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CAPITOLO I
LA MISURAZIONE DELLA SPECIALIZZAZIONE.
IL CASO ITALIANO
1.1. Introduzione
Questo capitolo ha una duplice finalità: dare brevemente conto di alcuni degli strumenti
utilizzati per misurare la specializzazione di un Paese che intrattiene relazioni
commerciali con l’estero e definire il posizionamento attuale dell’Italia nel contesto
globale, esponendo le ragioni di chi la descrive come in una posizione privilegiata e di
chi invece sostiene che vi sia un rischio concreto di crisi per il nostro modello di
sviluppo, se non si decide di cambiare strada. L’Italia è un caso controverso e
interessante dacché, pur essendo a pieno titolo annoverata tra i Paesi più industrializzati
del mondo, mantiene nel tempo abilità produttive in settori tradizionali che si servono
principalmente di lavoro non qualificato e che sono di solito caratteristici di Paesi
arretrati o nelle prime fasi del loro sviluppo. Vedremo però, nel paragrafo 4, che è
fondamentale caratterizzare le produzioni di un Paese con il livello qualitativo che
incorporano, per poterle confrontare con quelle di altri Paesi e verificare quindi se vi sia
competizione. E’ questo lo scopo dell’analisi del modello di specializzazione italiano.
1.2. Che cos’è un modello di specializzazione
Se una nazione non intrattiene rapporti commerciali con l’estero essa deve ovviamente
provvedere da sé alla produzione di tutti i beni necessari. E’ noto, tuttavia, che oggi i
Paesi sono partecipi di una rete mondiale di scambi di beni, per cui essi possono
sfruttare i vantaggi comparati che detengono in alcuni settori e concentrarsi
principalmente nelle produzioni che riescono ad eseguire meglio di altri. Questo
permette loro di creare beni appetibili per il resto del mondo, che saranno prodotti in
4
eccesso rispetto al fabbisogno interno. Sui mercati internazionali questo surplus sarà
indirizzato ad altri Paesi, che ricambieranno fornendo prodotti in cui la nazione non è
specializzata e che produce in misura inferiore ai bisogni interni.
I vantaggi che una nazione detiene in un dato settore possono essere di varia natura e,
come vedremo, danno origine a diversi tipi di commercio internazionale. Abbiamo
vantaggi derivanti dalla quantità di fattori produttivi disponibili, dalla qualità dei fattori
(tecnologia avanzata o primitiva, capitale umano più o meno istruito), dallo
sfruttamento di economie di scala, dalla differenziazione del prodotto…
La nazione, in definitiva, raggiunge performance migliori in alcuni settori produttivi
piuttosto che in altri. A tal proposito si parla di modello di specializzazione di una
nazione. Esso consiste in una rappresentazione sintetica delle caratteristiche e delle
performance commerciali con l’estero di una nazione in tutti i settori produttivi e
consente di valutare rapidamente i punti di forza e di debolezza del paese. Permette
inoltre di fare confronti con altri modelli per stabilire similarità e differenze tra paesi. In
esso non sono riportati, se non raramente, dati grezzi, che sarebbero difficilmente
interpretabili, ma elaborazioni fatte servendosi di indici di vario genere, che talvolta
sono costruiti appositamente per correggere i difetti di un indice presentato in
precedenza. La suddivisione dell’attività economica in settori può essere effettuata per
diversi gradi di disaggregazione. Nella letteratura esaminata si procede frequentemente
a dividere l’economia in pochi macro-settori
1
. In particolare abbiamo un primo tipo di
modello con tre macro-settori definiti sulla base delle intensità fattoriali: prodotti
intensivi in lavoro non qualificato, prodotti intensivi in alta tecnologia, prodotti intensivi
in capitale umano, vicino alla logica di Heckscher-Ohlin, secondo cui la dotazione di
fattori produttivi determina la specializzazione di un Paese; e un secondo tipo di
modello con quattro macro-settori, proposto da Pavitt
2
: settori tradizionali (tessile -
abbigliamento, pelli-cuoio, calzature, ceramica, vetro, mobili, strumenti musicali,
giocattoli…), settori “scale intensive” (chimica, autoveicoli, derivati del petrolio…),
caratterizzati da produzioni standardizzate e da alti volumi di produzione, settori
“specialized suppliers” (meccanica strumentale: apparecchi elettrici, elettrodomestici,
macchine per l’industria…), caratterizzati da produzioni prevalentemente di beni
1
Si vedano ad esempio Amighini-Chiarlone (2003), Chiarlone-Helg (2002), Epifani (1999), Guerrieri-
Milana (1990).
2
Si veda Pavitt(1984).
5
strumentali e intermedi a bassi volumi e molto differenziate, volte a soddisfare esigenze
specifiche degli utilizzatori, settori “science based” (telecomunicazioni, meccanica di
precisione, componentistica elettronica…), in cui hanno un ruolo cruciale la ricerca e
l’innovazione. Le industrie vengono qui suddivise, in modo più raffinato, in relazione
ai modi e alle forme con cui le imprese che ne fanno parte acquisiscono e sviluppano la
tecnologia. Si mette in risalto che la capacità tecnologica delle imprese non è legata
solamente alle spese in ricerca e sviluppo, ma anche alle diverse tipologie di attività
poste in essere.
Il mantenimento, come in questi casi, di un alto livello di aggregazione permette di
fornire un quadro sintetico del modello di specializzazione. Il prezzo da pagare è che
all’interno di aggregati così vasti si possono verificare forti variazioni di
specializzazione di singoli settori che non sono colte dall’indice. Inoltre risulta difficile
ed arbitrario assegnare alcuni settori, che hanno caratteristiche non univoche, proprie di
diversi gruppi, ad una particolare classe. Per questo sarà utile in questo lavoro
sviluppare un’analisi parallela per i singoli settori che compongono il macro-settore, in
modo da rendersi conto di eventuali distorsioni dell’indice aggregato dovute a forte
eterogeneità delle sue componenti e per capire in quali particolari ambiti un paese è
effettivamente specializzato. L’analisi per settori semplici, da sola, non sarebbe tuttavia
sufficiente perché non permette di comprendere facilmente quali sono i grandi vantaggi
(e svantaggi) comparati di una nazione, che poi vengono sfruttati nei vari settori.
1.2.1. Indici per la misurazione della specializzazione
Il problema che gli studiosi si sono da tempo posti, come prima accennato, è di trovare
degli indici significativi e delle modalità di misurazione delle grandezze che diano conto
del posizionamento di un paese nel quadro dei rapporti commerciali internazionali,
anche alla luce dell’evoluzione che la teoria del commercio internazionale ha avuto
negli ultimi anni. Lasciando ad altri il compito di un’elencazione esauriente degli
svariati metodi presentati in letteratura, esaminiamo brevemente gli indici che saranno
utilizzati in questo lavoro.
Una prima idea per individuare i settori di specializzazione di un paese è di esaminarne
le esportazioni e identificare quali sono i prodotti maggiormente venduti all’estero,
6
secondo alcuni criteri. Si può ad esempio verificare qual è il peso delle esportazioni di
un prodotto sul totale delle esportazioni del paese oppure sul complesso del commercio
internazionale di quel prodotto. Uno strumento datato ma ancora molto usato è l’indice
di Balassa o dei vantaggi comparati rivelati:
(1)
) / (
) / (
mt mj
it ij
X X
X X
dove i è l’iesimo paese, m è il mondo, j è il prodotto, t è il totale dei prodotti, X significa
esportazioni
3
.
Si assume che il paese sia specializzato in un prodotto j se l’indice è maggiore di 1, cioè
se la quota delle esportazioni del paese iesimo del prodotto j sul totale delle esportazioni
del paese iesimo è maggiore della quota delle esportazioni mondiali di quel prodotto sul
totale delle esportazioni mondiali
4
. Questo indice bene si adatta ad essere calcolato per
diversi gradi di aggregazione settoriale.
Un altro indice, meno usato, è il saldo normalizzato, definito come:
(2)
) (exp
) (exp
import ort
import ort
+
-
.
Se questo indice è positivo il paese esporta in un certo settore più di quanto importa e
dunque si suppone sia specializzato, se è negativo le esportazioni nette sono inferiori a
zero quindi c’è de-specializzazione.
Una volta applicati questi indici ai vari settori produttivi, uno strumento usatissimo per
confrontare la correlazione e la somiglianza tra i modelli di specializzazione di due
paesi è il coefficiente di correlazione di rango di Spearman, definito come:
(3) r
jk
= 1-
) 1 (
) ( 6
2
2
-
-
N N
r r
i
ik ij
3
Si riporta la versione di Monti (2003), pp. 6.
4
Le esportazioni possono essere una buona misura del livello di specializzazione perché riuscire a
vendere all’estero battendo per prezzo o qualità i concorrenti è sintomo di competitività. La concorrenza
internazionale deve spesso essere fronteggiata, comunque, anche da chi vende sul proprio mercato
interno.
7
dove j e k sono due nazioni, i è un settore produttivo, N è il numero totale dei settori, r
ij
è il rango assegnato al settore i della nazione j in uno specifico anno sulla base, ad
esempio, dei valori trovati per l’indice di Balassa
5
.
1.3. L’anomalia italiana
Applichiamo ora l’indice di Balassa e l’indice di saldo normalizzato all’Italia,
utilizzando prima il modello à la Heckscher-Ohlin e poi quello à la Pavitt.
Tabella 1. Il modello di specializzazione italiano (anni 1980 e 1997).
Italia 1980 1997
Lavoro non qualificato 2.62 2.01
Capitale umano 1.40 1.20
Alta tecnologia 1.24 0.92
Fonte: Chiarlone e Helg (2002).
Tabella 2. Saldo normalizzato dell'Italia nei quattro aggregati alla Pavitt (dati del 1994).
Settori Tradizionali Scale intensive Specialized
suppliers
Science based
Saldo
normalizzato
0.479
-0.021
0.415
-0.019
Fonte: Epifani (1998).
La tabella 1 mostra che l’Italia risulta chiaramente specializzata nel primo comparto,
mentre il valore per gli altri due settori è vicino a 1. Notiamo inoltre che nel tempo la
specializzazione italiana sta diminuendo in tutti e tre questi macro-settori, rimanendo
comunque concentrata in particolare nel primo
6
. A un maggior livello di
disaggregazione settoriale, si può verificare che in tutti i macro-settori in Italia vi sono
nicchie di produzioni ad elevata capacità di penetrazione commerciale
7
.
La tabella 2 conferma la forza dell’Italia nei settori tradizionali e aggiunge che gli
5
Si riporta la versione di De Benedictis-Tajoli (2003).
6
Risultati simili si trovano in Amighini-Chiarlone(2003).
7
Si veda Chiarlone e Helg(2002), appendice B, tabella B5.
8
italiani sono abili nel settore “specialized suppliers”, in particolare macchine industriali.
Un aspetto da sottolineare è che mentre nel settore “science based” l’Italia non ha mai
fatto registrare risultati accettabili, nel settore “scale intensive” vi è stato un
preoccupante passaggio da una buona posizione competitiva, fino alla fine degli anni
’70, ad un’elevata de-specializzazione e a forti disavanzi commerciali negli anni
successivi, principalmente a causa del crollo dei settori dei derivati del petrolio e degli
autoveicoli
8
. Questo è molto grave se consideriamo che il comparto “scale intensive”
rappresenta da solo più del 40% delle esportazioni manifatturiere mondiali, e, in
particolare, chimica e autoveicoli più del 20%
9
. Una presenza debole in questi settori
non può che portare a ripercussioni ampiamente negative sulla bilancia commerciale di
un paese.
Coerente con quanto affermato è il risultato dell’indagine sulle importazioni del resto
del mondo dall’Italia, presentato in tabella 3. L’Italia vede crollare le sue quote di
mercato tra il 1991 e il 2001.
Tabella 3. Quote delle importazioni dall'Italia sul totale delle importazioni dei paesi OCSE dal
mondo (anni 1991 e 2001).
Quota di importazioni dall’Italia 1991 2001
Intensivi in lavoro non qualificato 10.9% 7%
Intensivi in capitale umano 5.3% 4.2%
Intensivi in tecnologia 4.9% 3.4%
Fonte: Amighini-Chiarlone(2003).
Come possiamo spiegare questi dati così preoccupanti per il futuro dell’Italia? Quali
sono i grandi cambiamenti a livello di commercio mondiale che sottostanno a questi
risultati?
I paesi avanzati sono le sedi in cui sono maggiormente stimolate e favorite le
innovazioni tecnologiche che portano progresso. In essi vi sono i fondi per la ricerca, il
capitale più avanzato, un livello di istruzione più elevato, un ambiente culturale
stimolante…Per questo nella normalità dei casi i paesi del “Primo Mondo” sono
8
Guerrieri-Milana (1990), pp. 137.
9
Guerrieri-Milana (1990), pp. 140.
9
imbattibili nei prodotti ad alta tecnologia e/o ad alta intensità di capitale umano. Di
solito, per i nuovi prodotti high-tech c’è un buon livello di domanda internazionale da
soddisfare, cosa che è meno probabile avvenga per i prodotti cosiddetti “maturi”, che
sono abbondantemente offerti ma di cui ormai il mercato è saturo. Secondo la teoria del
ciclo di vita del prodotto, una volta che l’innovazione tecnologica si sarà diffusa, e
dunque la differenziazione iniziale di molto ridotta, la produzione si sposterà
gradualmente dai paesi avanzati verso i paesi in via di sviluppo, che possono sfruttare i
loro ridotti costi di produzione in modo tale che si renda più conveniente produrre
presso di essi
10
.
L’Italia è caratterizzata da un modello di specializzazione anomalo per un paese
industrializzato: è l’unica grande economia industriale che è rimasta specializzata in
così larga misura nei settori tradizionali (tessile, mobili e arredamento, abbigliamento,
calzature, macchine agricole e industriali, ceramica e vetro…) ad alta intensità di lavoro
non qualificato
11
. L’Italia inoltre dipende in larga misura dall’estero per
l’approvvigionamento di energia, di materie prime e di prodotti agro-alimentari
12
.
I settori ad elevata intensità di ricerca e sviluppo sono importantissimi non tanto per
l’alto contenuto tecnologico dei prodotti, quanto per il fatto che le innovazioni che in
essi si sviluppano si diffondono poi in tutti gli altri comparti, dato che i prodotti di tali
settori entrano spesso come input in moltissimi altri processi produttivi, elevando la
competitività di tutto il sistema-paese
13
. In questo campo il sistema italiano appare
debole, con una ridotta presenza di imprese in vari comparti e una posizione
commerciale in declino caratterizzata da una bilancia commerciale in deficit continuo
(risultato assolutamente anomalo per un paese industrializzato)
14
. L’Italia dipende
dall’estero per quanto riguarda l’acquisto di input intermedi ad alto contenuto
tecnologico mentre presenta una capacità produttiva e di esportazione che è
sottodimensionata rispetto a quella dei principali paesi industrializzati e sempre meno
adeguata a coprire il crescente fabbisogno tecnologico
15
. Questo è grave in questa fase
10
Questa teoria è riportata in tutti i testi di economia internazionale. Si veda ad esempio Markusen-
Melvin- Kaempfer- Maskus (1995).
11
ICE (1988), pp. 186.
12
ICE (1988), pp. 143; Guerrieri-Milana (1990), pp.104.
13
Guerrieri-Milana (1990), pp. 166; ICE (1988), pp. 190.
14
Guerrieri-Milana (1990), pp. 144.
15
Guerrieri-Milana (1990), pp. 145.