettivo e un addestramento motorio.
Invece di far leva su percezione e motricità, la didattica ottocentesca elevò l’aritmetica a fondamen-
to della lettura.
Il divisionismo diventò lo strumento principale della lettura ritmica, ossia del solfeggio parlato. Ma
come dicevo all’inizio, un ritmo, per esempio un ritmo puntato, non si impara contando e misuran-
do, ma educandosi a riconoscerlo quando appare, a produrlo, a inventarci su, ad analizzarlo in musi-
che che lo contengono...
Ancora un esempio. Il divisionismo incoraggia, di questo elementare passaggio, una lettura come
quella riprodotta sotto:
10 MCPHERSON, Gary. E. e EV ANS, Paul, op. cit., p. 16.
5
&
œ
œ
œ
œ œ
œ
œ
&
j
‹
<
j
‹
<
j
‹
<
j
‹
<
Do Re Mi Fa
j
‹
<
j
‹
<
‹
<
à Mi Fa
Qui il divisionismo crede di “facilitare” la lettura della sincope. In realtà la distrugge.
Esempi di questa natura si potrebbero moltiplicare. E aiutano a spiegare il successo di metodi con-
troproducenti: l’ignoranza didattica rende preziosi e grati gli strumenti in grado di giustificarla e
perpetuarla. Il solfeggio parlato è uno di questi […]
Come per i gradi della gamma, anche l’acquisizione progressiva di strutture ritmiche (cellule, figura-
zioni...) sempre più complesse, che costituiscono un programma di educazione alla lettura ritmica,
esige la costituzione di un “quadro mentale” (propriocettivo): attraverso attività di riconoscimento
e di manipolazione che precedono la lettura e la fondano. L’aritmetica non può essere che una fase
successiva, di sistemazione razionale.
11
La separazione tra lo studio del solfeggio e la pratica dell’esecuzione musicale ha portato a
risultati surreali: a molti insegnanti sarà capitato infatti di trovarsi davanti allievi che, se da un lato
sono perfettamente in grado di solfeggiare esercizi anche molto complessi, dall’altro sono incapaci
di eseguire a prima vista sul proprio strumento brani estremamente elementari per quanto riguar-
da le altezze delle note e i valori ritmici. Il solfeggio è diventato un esercizio di lettura ritmica to-
talmente avulso dalla pratica strumentale. Lo studente che riesce a compiere i propri studi musica-
li nonostante l’assurdità di questa impostazione metodologica, dimostra di «aver saputo resistere
agli effetti morbosi del metodo, attivando anticorpi, ossia risorse personali di apprendimento.
Mentre chi non ci riesce — indipendentemente dal suo potenziale musicale — cede e abbandona
gli studi».
12
Nel processo di formazione di un musicista è fondamentale la capacità di «pensare i
suoni», ovvero di crearsi un’immagine mentale della notazione musicale, prima ancora di ripro-
durla meccanicamente sullo strumento. In altre parole, il processo di apprendimento della nota-
zione dovrebbe avvenire «dal suono al simbolo, non dal simbolo al suono».
13
11 DELFRA TI, Carlo, op. cit., pp. 97-98.
12 DELFRA TI, Carlo, ibidem, p. 94.
13 MAINW ARING, James, Psychological Factors in the T eaching of Music, citato da MCPHERSON, Gary. E. e EVANS,
Paul, op. cit., p. 18.
6