4
behind the eyes”, costituisce una vera e propria forza propulsiva e creatrice che
permea e attraversa tutta la sua opera. In questo mondo spirituale la scrittrice
esplora le sue possibilità creative e analizza al contempo l’animo dell’individuo,
mettendone a fuoco sogni, desideri, sofferenze.
Pertanto, ciò che emerge dalla conoscenza delle sue vicende esistenziali e
dalla lettura delle sue opere è la presenza costante di un dualismo tra due mondi
contrapposti: “‘this’ world” e “‘that’ world” (così definiti dalla scrittrice stessa), il
mondo reale quotidiano, abitato dagli adulti, dai normali, dai conformisti, e il
mondo privato dell’immaginazione, rifugio di esseri particolarmente sensibili
come i bambini, i pazzi, gli anticonformisti e gli artisti.
La presente tesi ha come obiettivo quello di analizzare alcuni racconti e
romanzi di Janet Frame alla luce del dualismo che è il filo conduttore di tutta la
sua opera. Nel primo capitolo ci si propone di delineare un breve quadro
storico-letterario dello sviluppo del racconto e del romanzo in Nuova Zelanda e di
tracciare un profilo biografico della scrittrice. Nel secondo capitolo ci si
concentrerà sull’analisi di alcuni racconti contenuti in due raccolte intitolate The
Lagoon and Other Stories e The Reservoir and Other Stories. Infine, nel terzo
capitolo si esamineranno i due romanzi Owls Do Cry e A State of Siege.
Lo scopo di questo lavoro è quello di studiare il modo in cui si esplica il
rapporto e la dicotomia tra l’individuo sensibile e la società esterna in base al loro
diverso modo di vedere e di vivere la vita. Si presterà particolare attenzione al
linguaggio con cui si esprimono i vari personaggi e si esaminerà la maniera in cui
l’autrice, esplorando in modo anticonvenzionale la sfera del linguaggio, lo
manipoli per caratterizzare e differenziare il mondo esterno e il mondo psicologico
ed interiore dell’individuo.
Si intende, inoltre, mettere in rilievo gli elementi metaletterari presenti nei
due romanzi e in alcuni dei racconti in questione: essi hanno la caratteristica di
5
vertere su sé stessi, dal momento che la scrittrice ha costantemente inserito nella
sua opera cenni e riflessioni sull’artista e sulla creazione artistica. Ciò dimostra
che il tema di fondo di tutta l’opera di Janet Frame è l’arte, la scrittura. È proprio
nella sfera dell’arte e della metaletterarietà che l’autrice arriva a trascendere e a
riconciliare il dualismo tra i due mondi contrapposti in quanto, pur immergendosi
totalmente in “‘that’ world” dell’arte, non disdegna e non rinnega mai la vita reale
di “‘this’ world”. Da ciò deriva lo stretto rapporto che intercorre tra vita e arte,
visto che le sue opere contengono molti elementi autobiografici. Poiché tra queste
due dimensioni c’è un continuo scambio, si può affermare che la storia della vita
di Janet Frame rappresenta la storia della sua arte, del percorso compiuto verso la
realizzazione di sé stessa come artista, e che la sua arte getta luce sulla storia della
sua vita, perché è lo specchio attraverso cui la vita dell’artista viene sublimata.
6
CAPITOLO I
PANORAMA STORICO-LETTERARIO DEL ROMANZO
E DEL RACCONTO IN NUOVA ZELANDA.
VITA E OPERE DI JANET FRAME
I.1. IL ROMANZO
La letteratura neozelandese è molto giovane, dal momento che ha poco
più di un secolo di vita: i primi scritti degni di rilievo si hanno solo una ventina
di anni dopo il 1841, anno in cui la Nuova Zelanda divenne colonia britannica.
Tra le varie forme letterarie preferite dagli scrittori neozelandesi ci sono il
romanzo e il racconto, che riflettono ed interpretano il modo di vivere della
società in cui fioriscono.
Anche se oggi il romanzo è tra i generi letterari più rilevanti della
letteratura neozelandese, esso si è sviluppato meno rapidamente del racconto ed
ha raggiunto la sua piena maturità solo nel XX secolo. Uno dei motivi può
essere costituito dal fatto che solo in questo secolo la società neozelandese,
originariamente agricola, si è evoluta in una struttura sociale più complessa con
la nascita e la crescita graduale di agglomerati urbani e di città, che diventano il
punto di riferimento dell’analisi che i romanzieri fanno della società. Un altro
dei motivi dello sviluppo del romanzo nel XX secolo è rappresentato
dall’aumento delle relazioni tra la Nuova Zelanda e il resto del mondo,
soprattutto l’Europa, avvenuto nel periodo tra le due guerre, periodo che ha
coinciso con grandi fermenti culturali e letterari.
La prima fase di sviluppo della letteratura neozelandese — fase che è
conosciuta con il nome di “Pioneer” oppure “Early Colonial period” e che va
orientativamente dal 1861 al 1889 — non presenta capolavori, ma solo incerti
ed isolati esempi di romanzi. Questi non sono opera di scrittori professionisti
7
ma di dilettanti e sono tutt’altro che originali, visto che nei temi e nei motivi
rispecchiano ed imitano le convenzioni del romanzo vittoriano importate dalla
madrepatria; infatti, ciò che li caratterizza è una vena didattica, moralistica e
melodrammatica.
L’iniziale mancanza di originalità è la logica conseguenza di una assenza
di identità nazionale e di tradizione letteraria locale: gli scrittori neozelandesi
della prima generazione sono ancora divisi tra due mondi diversi, il vecchio
mondo, con i suoi valori spirituali e la sua cultura ben radicata, e il nuovo
mondo, ancora tutto da scoprire e da possedere. L’assenza di un contesto
culturale locale e di una coscienza nazionale viene a poco a poco superata,
come si può notare nei romanzi scritti dopo il 1890, anno di inizio della
seconda fase chiamata “Late Colonial period”. Le opere della suddetta fase
presentano un carattere locale e nazionale, in quanto si configurano come
resoconti realistici delle esperienze di vita dei colonizzatori. Questa nota di
realismo annuncia il realismo sociale e critico che sarà la caratteristica
dominante del romanzo neozelandese del XX secolo. Ciò che differenzia questi
due tipi di realismo è l’atteggiamento che gli scrittori hanno nei confronti della
società: nei romanzi scritti approssimativamente fino al 1934 c’è, in genere (a
parte qualche caso isolato, soprattutto femminile), un atteggiamento positivo
nei confronti della società, descritta in maniera realistica, ma filtrata attraverso
le convenzioni romantiche e melodrammatiche; nei romanzi successivi, invece,
c’è una visione critica e negativa della realtà.
Dagli anni ‘30 il romanzo neozelandese inizia ad affermarsi come un
genere letterario di una certa importanza. In questa terza fase, che va sotto il
nome di “Provincial period” (1935-1965), si sviluppano nuovi temi, nuovi
modi di espressione e due nuove tradizioni locali distinte e coesistenti, che
sono note con il nome di “critical realism” e “impressionism”. Questa
distinzione tra due diversi metodi di scrittura corrisponde ad un’opposizione tra
una tradizione maschile ed una femminile. Infatti, il “realismo critico”
8
caratterizza per lo più romanzi scritti da uomini, mentre l’impressionismo con
la sua vena introspettivo-psicologica è la nota dominante di una scrittura
tipicamente femminile, che mira, prima di tutto, a contrastare il duro ed
inesorabile realismo maschile. In effetti, fin dalle origini la cultura e la
letteratura neozelandese sono sempre state maschiliste ed hanno sempre
relegato le donne, sia in quanto tali che in quanto scrittrici, ad una posizione di
svantaggio: il loro compito era solo quello di essere delle buone mogli e madri
con poche possibilità di realizzarsi in modo diverso. Quando, perciò, nel
“Provincial period” fiorisce il romanzo realista, questo non soddisfa le donne,
perché rispecchia fedelmente una società in cui esse sono costrette ad occupare
una posizione secondaria e dipendente. Di conseguenza, si oppongono alle
regole tradizionali imposte dagli uomini e vanno alla ricerca di nuove tecniche
e nuovi metodi di scrittura diversi da quelli dominati dai valori maschili e
maschilisti.
Tra i rappresentanti della letteratura realista si possono ricordare Frank
Sargeson (1903-1982), John Mulgan (1911-1945), Robert Chapman (nato nel
1922), Bill Pearson (nato nel 1922), David Ballantyne (1924-1987), Ian Cross
(nato nel 1925). L’intento di questi scrittori, come di molti altri appartenenti
alla stessa corrente, è quello di descrivere senza romanticismi e sentimentalismi
e di criticare in modo severo e crudo la realtà sociale del loro tempo, facendo
solo qualche accenno alla vita privata ed interiore dei loro personaggi. I loro
soggetti sono tratti dalla vita di ogni giorno, di cui vengono analizzati, con un
linguaggio preso dalla realtà quotidiana, tutti gli aspetti negativi, quali il
materialismo, il conformismo, il moralismo puritano di eredità vittoriana e la
gretta mentalità borghese ipocrita ed ostile alle novità. Il “critical realism” si
presenta, perciò, come una letteratura di protesta.
Il personaggio centrale delle opere dei suddetti scrittori è “the isolated
individual, isolated in every sense, who may or may not explode into violent
9
gestures under the distorting weight of a society he does not understand”.
1
Così
questi romanzi si basano sul modello del “Man Alone” — che prende il nome
dal titolo del romanzo di John Mulgan scritto nel 1939 — o anche della
“Woman Alone”, e sul conflitto tra l’individuo anticonformista ed emarginato e
l’ambiente ostile e repressivo che lo circonda. Dietro ciò si nasconde il tema
dell’artista stesso in lotta con la società in cui vive e da cui viene escluso.
Il tema del contrasto tra l’individuo e la società è presente non solo negli
scrittori del realismo critico, ma anche in quelle scrittrici che, pur inserendosi
nel “Provincial period”, rifiutano, come è stato già spiegato, il modo di scrivere
dei loro colleghi, ne respingono la riproduzione oggettiva della realtà esterna e
si fanno portavoci di una tradizione diversa, quella dell’impressionismo e del
realismo psicologico. Tra loro troviamo Janet Frame che nei suoi quattro
romanzi “provinciali”, Owls Do Cry, Faces in the Water, The Edge of the
Alphabet e Scented Gardens for the Blind, rifiuta le convenzioni e gli stereotipi
del realismo sociale e presenta un modo critico di vedere la realtà tipico della
letteratura neozelandese femminile.
Il critico Lawrence Jones, a proposito degli scrittori della tradizione
realista, dice:
...the kind of criticism that Virginia Woolf made of Arnold Bennett and
John Galsworthy might have been made of these writers: that they tended
to sacrifice the uniqueness of individual vision and the intensity of
moments of individual experience to social realism...
2
La tradizione impressionista, quindi, non mette l’accento sul mondo esterno,
ma sulla interiorità e sulla coscienza dell’individuo e, anche se non preclude
un’analisi critica della società, la fa prendendo le mosse non dall’esame degli
1
Robert Chapman, "Fiction and the Social Pattern: Some Implications of Recent New Zealand
Writing", Essays on New Zealand Literature, ed. Wystan Curnow, Auckland, Heinemann,
1973, p. 95.
2
Lawrence Jones, "The Novel", in Terry Sturm ed., The Oxford History of New Zealand
Literature in English, Auckland, OUP, 1991, p. 165.
10
effetti esterni dell’ambiente sull’individuo, ma dall’esame di ciò che questi
effetti producono interiormente. Ciò che viene descritto è quello che accade
dentro la mente dell’individuo, non quello che accade fuori di essa: la sua
coscienza privata, i suoi stati interiori, le sue esperienze intime sono oggetto di
analisi psicologica. Questo interesse per il valore dell’interiorità è visto come il
mezzo più adatto per conoscere l’uomo in modo profondo. Di conseguenza, la
narrazione è portata avanti non tramite il tradizionale metodo narrativo dell’
“omniscient narrator”, caratteristico della letteratura realista, ma tramite il
punto di vista limitato di un solo personaggio, che racconta la storia in prima
persona, oppure tramite un continuo spostamento dei punti di vista dei vari
personaggi, il cosiddetto “shifting or multiple point of view”, che comunica le
loro diverse impressioni soggettive della realtà esterna. Questa nuova tecnica
comporta l’uso del monologo interiore e del flusso di coscienza, attraverso i
quali il lettore conosce i personaggi penetrando direttamente nella loro
coscienza senza la mediazione di alcun narratore. La trama, inoltre, presenta
uno sconvolgimento dell’ordine cronologico, dovuto a spostamenti temporali e
a digressioni nella narrazione degli eventi esterni.
Quindi, nell’ambito della tradizione impressionista il romanzo
neozelandese, con il suo intento di entrare nella mente dei personaggi e di
catturarne emozioni ed impressioni, si avvicina al romanzo psicologico
modernista, sviluppatosi in Inghilterra e in America.
Anche se, nel campo del romanzo, l’impressionismo si sviluppa nel
periodo “provinciale”, esso viene anticipato, nel campo del racconto, da
Katherine Mansfield (1888-1923), scrittrice neozelandese di statura
internazionale. Ponendosi al di fuori della tradizione coloniale del suo tempo,
Katherine Mansfield ne rifiuta le convenzioni, per poter esprimere la sua
individualità in maniera libera ed indipendente. I suoi racconti sono
autobiografici, lirici, personali, intimi. Questa scrittrice, quindi, apre la strada
all’interiorizzazione del metodo narrativo che sarà seguita sia nel campo del
11
racconto che in quello del romanzo. Nell’ambito di quest’ultimo si trovano
scrittrici che in qualche modo possono essere considerate seguaci della
Mansfield, tra le quali Robin Hyde (1906-1939), Sylvia Ashton-Warner
(1908-1983) e, in particolare, Janet Frame (nata nel 1924), il cui Owls Do Cry è
considerato il migliore romanzo impressionista del periodo “provinciale”.
Anche se le due tradizioni del realismo e dell’impressionismo sono molto
diverse tra di loro, non si escludono, però, totalmente; infatti ci sono casi in cui
si ritrovano fuse in un unico autore, come per esempio in Frank Sargeson, che a
metà della sua carriera scrive un romanzo impressionista, I Saw in My Dream
(sebbene sia influenzato non da Katherine Mansfield, ma da James Joyce), e in
Janet Frame, i cui romanzi e racconti introspettivi non sono affatto avulsi dalla
realtà esterna. Ciò dimostra che nel modo di scrivere di questa e di altre
scrittrici neozelandesi non c’è una rottura definitiva dalla tradizione realista.
Infatti, molte di loro non hanno eliminato del tutto dalle loro opere gli elementi
realistici e la narrazione oggettiva di eventi esterni; esse hanno spesso
affrontato gli stessi problemi trattati dai loro colleghi, ma li hanno sviluppati in
modo ben diverso, focalizzandosi sui movimenti all’interno della coscienza dei
personaggi e sulle percezioni individuali.
Queste due tradizioni continuano a svilupparsi durante la quarta fase,
quella nota come “Post-provincial period”, che inizia approssimativamente nel
1965; tuttavia, in questo periodo si verifica anche una reazione ai loro stereotipi
e ai loro modelli, giudicati ormai consumati e inadatti a trattare una società
profondamente cambiata socialmente e culturalmente. C’è la ricerca di nuovi
modi di espressione e in molti scrittori c’è un’interiorizzazione del realismo,
che permette loro di penetrare nella vita interiore dei personaggi,
concentrandosi sempre sulla realtà sociale.
Si fa strada, intanto, “a new post-modernist metafictional mode”
3
e Janet
3
Ibidem, p. 170.
12
Frame, dopo la sua fase “provinciale”, in cui ha già fatto alcuni esperimenti di
“metafiction”, pur rimanendo sempre fedele alla sua vena impressionista,
rientra in questo nuovo modo di scrittura con alcuni romanzi, come A State of
Siege, Daughter Buffalo e Living in the Maniototo. In questi l’artista, posta
consapevolmente al centro dell’opera, si concentra sul processo di scrittura in
sé, sulla “narrativity”, “fictionality”
4
e svela i segreti, gli strumenti, le
invenzioni, l’artificio della propria arte.
4
Ibidem, p. 197.
13
I.2. IL RACCONTO
Fin dall’inizio il racconto si rivela indubbiamente come il genere
letterario più amato e più usato dagli scrittori neozelandesi, che vi hanno
espresso le preoccupazioni personali e quelle della loro società. Quasi tutti gli
scrittori di romanzi si sono dedicati anche alla “short story”, come per esempio
Frank Sargeson e Janet Frame.
Clare Hanson, cercando di dare una spiegazione sul motivo della
preferenza del racconto rispetto ad altre forme letterarie, dice:
Frank O’Connor suggests in his study of the genre, The Lonely Voice,
that the short story flourishes best in an incompletely developed culture,
for example in a regional settlement still lacking total social cohesion. It is
demonstrably true that the short story has flourished in the last hundred
years in Ireland and...also in colonial societies (with writers such as Janet
Frame and Frank Sargeson in New Zealand...). The short story seems to
be the mode preferred by those writers who are not writing from within a
fixed and stable cultural framework. It has also been favoured by writers
who find themselves to be personally opposed to the society in which they
live and for whom the idea of society and shared values is problematic.
5
Un’altra studiosa, Lydia Wevers, aggiunge che:
...the characteristic fictional form...in New Zealand for a long time was
the short story, perhaps because the problematic questions of separation,
race, culture, and identity which constrain and shape an emerging national
literature can be more confortably articulated in a genre which does not
imply resolution.
6
Anche la storia dello sviluppo del racconto può essere suddivisa in varie
fasi. La prima è quella del periodo “coloniale” ed è caratterizzata da racconti
che sono per lo più resoconti di viaggi e aneddoti della vita dei colonizzatori.
Come si è potuto vedere per il romanzo, anche nel racconto nato in questo
periodo la nota dominante è quella realistica, tinta di romanticismo, comicità o
drammaticità. Grazie al suo colore locale, il racconto contribuisce a creare in
5
Clare Hanson, Short Stories and Short Fictions, 1880-1980, London, Macmillan, 1985, p. 12.
6
Lydia Wevers, "The Short Story" in Terry Sturm ed., The Oxford History of New Zealand
Literature in English, op. cit., p. 203.
14
Nuova Zelanda una identità letteraria e nazionale rispetto alla cultura della
madrepatria. Nella tradizione “coloniale” si inserisce, ma con spirito
anticonvenzionale, Katherine Mansfield.
Nei suoi primi racconti, ella usa consapevolmente le tipiche convenzioni
letterarie del periodo “coloniale”, con quel desiderio di descrivere la vita reale e
di rappresentare l’elemento locale. Ma la sua originalità sta nel fatto che,
mentre lavora all’interno delle convenzioni narrative e sociali, inizia subito a
sfidarle, a sovvertirle e a prenderne le distanze, finendo per essere il precursore
di quella tradizione impressionista di cui si è parlato a proposito del romanzo.
Con l’intento di trasmettere nei suoi racconti psicologici le emozioni e le
impressioni dei personaggi e di descrivere momenti interiori ed epifanici, che
danno un significato più profondo alla realtà esterna, Katherine Mansfield si
avvicina a James Joyce e a Virginia Woolf ed entra a far parte di un contesto
culturale più ampio, quello del modernismo europeo. Ciò è dovuto anche al
fatto che la Mansfield, dopo aver lasciato la Nuova Zelanda, ha vissuto e scritto
in Europa senza avere più nessun contatto diretto con altri scrittori
neozelandesi. Perciò i suoi racconti, anche se descrivono la vita e il paesaggio
della Nuova Zelanda, non possono essere considerati rappresentativi della
letteratura di questo paese.
Il carattere tipicamente neozelandese si può riscontrare, invece, nei
racconti di Frank Sargeson, che appartiene al periodo del “Nationalism and
Social Realism” (1920-1950). Questa tradizione si configura, come si è già
visto parlando del romanzo, come una rappresentazione realistica e critica della
vita sociale del tempo, fatta attraverso l’uso di un linguaggio parlato, reale,
l’idioma degli uomini. La letteratura realista inaugurata da Sargeson è
prettamente maschile e si differenzia dall’altra tradizione coesistente ma
divergente, quella dell’impressionismo, che vede tra le sue file soprattutto
donne. Tra queste c’è Janet Frame, che ha esordito nella scena letteraria nel
1951 con una raccolta di racconti, seguita da altre tre raccolte. I suoi racconti
15
sono caratterizzati da un modo di vedere la realtà diverso da quello degli
scrittori del realismo sociale. In alcuni di essi Janet Frame si ispira ad eventi
reali della propria vita, però si discosta dalle convenzioni della tradizione
maschile del realismo, perché si concentra ad esplorare il mondo interiore
dell’immaginazione in opposizione al mondo reale della società. In altri
racconti mette completamente da parte la cornice realistica, basata su eventi
della sua infanzia, e crea leggende e fantasie che toccano il mondo irreale e
visionario dell’immaginazione.
Così Janet Frame, insieme ad altre scrittrici che come lei si dedicano al
racconto, segna l’inizio nel secondo dopoguerra di una letteratura femminile
anticonvenzionale ed indipendente, in quanto mette in dubbio quelle che fino
ad allora erano state le uniche regole di una letteratura vista come eredità
esclusivamente maschile.
16
I.3. LA VITA E LE OPERE DI JANET FRAME
Sono ormai passati quasi cinquanta anni da quando nel 1946 Janet Frame
ha pubblicato il suo primo racconto e quasi quaranta dalla pubblicazione nel
1957 del suo primo romanzo, Owls Do Cry, e si può senza dubbio affermare
che questa scrittrice occupa un posto importante nella letteratura neozelandese.
Il critico Peter Alcock la considera “the ablest and most profoundly
representative fictional portrait-painters of New Zealand”.
7
La sua grandezza è
attestata dai tanti riconoscimenti e premi letterari ricevuti sia in patria che
all’estero, tanto che può essere considerata una scrittrice di statura
internazionale. Un altro studioso, Patrick Evans, ha visto in lei “that very
universality which has made her writing so readily understandable to the
overseas critic with no knowledge whatsoever of the New Zealand experience”
8
ed ha aggiunto che le sue opere “trascend the personal and the regional, and
belong to the literary heritage of the world, for they articulate experiences that
are universal in the twentieth century”.
9
Infatti, anche se il materiale di gran
parte delle sue opere è costituito da reminiscenze della sua infanzia e da
esperienze della sua adolescenza, queste sono filtrate dall’immaginazione
artistica dell’autrice ed assumono perciò un carattere universale, diventando
Arte.
Da quanto appena affermato risulta chiaro l’aspetto autobiografico
dell’opera di Janet Frame: ella è sempre al centro dei suoi scritti e questi
rispecchiano la storia della sua vita. Un altro aspetto è quello metaletterario.
Ciò che emerge dalla lettura delle opere della Frame è la presenza costante
della scrittura come nucleo tematico fondamentale. L’attenzione di questa
7
Peter Alcock, "A Writer on the Edge: Janet Frame and New Zealand Identity",
Commonwealth (France), vol. 1 (1974-1975), p. 175.
8
Patrick Evans, Janet Frame, Twayne's World Author Series 415, Boston, Twayne, 1977, p. 8.
9
Ibidem, p. 140.
17
scrittrice si è, in effetti, sempre focalizzata sul processo creativo, sui suoi
meccanismi, sul ruolo dell’artista e sul rapporto tra autore e lettore. Quindi, il
vero soggetto della sua narrativa, al di là dei tradizionali temi dell’amore, della
vita, della morte, è la scrittura stessa e la parola che ne è strumento primario, di
cui la Frame cerca di esplorare tutte le possibilità per superare i confini
convenzionali e sperimentare nuove forme letterarie. La riflessione sull’artista e
sulla sua creazione fa di Janet Frame una scrittrice moderna, perché questo
elemento è centrale nella letteratura del ’900. Basti ricordare ciò che afferma
Henry James nella Prefazione a The Ambassadors, quando dice che in un
romanzo “There is the story of one’s hero, and then...the story of one’s story
itself”,
10
la storia, cioè, dell’artista che diventa il personaggio centrale, l’eroe
dell’opera, e che parla di sé “non in senso meramente autobiografico, ma in
quanto artista — sempre allude alla propria condizione sociale e psicologica; al
rapporto (e alla lotta) col proprio strumento”.
11
Partendo dal presupposto che l’arte di Janet Frame trae origine dalla sua
stessa vita, dalle sue stesse esperienze, non solo materiali, ma anche e
soprattutto interiori ed artistiche, esperienze di solitudine, infelicità ed
esclusione, il lettore può facilmente tracciare dalle sue opere le tappe più
significative della sua vita.
Janet Frame è nata a Dunedin il 28 agosto del 1924 ed è ancora vivente. Il
padre, George Frame, a causa del suo lavoro di ferroviere, costringe la famiglia
a continui spostamenti in varie cittadine di provincia del South Island della
Nuova Zelanda. Da ciò deriva quel senso di isolamento, sradicamento e
minaccia del mondo esterno sempre presente nella mente della piccola Janet e
sempre rievocato negli scritti della sua maturità.
10
Henry James, "Preface to The Ambassadors", The Art of the Novel: Critical Prefaces, ed.
Charles Scribner's Sons, New York, 1948, p. 313.
11
Agostino Lombardo, "L'artista romantico e l'età moderna", Per una critica imperfetta, Roma,
Editori Riuniti, 1992, p. 90.