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I
Il conflitto ambientale
1.1 Definire il conflitto ambientale, storia ed ecologia
Le contrapposizioni tra soggetti sono da sempre presenti nella società
umana. Da quando gli esseri umani hanno iniziato ad organizzarsi tra di loro
divenendo sedentari e sfruttando in maniera sistematica la natura, i conflitti
aventi per oggetto l'ecosistema si sono moltiplicati. Il modellamento
dell'ambiente e l'uso intensivo delle sue risorse hanno contrapposto diversi
gruppi nelle diverse epoche storiche. Dalle lotte per lo sfruttamento delle
acque navigabili alle guerre per i giacimenti minerari o petroliferi, dalla
deforestazione all'inquinamento idrico, sono solo alcuni esempi che
dimostrano in maniera lampante come le tensioni legate all'ambiente non si
siano sviluppate solo in tempi recenti.
In questa prima parte si cercherà di definire il concetto di conflitto, per poi
passare all'inquadramento di che cosa si intenda con il termine conflitto
ambientale. Per meglio delineare l'argomento, bisogna partire dalla base: la
definizione di conflitto.
Le scienze sociali hanno da sempre preso parte a questo lavoro di analisi, in
particolare la sociologia con le sue diverse correnti di pensiero. La scuola
funzionalista in particolare, rappresentata da autori come Talcott Parsons,
intende il conflitto sociale come una perturbazione, una condizione da
riparare. La società si trova in uno stato di equilibrio omeostatico, un
qualsiasi mutamento di questo ordine porterà il sistema a cercare di
riequilibrarsi. Inteso come un'anomalia da risolvere a tutti i costi, il conflitto
viene dunque ad inserirsi all'interno di una concettualizzazione statica ed
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immutabile della condizione sociale. Il disturbo non porterà infatti né ad
un'evoluzione né ad un'involuzione della situazione precedente, semmai a
momenti di agitazione che saranno eliminati.
Successive alle teorizzazioni di Parsons, sono le analisi di Nicklas
Luhmann; il sociologo tedesco pur rimanendo fedele al pensiero
funzionalista, rielabora parte delle posizioni di Parsons. Luhmann vede
nell'eccessiva semplicità e linearità delle spiegazioni parsonsiane il difetto di
quelle teorie; egli sostiene che i conflitti sono una interazione di più cause
che producono molteplici effetti. Risulta pertanto molto difficile risolvere
un conflitto cercando di riparare il difetto, per fare tornare il sistema al suo
equilibrio originale. Luhmann considera la società estremamente complessa
e capace di modificare l'ambiente (inteso in questo caso come rete di
relazioni e azioni tra i vari soggetti), a tal punto da portarlo ad un nuovo
equilibrio, spostandolo dalla situazione antecedente il conflitto. I sistemi,
sono creati dagli esseri umani per: “cogliere e ridurre la complessità del
mondo”
1
. Proprio perché semplificazione di un'entità estremamente
complessa, il mutamento al loro interno è inevitabile ed il conflitto è il
prodotto nonché spesso il motore di queste dinamiche. Si ha in questo punto
una radicale differenza rispetto alle precedenti posizioni di Parsons.
Inserendo la dinamica conflittuale così identificata all'interno del dibattito
sui conflitti ambientali, si può notare una complessità ancora maggiore;
infatti i comportamenti umani, legati e modellati da una serie estremamente
variegata di fattori, come l'educazione, la politica e le norme che questa
produce, interagiscono in maniera altrettanto complessa e imprevedibile con
un elemento di per se in continuo mutamento: la natura. Come sostiene
Luhmann non ci sarà un modo unico di risolvere i conflitti e non è
assolutamente detto che tali conflitti vadano visti come un'anomalia da
1
N. LUHMANN, Illuminismo sociologico, Il Saggiatore, Milano 1983, pag. 14
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riparare o che non servano per portare il sistema ad un nuovo equilibrio,
magari migliore.
Si cercherà ora di integrare la visione sociologica dei conflitti, con un'analisi
dell'evoluzione del pensiero ecologista. Dalle origini del movimento
storiografico sulla natura agli anni settanta, con la crescente consapevolezza
della società riguardo alla condizione dell'ambiente.
A fine '800 inizio '900, negli Stati Uniti, iniziò a diffondersi la storiografia
sulla frontiera e sull'espansione verso Ovest. L'autore Frederick Jackson
Turner osserva a natura americana e reinterpreta la “frontiera”, questa
diviene così non più solamente una linea da spostare sempre più verso
Ovest, ma dà la possibilità di scoprire un ambiente vario e con il quale si
può e si deve interagire in modi ogni volta diversi.
In Europa, agli inizi del '900 invece, è molto rilevante l'approccio francese,
segnato dalla nascita degli Annales
2.
. Questo movimento di analisi
dell'ambiente naturale trova i suoi fondamenti nella storia agricola ed
economica francese. Lo sfruttamento della natura diviene così il nucleo del
rapporto tra uomo e ambiente.
Facendo un salto temporale notevole si arriva agli anni '70 definibile: “uno
spartiacque importante”
3
. Questo periodo porta con se molti avvenimenti di
rilievo per le relazioni tra uomo e natura. La prima giornata mondiale della
Terra nel 1970, la conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente del 1972 e
poi la grande crisi petrolifera del 1973, mettono l'umanità di fronte
all'evidenza che l'ambiente naturale e le sue risorse, non solo non sono
2
La rivista Les Annales che dal 1929 con Mar c Bloch e Lucien Febvre, si propone di
fondere l'analisi della storia insieme ad altre discipline come la geografia o le scienze
sociali, risulta un punto di partenza fondamentale nel percorso che porterà in tempi
successivi ad una consapevolezza maggiore nei confronti della natura stessa e dei
rapporti tra l'uomo ed essa.
3
M. ARMIERO S. BARCA, Storia dell'Ambiente, Carrocci, Roma 2008, p. 23.
10
infinite, ma vanno preservate poiché si stanno inevitabilmente esaurendo;
questo a causa dello sfruttamento senza controllo che subiscono da secoli.
La nuova consapevolezza della società, rispetto ai temi ambientali, si
concretizza anche nella produzione letteraria di studiosi come Barry
Commoner
4
e le sue quattro leggi informali dell'ecologia, pubblicate nel
1971:
Ogni cosa è connessa con qualsiasi altra: tramite sistemi di
retroazione.
Ogni cosa deve finire da qualche parte: tutto entra a far parte della
catena materia-energia.
La natura è l'unica a sapere il fatto suo: nonostante gli avanzamenti
tecnologici, anzi a causa spesso di questi, si producono materie non
biodegradabili. Diversamente da ciò che avviene con i prodotti della
natura, organicamente riassimilabili dall'ambiente stesso.
Non si distribuiscono pasti gratuiti: ovvero il continuo sfruttamento
economico della natura va in qualche modo compensato, poiché si
rischia di esaurire la maggior parte delle risorse del Pianeta, con un
costo per la vita stessa estremamente alto.
Questo schema mostra come qualsiasi azione, fatta dall'uomo nei confronti
della natura, produca una reazione inevitabile; il pensiero del biologo
americano riflette indubbiamente il momento di incertezza e pessimismo
che l'umanità stava attraversando negli anni '70. Il percorso storico del
4
Il biologo Barry Commoner, che viene principalmente ricordato per il fondamentale
apporto dato al pensiero ecologista, anche per il suo marcato attivismo, che lo portò nel
1979 a fondare il Citizens Party, un partito con una fronte impronta ecologista, con il
quale Commoner si presentò come candidato alle Presidenziali del 1980 raggiungendo
lo 0,27% delle preferenze.
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movimento ecologista porta alla riflessione sulla vera entità dei problemi
ambientali, infatti: “[...] a lungo si è pensato si trattasse di questioni della
contemporaneità, da ricondurre al massimo alle origini
dell'industrializzazione […] sono esistiti problemi ecologici differenti a
seconda delle epoche, ed è scontato che alcuni di essi siano iniziati solo con
l'età contemporanea; […] nell'età contemporanea i problemi ambientali
abbiano subito un cambiamento in termini di scala: la desertificazione, il
disboscamento, l'inquinamento sono sempre esistiti, a cambiare è stata
l'intensità e l'ampiezza dei fenomeni”
5
. Per quanto le problematiche
ambientali siano una costante nella relazione uomo-ambiente, negli ultimi
secoli hanno subito una diversificazione ed una crescita. L'apporto della
globalizzazione a questo processo è indiscutibile e si riflette ad esempio nel
modo di dire: think globally act locally
6
, questo dovrebbe diventare la lente
con cui osservare le questioni ambientali, poiché ciò che si produce a livello
micro può essere proiettato a livello macro, e così meglio compreso.
Nonostante l'interdipendenza tra gli stati abbia raggiunto livelli mai visti in
passato, tematiche come quelle della sicurezza ambientale, vengono
prevalentemente affrontate a livello nazionale anziché con politiche nate
dalla collaborazione tra i membri della comunità internazionale. A questo
riguardo è inoltre necessario precisare che la definizione di globalizzazione
contrappone ormai da diversi decenni opposte scuole di pensiero. Chi
sostiene che il processo di globalizzazione sia positivo e chi invece lo
avversa. Anche nel campo giuridico si ha questa contrapposizione: i
5
M. ARMIERO e S. BARCA, op. cit. , Carrocci, Roma 2008 p. 29.
6
La frase deriverebbe dal lavoro dell’urbanista scozzese Patrick Geddes Cities and
Towns:” " Local character" is thus no mere accidental old-world quaintness, as its mimics
think and say. It is attained only in course of adequate grasp and treatment of the whole
environment, and in active sympathy with the essential and characteristic life of the place
concerned. P. GEDDES, City planning London: Williams 1915 p.397. Il concetto qui
espresso è stato poi successivamente adattato e trasformato nella forma corrente think
globally act locally.
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sostenitori del cosiddetto globalismo giuridico, tra i quali si ricordano R.
Faik, N. Bobbio e J. Habermas, hanno però specificato che questo processo
oltre a prevedere uno o più organismi mondiali (come ad esempio un
parlamento), superiori a quelli nazionali, sarebbe stato subordinato
inequivocabilmente ad un processo di omologazione delle differenze
politiche e culturali, nonché all’unità morale dell’umanità
7
. I critici del
globalismo giuridico tra i quali Boaventura de Sousa Santos e John
Griffiths, sostengono che i modelli giuridici occidentali forti tendano a
scontrarsi duramente con le tradizioni autoctone, dando vita a movimenti
difficilmente assimilabili ed omologabili dal sistema della globalizzazione,
come ad esempio quello dei Sem terra in Brasile
8
. La difficoltà che gli Stati
hanno nel delegare il potere decisionale riguardo determinati argomenti,
come ad esempio la gestione dell’ambiente, è del tutto naturale. Un
passaggio di competenze ad un organismo superiore poi non garantirebbe
ipso facto un miglioramento nella gestione delle relazioni uomo-ambiente e
la riduzione dei conflitti ambientali; un’eccessiva omologazione
rischierebbe anzi di eliminare quelle differenze strutturali e costruttive, che
sono alla base del processo di contaminazione tra modelli di sviluppo
differenti tra loro, che spesso spinge però al miglioramento.
7
D. ZOLO, Globalizzazione, una mappa dei problemi, Editori Laterza, Bari 2004 pag. 101
8
D. ZOLO, op. cit., Editori Laterza, Bari 2004 pag. 104
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1.2 Conflitti ambientali, conflitti totali
Il conflitto ambientale, si sviluppa ed ha per oggetto la natura; questa è
dovunque
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intorno a noi ed interessa ogni aspetto della nostra vita, rendendo
dunque ogni disputa che la veda come oggetto del contendere un conflitto
totale. Ad esempio la reazione a catena che segue l'inquinamento di un
fiume, non porterà danni solo all'interno dell'ecosistema presente nel corso
d'acqua, ma anche alle colture irrigate con quell’acqua; questo porterà in
ultima istanza a minacciare la salute stessa dell'uomo.
Proprio per la delicatezza degli ecosistemi e della dipendenza della vita sul
Pianeta dalla natura, si è cercato di tutelare l'ambiente con delle normative
adeguate. In particolare si possono isolare due approcci giuridici nei
confronti dell'ambiente. Una prima concezione della natura, la intende come
entità da proteggere, destinataria di norme di diritto positivo che vanno poi a
formare ciò che Faggi e Turco definiscono diritto dell'ambiente ( riserve
naturali, leggi contro la deforestazione o contro l'inquinamento delle acque
etc.). A questa prima visione si contrappone un approccio di grado
superiore, che ha trovato uno sviluppo decisivo in tempi più recenti: la
natura infatti “[...] entra nella grande famiglia dei diritti umani. […] accanto
al diritto allo sviluppo e al diritto alla pace”
10
. Si tratta di una serie di norme
sempre più spesso adottate nei vari paesi e talvolta , come nel caso delle
direttive UE, gerarchicamente superiori a quelle statali.
9
P. FAGGI A. TURCO, Conflitti Ambientali Genesi, Sviluppo, Gestione, Unicopli, Milano
2001 pag. 11
10
P. FAGGI A. TURCO, op. cit., Unicopli, Milano 2001 pag. 23