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1. LA TUTELA DEI CONSUMATORI – Parte
generale
1.1 Cenni sullo sviluppo della normativa. – 1.2 Ordinamento
processuale e tutela collettiva. – 1.3 Il codice del consumo e i diritti dei
consumatori. – 1.4 L’accesso alla giustizia. – 1.5 Le azioni inibitorie. –
1.6 L’azione collettiva risarcitoria. – 1.7 Strumenti alternativi di tutela. –
1.8 L'azione di classe verso la pubblica amministrazione.
1.1 Cenni sullo sviluppo della normativa.
La necessità di inserire una panoramica storica sullo sviluppo
della normativa oggetto di questa trattazione, rende più agevole
comprendere gli sviluppi della materia.
L’ordinamento italiano, adeguandosi alla normativa europea, ha
recepito la tutela dei diritti dei consumatori nel Decreto legislativo n. 206
del 2005, indicato come “Codice del consumo”. All’interno di questo
decreto sono state raccolte e disciplinate, in maniera organica, tutte le
norme che riguardano il settore del consumo.
Nelle società economicamente più avanzate, le imprese o gli enti
di monopolio, spesso, mettono in atto comportamenti che possono
danneggiare una moltitudine di soggetti.
Il danno cagionato da un prodotto difettoso o nocivo, fino a
qualche anno fa restava totalmente a carico dell’ultimo anello della
catena di distribuzione, cioè il consumatore. Costui, in effetti, pur
potendo agire in fase di regressione, nei confronti del venditore, in base
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alle norme del c.c., art. 1469, era di fatto limitato nella sua azione dagli
eccessivi costi di giustizia da affrontare per ottenere un risarcimento, in
rapporto al valore del prodotto.
L’introduzione dell’art. 1469 sexies nel c.c., ha aperto la strada
ad un modo nuovo di tutelare gli utenti finali, ponendo in atto la
possibilità di ricorrere ad un’azione inibitoria, nei confronti di
professionisti.
Quindi la necessità di garantire l’accesso ad un’azione collettiva
risarcitoria, d’ispirazione statunitense, e l’intento di avviare un’economia
processuale per le richieste di danni individuali di esiguo risarcimento,
ha portato all’adozione nell’art. 2, commi da 445 a 449, della legge
finanziaria per il 2008, n. 244/2007, un nuovo strumento di tutela
collettiva.
L’applicazione ha però subito diversi rinvii, fino alla stesura
definitiva dell’art. 140 bis del Codice di consumo con la Legge 23 luglio
2009 n. 99, che ha modificato la precedente versione.
Questa nuova forma di azione collettiva è, nell’ambito
dell’ordinamento italiano, una grossa novità per quanto riguarda la sua
configurazione giuridica. L’aspetto della tutela degli interessi diffusi
trova la sua genesi già sotto la vigenza del codice di procedura civile
del 1865. Non a caso nel codice di commercio del 1882, fa la sua
comparsa l’idea di consumatore, ripreso poi nel codice civile del 1942,
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dove si obbliga il monopolista a contrarre con chiunque
1
.
Da segnalare anche le leggi speciali che riconoscevano ad
alcune associazioni di categoria la possibilità di costituirsi parte civile
nei procedimenti penali per reati che avevano generato una
plurioffensività, ancor prima dell’emanazione del codice di procedura
penale del 1930.
Ritroviamo inoltre il “riconoscimento della legittimazione ad agire
in giudizio a soggetti non titolari del diritto dedotto” in alcuni articoli del
codice civile del 1942
2
.
Lo Statuto dei lavoratori, Legge 20 maggio 1970 n. 300, segna
un passo importante in questa direzione, legittimando le associazioni
sindacali ad agire in difesa dei diritti di singoli dipendenti, nel caso di
condotta antisindacale degli imprenditori. Sempre nell’ambito della
repressione di comportamenti datoriali sulla discriminazione tra uomo e
donna la Legge 9 dicembre 1977 n. 903, riconosce diritto di intervento
alle associazioni sindacali, in vece dei lavoratori
3
. Anche sul piano dei
ricorsi amministrativi, con la Legge 8 luglio 1986 n. 349, si riconosce
potere d’intervento alle associazioni ambientaliste.
La spinta maggiore a difesa dei consumatori, viene, però, dalla
1
Citazione riportata da Guido Alpa in “Introduzione al diritto dei consumatori”, Laterza
Editori, 2008, pag. 4 di 280.
2
Per approfondimento vedasi F. Bartolini e P. Savarro in “La nuova class action”, Editrice La
Tribuna, 2010, pag. 18 di 251, con riferimento ai seguenti articoli del c.c.: 117 per
l’impugnazione di matrimonio contratto con violenza; 417 sull’istanza di interdizione; 1137
sulle delibere condominiali; 2377-2388-2416-2417 sulla tutela di azionisti e obbligazionisti per
le delibere assembleari delle società per azioni.
3
Vedasi “La nuova azione collettiva risarcitoria” di P. F. Giuggioli, Cedam, 2008, Cap. II, $ 1
pag. 6.
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Comunità Europea, che con la direttiva 93/13/CEE, sulle clausole
abusive nei contratti, vincola l’Italia ad introdurre nel proprio
ordinamento il concetto di azione inibitoria tesa a contrastare l’abuso
dei professionisti nell’utilizzo di clausole vessatorie nelle condizioni
generali di contratti destinati ai consumatori, recepito dall’Italia con l’art.
1469 sexies del codice civile. La norma, ora inglobata nel codice di
consumo, prevedeva che le associazioni dei consumatori e dei
professionisti, potessero agire in giudizio per impedire l’utilizzo di
condizioni contrattuali lesive degli interessi delle parti socialmente
deboli.
In seguito, il legislatore italiano, con l’emanazione delle leggi 30
luglio 1998 n. 281 e 1 marzo 2002 n. 39, ha ulteriormente ampliato la
portata della norma sull’azione inibitoria, prevedendo l’adozione di
misure che pongano rimedio a violazioni quali la pubblicazione sui
giornali del provvedimento e il pagamento di una somma di denaro in
caso d’inadempimento.
In questo scenario, nel 2004, prende avvio la prima stesura di
un progetto di legge parlamentare a tutela dei consumatori, anche se
inizialmente si limitava a una modifica della Legge 30 luglio 1998 n.
281, introducendo il risarcimento danni e la restituzione di somme ai
singoli in conseguenza di atti illeciti plurioffensivi. La Camera dei
deputati approvava unanimemente, ma al Senato incontrava la prima
bocciatura. Durante la successiva legislatura sono proposti vari disegni
di legge sull’introduzione, nel sistema giuridico italiano, dell’azione
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collettiva risarcitoria a tutela dei consumatori, con la previsione di un
nuovo articolo da inserire nel testo del Codice del consumo, promulgato
con il decreto legislativo 6 settembre 2005 n. 206, a norma dell’articolo
7 della Legge 29 luglio 2003 n. 229.
Le diverse opposizioni sollevate dalle associazioni degli
investitori per la mancata previsione di una loro legittimazione attiva, da
una parte, e l’assenza di un possibile intervento diretto del cittadino alla
class action, dall’altro, determinano un ripensamento da parte del
Governo nel procedere in questo senso.
Infatti, la contrapposizione sul tema dell’azione collettiva, vedeva
due diverse linee di pensiero all’interno del Parlamento. La proposta
governativa prevedeva l’aggiunta di un articolo unico con legittimazione
ad agire solo alle associazioni riconosciute. I deputati dell’opposizione
protendevano, invece, per una disciplina autonoma che permettesse a
chiunque, associazioni comprese, di avviare l’azione collettiva.
Sul piano del risarcimento le divergenze si incentravano sulle
modalità prospettate per i rimborsi: attraverso una seconda azione
legale da una parte, in maniera automatica secondo l’opinione
concorrente.
In definitiva, con la votazione della legge finanziaria per il 2008,
viene anche approvata l’azione collettiva risarcitoria a tutela dei
consumatori con l’introduzione dell’art. 140 bis nel Codice del
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Consumo
4
. La nuova disciplina è stata oggetto di modifiche e rinvii, fino
alla stesura definitiva della Legge 23 luglio 2009 n. 99
5
, che ha
disciplinato l’entrata in vigore dal 1° gennaio 2010, titolando l’articolo
140 bis “Azione di classe”, in similitudine alla class action statunitense.
Questo tipo di tutela collettiva non rappresenta, nel panorama
giuridico italiano, l’unica forma di azione esperibile a difesa d’interessi
relativi ad una pluralità di soggetti, ma, ovviamente, sopravvivono altri
strumenti che parallelamente, con procedure diverse, consentono di
tutelare i diritti dei consumatori.
Nella stessa è divenuta operativa anche la class action nel
settore pubblico, con l’approvazione del Decreto Legislativo 20
dicembre 2009, n. 198, con l’obiettivo di migliorare l’efficienza della
pubblica amministrazione.
1.2 Ordinamento processuale e tutela collettiva.
I costi e la lentezza della giustizia, spesso costituiscono un
deterrente per chi vuole tutelare i propri diritti, specialmente quando il
valore della controversia è di modesta entità e la controparte ha una
4
Questa prima versione dell’art. 140 bis era titolato “Azione collettiva risarcitoria” con alcune
disposizioni poi modificate. Riconosceva, ad es., la legittimazione ad agire in capo solo alle
associazioni; consentiva l’adesione all’azione, fino all’udienza di precisazione delle
conclusioni del giudizio di appello; prevedeva la costituzione di una camera di conciliazione
per la determinazione delle somme da corrispondere, dopo la sentenza.
5
Articolo introdotto dall'art. 2,comma 446 della legge n.244/2007 recante "Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato" (Legge Finanziaria 2008), e
sostituito dall'art. 49, comma 1, della legge 23 luglio 2009, n. 99, recante "Disposizioni per lo
sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese,nonché in materia di energia" (G.U. n. 176
del 13-07-2009 - S.O. n. 136). Ai sensi dell'art. 49,comma 2, della legge 23 luglio 2009, n. 99,
" le disposizioni del presente articolo si applicano agli illeciti compiuti successivamente alla
data di entrata in vigore della presente legge (15 agosto 2009)". Ai sensi dell'art. 23,comma 16
del decreto legge 2009, n. 78, convertito con legge 3 agosto 2009, n. 102 (G.U. n. 179, del 4-
08-2009 - S.O. n. 140), le disposizione del presente articolo sono entrate in vigore dal 1
gennaio 2010.
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posizione economica predominante.
Le azioni collettive, sotto questo profilo, rappresentano un utile
strumento giurisdizionale per far cessare quei comportamenti che sono
dannosi per una generalità d’individui o per eliminarne gli effetti
negativi.
L’articolo 24 della Costituzione statuisce che tutti possono agire
in giudizio per tutelare i propri diritti e interessi legittimi, quindi non
esiste limitazione sul piano operativo, se non quello di proporre l’azione
al giudice competente, secondo quanto chiarisce l’articolo 99 del c.p.c.,
sul principio della domanda
6
.
I presupposti dell’azione collettiva devono trovare il loro ambito di
applicazione all’interno dell’ordinamento processuale, rispettando quei
requisiti essenziali, richiesti per provocare l’esercizio della funzione
giurisdizionale. Partendo da quelli che sono i presupposti processuali,
cioè ammissibilità e procedibilità della domanda, occorre in primis che
la domanda sia formalmente e sostanzialmente valida e sia presentata
a chi ha potestà di giurisdizione, anche se dovesse poi risultare che il
giudice adito non ha competenza in materia. A tal proposito serve
perciò distinguere quando l’azione riveste caratteri di stampo civilistico,
da potersi rivolgere al giudice ordinario dal caso in cui, invece ci si trova
nell’ambito della giurisdizione amministrativa.
La fase di ammissione della domanda, solo nell’azione di classe
6
Art. 99 c.p.c. : “Chi vuole far valere un diritto in giudizio deve proporre domanda al giudice
competente” (2907 e s. c.c).
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risarcitoria, ai sensi del comma 3 dell’art. 140 bis, ha previsto una prima
udienza in cui il tribunale, sentite le parti, emette un’ordinanza. La
valutazione sull’utilità dell’azione tende a tutelare non solo l’interesse
sostanziale di una pluralità di soggetti, ma anche la non
spregiudicatezza dell’azione stessa, che potrebbe recare un danno
ingiusto all’impresa convenuta
7
.
Questa fase di filtro ha la funzione di valutare preventivamente
se sussistono i requisiti di fondatezza della domanda, identità dei diritti
individuali omogenei e tutelabili secondo il disposto del punto 2 dell’art.
140 bis ed infine che il proponente dimostri di essere in grado di curare
adeguatamente gli interessi della classe.
Questa prima udienza preliminare ha teoricamente le stesse
caratteristiche di quella descritta nell’art. 183 del c.p.c., ma se ne
discosta per alcuni aspetti. Le indicazioni procedurali del punto 6
dell’art. 140-bis, risultano di fatto incomplete, come ad esempio l’aver
sottinteso se sia necessaria una comparizione personale delle parti e
per essere caratterizzata dal fatto che l’accesso alla successiva
trattazione del merito è condizionata da una valutazione preventiva,
mentre nel processo di cognizione è prevista già nella prima udienza
8
.
7
F. Bartolini e P. Savarro in “La nuova class action” Casa Editrice La tribuna, 2010, cap. 4.3,
p.95.
8
C. Consolo in “Obiettivo Class Action: l’azione collettiva risarcitoria”, IPSOA ed., Cap. 6, $
6.3, pag. 148.