5
L’analisi contrastiva svolta in questa tesi è motivata proprio dalla volontà
di indagare su come l’identità – culturale e linguistica – del film Die bleierne Zeit
è passata nella versione italiana, su quanto l’adattamento dell’opera filmica si è
allontanato dal suo originale, se sono presenti forzature sistematiche, se le
distorsioni eventualmente individuabili e più in generale le scelte traduttive sono
imposte dai vincoli della sincronizzazione o sono arbitrarie (cioè non motivate dal
testo di partenza ma dettate dalla volontà di fornire al pubblico una traduzione
addomesticante).
Prima però di svolgere tale analisi è opportuno dare spazio all'interno del
presente studio ad un excursus sull’effettivo stato del cinema tradotto in Italia,
accennando brevemente alle costrizioni di carattere economico e ideologico cui
esso è sottoposto; un’attenzione particolare verrà inoltre rivolta alle condizioni
della sua ricezione (primo capitolo).
Il secondo capitolo ha lo scopo di introdurre all’analisi comparata dei due
testi filmici attraverso la messa a fuoco dei caratteri peculiari della traduzione
cinematografica, traduzione che, in quanto inserita in un contesto multimediale,
implica dei vincoli ulteriori rispetto alla traduzione del testo scritto. Per
approfondire questi aspetti di natura essenzialmente tecnica faremo riferimento
soprattutto al volume Linguistiche Aspekte der Synchronisation von Fernsehserien
di Thomas Herbst, che fornisce di tale argomento una trattazione dettagliata ed
esauriente. Riteniamo questo tipo di approfondimento opportuno per poter
valutare le scelte traduttive operate nel doppiaggio del film Die bleierne Zeit con
maggior cognizione di causa, consapevoli cioè di tutti i vari fattori che possono
aver influenzato il risultato traduttivo.
Nel terzo capitolo considereremo la strategia traduttiva proposta da Herbst
(all’interno del volume precedentemente citato) per la sincronizzazione di testi
filmici stranieri. Questa teoria offre un esempio dei criteri ai quali può orientarsi
la traduzione nel doppiaggio. Due sono le considerazioni che ci hanno indotto a
prendere in esame la strategia elaborata da Herbst: la completezza e la
sistematicità del suo studio; l’approccio pragmatico che la contraddistingue e che
implica una traduzione di tipo addomesticante: polo negativo a cui si vuole
contrapporre – in accordo con le premesse poste da questa tesi – il polo positivo
6
rappresentato dalla traduzione di tipo estraniante, il cui fine intrinseco è la
preservazione della specificità linguistica e culturale dell’opera originale.
Dopo aver descritto nelle sue linee essenziali la strategia traduttiva
pragmatica proposta da Herbst ci occuperemo, nel quarto capitolo, di valutarne
criticamente alcuni aspetti a nostro parere discutibili dal punto di vista non solo
del rispetto dell’alterità culturale del testo filmico originale, ma anche della
preservazione della funzione di mediazione interculturale che dovrebbe essere
propria del tradurre, contrapponendo all’atteggiamento pragmatico e orientato al
testo d’arrivo di Herbst approcci traduttivi essenzialmente orientati al testo di
partenza e alla conservazione della sua specificità individuale e culturale (in
primis le posizioni di Berman e Meschonnic).
Nel quinto capitolo, infine, ci concentreremo sull’analisi contrastiva per
confermare o smentire rispetto al caso specifico la denunciata tendenza
naturalizzante del modello di traduzione imperante. In quest’ultima sezione ci
occuperemo di confrontare i due testi filmici discutendo i passi del doppiaggio che
non soddisfano il requisito di fedeltà rispetto al testo originale, intendendo con il
termine fedeltà “la capacità del testo tradotto di mantenere un rapporto forte di
identità con il testo originale a dispetto delle manipolazioni necessarie al processo
traduttivo.”
1
Relativamente a ciascuno di questi casi proporremo una nostra
alternativa di traduzione che, pur cercando di instaurare questo rapporto di fedeltà
con il testo di partenza, rispetti allo stesso tempo i vincoli imposti dalla
sincronizzazione
2
.
1
T. Accietto, I. Fernández, H. Lozano Miralles, “Lo sguardo del traduttore nel cinema:
enunciazione cinematografica ed enunciazione traduttiva”, Traduzione multimediale per il cinema
la televisione e la scena, a cura di C. Heiss, R.M. Bollettieri Bosinelli, Bologna: CLUEB, 1996, p.
233.
2
La valutazione di questi ultimi sarà condizionata dai modesti mezzi tecnici di cui siamo a
disposizione, vale a dire un normale schermo televisivo.
7
1. LA TRADUZIONE FILMICA E I MASS MEDIA
1.1. Il cinema tradotto in Italia
Bastano pochi dati numerici per delineare l’imponente profilo del cinema
straniero tradotto in Italia:
“circa l’80 per cento della programmazione cinematografica e il 90
per cento della fiction trasmessa in televisione nel nostro paese è
costituito da opere straniere”
3
,
opere che in altissima percentuale provengono dagli USA. Secondo i dati raccolti
dall’Iec/Lintas
4
, solo un italiano su 100 ha una reale conoscenza della lingua
inglese, il che fa apparire del tutto scontato che il 98 per cento delle opere
audiovisive importate dall’Italia vengano tradotte nella forma del doppiaggio.
Il fatto che i film vengano doppiati e non sottotitolati dipende, da un lato,
dalla presenza di un vasto pubblico di utenti, che permette di sostenere gli elevati
costi relativi al doppiaggio (procedimento dieci volte più dispendioso rispetto al
sottotitolaggio), dall'altro, da un atteggiamento culturale reticente ad aprirsi
all’‘altro’ – i sottotitoli, infatti, non cancellando la voce straniera, garantiscono
una maggiore ‘fedeltà culturale’ –, confermato anche dalla pressoché totale
mancanza di un’offerta alternativa ai film doppiati nei termini di proiezioni
cinematografiche in versione originale.
1.2. Quale doppiaggio?
Constatato il ruolo dominante del cinema (e della televisione) doppiato nel
nostro paese è doveroso, o quantomeno lecito, domandarsi quale sia la qualità di
questo doppiaggio, se, in sostanza, ciò che ci viene proposto, sul grande come sul
piccolo schermo, è un prodotto la cui originalità culturale è rispettata o, al
contrario, ‘addomesticata’.
3
C. Heiss, “Il testo in un contesto multimediale”, Traduzione multimediale per il cinema la
televisione e la scena, a cura di C. Heiss, R.M. Bollettieri Bosinelli, Bologna: CLUEB, 1996, p.
24.
4
M. Paolinelli, “Doppiaggio: la traduzione odiata”, Il doppiaggio. Trasposizioni linguistiche e
culturali, a cura di R. Baccolini, R.M. Bollettieri Bosinelli, L. Gavioli, 1994, p. 151-152.
8
In merito gli studi non mancano, anzi, proprio in questo ultimo decennio si
sono decisamente moltiplicati
5
e i promotori di tali ricerche non sono soltanto
accademici, ma anche addetti ai lavori (dialoghisti, direttori di doppiaggio,…).
Tutti sono dell’unanime parere che la tendenza dominante nella pratica
attuale del doppiaggio sia di tipo ‘addomesticante’:
“Non vi è chi non veda che il doppiaggio si pone come
aggiustamento non solo del testo originale, ma dei valori culturali
di esso a un sistema di riferimento che è invece nazionale. […] si
pensi alla teorizzazione del cosiddetto “doppiaggio creativo”, vale
a dire a una traduzione o ad inflessioni, accenti o altro del tutto
estranei all'originale e volutamente inseriti nella versione italiana
al fine di vivacizzarla o di superare eventuali problemi posti da
quella originale.”
6
“Many such shifts [i cambiamenti introdotti dal doppiaggio] appear
to occur, and some are of a rather sweeping nature: slang and
dialect usually disappear; social criticism tends to be toned down,
obscenity is filtered out, as are references to homosexuality. Other
cultures are made the butt of jokes; criticism of certain aspects of
German culture and allusions to the Nazi period are carefully
excised.”
7
“Il doppiaggio è uno scandalo, lo si è sempre detto. […] appare
una violenza e un ibrido rispetto alla pratica della didascalia,
diffusa in altri e più alfabetizzati paesi, perché si diffonde a
macchia d’olio e diventa non solo la prassi, ma una vera e propria
ideologia.”
8
5
Come dimostra la vasta bibliografia sull’argomento proposta dal volume Traduzione
multimediale per il cinema, la televisione e la scena, a cura di C. Heiss, R. M. Bollettieri Bosinelli,
Bologna: CLUEB, 1996, p. 185.
6
F. La Polla, “Doppiaggio e contesto culturale”, Il doppiaggio. Trasposizioni linguistiche e
culturali, a cura di R. Baccolini, R. M. Bollettieri Bosinelli, L. Gavioli, Bologna: CLUEB, 1994, p.
56-57.
7
D. Delabastita, “Translation and the Mass Media”, Translation, History and Culture. S. Bassnett,
A. Lefevere, eds.. London: Pinter, 1990, p. 98-99. (Trad.: Molti cambiamenti del genere sembrano
verificarsi, e alcuni sono di una natura piuttosto radicale: slang e dialetti solitamente scompaiono;
la critica sociale tende ad essere attenuata, l’oscenità viene filtrata, così come i riferimenti
all’omosessualità. Altre culture sono il bersaglio di canzonature; critiche a certi aspetti della
cultura tedesca e allusioni al periodo nazista sono accuratamente espunte.)
8
G. Fink, “Essere e non essere: la parola e i suoi codici”, Il doppiaggio. Trasposizioni linguistiche
e culturali, a cura di R. Baccolini, R. M. Bollettieri Bosinelli, L. Gavioli, Bologna: CLUEB, 1994,
p. 32-33.
9
1.3. Il ruolo del potere: condizionamenti economici e ideologici
Le cause dell’intensa azione manipolatrice svolta dal doppiaggio non
vanno cercate molto lontano:
“In realtà il problema esula dal terreno più o meno dotto della
possibilità di traduzione e si pone in brutali termini economici
[…]anche se si arrivasse a una soluzione soddisfacente sul piano
culturale, essa non verrebbe adottata […] perché insoddisfacente
sul piano economico cui il film come investimento e merce
appartiene.”
9
“If we turn to the vast majority of texts used on the mass market of
cinema and television […] This is a world where the market rules,
and in the unending flood of information it is mainly commercial
motivations that decide what is to be produced. The same applies
to translated material, where the source text is by no means sacred,
but on the contrary is often subjected to overt manipulations to
prepare it for what producers and salespeople think the target
culture wants to consume.”
10
La volontà di profitto può indurre a produrre di un film una traduzione deviante
nell’intento di rendere il prodotto cinematografico più digeribile culturalmente o
linguisticamente e ottenere di conseguenza un maggiore successo di pubblico:
interventi traduttivi censori o normalizzanti sono lo strumento con cui eliminare o
semplicemente smussare dettagli eccessivamente ‘tipici’, un linguaggio troppo
crudo e violento, insomma, tutto ciò che non trova corrispondenza nei gusti dello
spettatore medio.
9
F. La Polla, “Doppiaggio e contesto culturale”, Il doppiaggio. Trasposizioni linguistiche e
culturali, a cura di R. Baccolini, R. M. Bollettieri Bosinelli, L. Gavioli, Bologna: CLUEB, 1994, p.
58.
10
M. Snell-Hornby, “All the world’s a stage”, Traduzione multimediale per il cinema la
televisione e la scena, a cura di C. Heiss, R. M. Bollettieri Bosinelli, Bologna: CLUEB, 1996, p.
35. (Trad.: Se ci volgiamo alla stragrande maggioranza dei testi usati sul mercato di massa del
cinema e della televisione […] questo è un mondo dove il mercato governa, e nell’infinita marea
di informazione sono principalmente motivazioni di carattere commerciale a decidere cosa deve
venire prodotto. Lo stesso vale per il materiale tradotto, dove il testo di partenza non è per nulla
inviolabile, ma al contrario è spesso soggetto a evidenti manipolazioni per prepararlo per ciò che i
produttori e i venditori pensano che la cultura d’arrivo voglia consumare.)
10
Ma, anche quando non vengono attuate manipolazioni sostanziose e
intenzionali, il doppiaggio spesso risulta essere approssimativo e impreciso a
causa dei tempi ristretti di lavorazione
11
, imposti ovviamente ancora da esigenze
di natura economica. Le marce forzate a cui viene costretta l’équipe di doppiaggio
portano fatalmente in molti casi a superare le difficoltà “nel modo più sbrigativo
possibile, cioè con la loro eliminazione”
12
.
A questi condizionamenti di carattere economico si aggiungano le pesanti
imposizioni di carattere ideologico cui il cinema doppiato – ma la stessa sorte
spetta in misura maggiore o minore a tutti i ‘prodotti’ tradotti – deve sottostare.
Tali condizionamenti ideologici sono essenzialmente di due tipi: uno relativo alle
direttive del ‘committente’, l’altro relativo al potere del traduttore.
Consideriamo innanzitutto il primo genere di condizionamenti. Se è vero
che il mass medium (sia esso cinematografico o di altro tipo), in quanto prodotto
di una industria culturale, tende a secondare il gusto del pubblico, è però anche
vero che il ‘gusto medio’ di riferimento è da questa stessa industria culturale
promosso e determinato. Non ci si limita cioè a dare al pubblico ciò che esso
vuole ma, attraverso la continua proposizione di determinati prodotti, gli si
suggerisce ciò che deve volere. L’azione manipolatrice svolta dai ‘committenti’ –
entità identificabile con le classi dirigenti, il cosiddetto establishment – può essere
in parte ricondotta a mere intenzioni di speculazione economica, in parte, invece,
è strettamente connessa alla volontà di rendere il ‘mezzo di massa’
“strumento efficace per una azione di pacificazione e di controllo,
la garanzia di conservazione dell’ordine, stabilito attraverso la
riproposta continua di quelle opinioni e di quei gusti medi che la
classe dominante giudica più adatti a mantenere lo status quo.”
13
11
“[…] ein 90 Minuten langer Film ist in vier bis fünf Tagen «über die Bühne»“ (D. Manthey,
Making of…Wie ein Film entsteht 2, Hamburg: Rowohlt, 1999, p. 285). Cfr. anche T. Herbst,
Aspekte der Synchronisation von Fernsehserien. Phonetik, Textlinguistik, Übersetzungstheorie, §
1.5.3. Zeit und Kosten, Tübingen: Niemeyer, 1994, p.17-18.
12
G. Nadiani, “Di alcuni segnali discorsivi nell'analisi contrastiva dei dialoghi in italiano e in
tedesco del film La stazione”, Traduzione multimediale per il cinema la televisione e la scena, a
cura di C. Heiss, R.M. Bollettieri Bosinelli, Bologna: CLUEB, 1996, p. 185.
13
U. Eco, Apocalittici e integrati. Milano: Bompiani, 1999, p. 339.
11
Attraverso una certa programmazione audiovisiva si vogliono promuovere
“i gusti e le opinioni di un cittadino ideale, un ascoltatore perfetto
che soddisfi le necessità di chi detiene il potere, accettandone la
direzione, indifferente ai grandi problemi e amabilmente distolto
da passioni periferiche.”
14
Proprio la continua e massiccia offerta di ‘prodotti d'intrattenimento’, quindi, è
l’arma vincente del potere:
“If power were anything but repressive, if it never did anything but
to say no, do you really think one would be brought to obey it?
What makes power hold good, what makes it accepted, is simply
the fact that it doesn’t only weigh on us as a force that says no, but
that it traverses and produces things, it induces pleasures, forms
knowledge, produces discourse.”
15
Ulteriore effetto collaterale di questa capacità del mezzo di massa di creare
non solo bisogni concreti ma anche schemi di reazione e modalità di
apprezzamento è il suo potere di influire incisivamente sull’evoluzione culturale,
anche in campo estetico, ossia di influenzare il concetto del ‘bello’ e
dell’‘artistico’ all'interno di una data società.
Passiamo ora al secondo tipo di condizionamenti, quelli connessi alla
figura del traduttore. Se la scelta di quali ‘prodotti’ debbano venire proposti alla
‘massa’ rappresenta il primo livello in cui si attua la direzione occulta
dell’opinione pubblica da parte del ‘potere’, il secondo livello concerne come
questi prodotti debbano essere presentati. Per quanto riguarda i prodotti
‘importati’, le modalità di presentazione, determinanti per la ricezione, sono
essenzialmente (ma non unicamente – si pensi per esempio all’apparato
pubblicitario attivato per la promozione del prodotto –) connesse alla traduzione.
Il traduttore ha nelle sue mani il potere di determinare l’accoglienza di un’opera, e
14
op. cit. p. 340.
15
M. Foucault, Power / Knowledge, ed. Colin Gordon, New York: Pantheon Books, 1980, p. 119
(citato da A. Lefevere, S. Bassnett, Translation, History and Culture. S. Bassnett, A. Lefevere,
eds.. London: Pinter, 1990, p. 6). (Trad.: Se il potere non fosse altro che repressivo, se non avesse
mai fatto altro che dire no, pensate davvero che si sarebbe portati ad obbedirgli? Ciò che fa
resistere bene il potere, ciò che fa sì che venga accettato, è semplicemente il fatto che non pesa su
di noi esclusivamente come una forza che dice no, ma sposta e produce cose, induce piaceri,
sviluppa conoscenza, produce discorsi.)
12
quindi del suo autore, all’interno della cultura d’arrivo (nei termini di successo o
insuccesso di un’opera) ma anche, in un certo senso, di determinare il discorso
stesso dell’opera (consentendo o meno di interpretare correttamente l’originale).
“Translation, then, is one of the many forms in which works of
literature [ma non solo le opere letterarie vengono ‘riscritte’] are
rewritten, one of many ‘rewritings’. In our day and age, these
‘rewritings’ are at least as influential in ensuring the survival of a
work of literature as the originals, the ‘writings’ themselves. […]
this state of affairs invests a non-negligible power in the rewriters:
translators, critics, historians, professors, journalists. They can
make or break a writer, and they can […] make and breake him or
her on their own terms.”
16
Di queste riscrizioni “the ‘rewriting’ of film” è ritenuta “the most powerful
medium today.”
17
Certo, il supposto tacito accordo stipulato fra il traduttore e il destinatario
della traduzione dovrebbe impedire spregiudicate manomissioni dell’originale,
ma, come consiglia la saggezza popolare…non fidarsi è meglio, anche perché un
appello alla moralità nel contesto di una logica di mercato – quale è quella su cui
si basa l’industria culturale – è quantomeno naïf.
La conclusione che se ne deve trarre è che il potere dei ‘riscrittori’, tra cui
sono da annoverare in primo luogo i traduttori,
“should […] be analysed, as well as the various ways in which they
tend to exercise it. […] understanding the constraints upon a
translator and recognizing the measures that the translator can take
in order to escape those constraints is an important step towards
establishing that trust. We may not like what we see, but at least
we shall not be kept in the dark.”
18
16
A. Lefevere, S. Bassnett, “Introduction: Proust’s Grandmother and the Thousand and One
Nights: The ‘Cultural Turn’ in Translation Studies”, Translation, History and Culture. S. Bassnett,
A. Lefevere, eds.. London: Pinter, 1990, p. 10. (Trad.: La traduzione, quindi, è una delle molte
forme in cui le opere letterarie sono riscritte, una di molte ‘riscritture’. Ai giorni nostri queste
‘riscritture’ sono almeno tanto influenti nell’assicurare la sopravvivenza di un’opera letteraria
quanto gli originali, le ‘scritture’ stesse. […] questo stato di cose investe di un potere non
trascurabile i riscrittori: traduttori, critici, storici, professori, giornalisti. Essi possono creare o
distruggere uno scrittore, e possono [...] crearlo o distruggerlo alle proprie condizioni.)
17
ibidem. (Trad.: la ‘riscrittura’ dei film [è] oggi il mezzo più potente.)
18
op. cit. p. 10, 13. (Trad.: dovrebbe [...] venire analizzato, così come i vari modi in cui tendono ad
esercitarlo. […] comprendere le costrizioni cui un traduttore è soggetto e riconoscere i
provvedimenti che il traduttore può prendere per sfuggire a quelle costrizioni è un passo
importante verso l’instaurazione di quella fiducia. Può non piacerci quello che vediamo, ma
almeno non dobbiamo essere tenuti all’oscuro.)
13
Anche i traduttori, del resto, sono a loro volta vittime di condizionamenti:
la loro autonomia traduttiva può essere drasticamente limitata dal fatto di dover
rispondere del proprio operato ai ‘committenti’. Non solo. Ciò che ulteriormente
limita e incanala in direzioni predefinite l’operato del traduttore è il concetto di
“accettabilità” vigente in un dato momento storico all’interno di una data società:
“Film translation, like all forms of translation, is a communicative
process that takes place within a sociocultural context and it is
ultimately the TL [target language] cultural community which
decides whether a TF [target film] is acceptable as a translation in
its sociocultural system.”
19
1.4. Lo spettatore inconsapevole
L’indagine sulla qualità del doppiaggio dei film stranieri, pur prendendo le
mosse da un livello meramente linguistico (nei termini di adeguatezza del testo
tradotto all’originale), ha, come si è visto, notevoli implicazioni a livello sociale e
culturale. Il prodotto doppiato, sia esso cinematografico o televisivo, si rivolge
infatti ad un pubblico socialmente e quantitativamente onnicomprensivo. La
portata del fenomeno rende un suo approfondimento critico auspicabile,
soprattutto in considerazione dell’inconsapevolezza e dell’acriticità dello
spettatore medio rispetto al prodotto audiovisivo in generale ed in particolare
rispetto a quello doppiato.
Tali considerazioni sono, da un lato frutto di riflessioni sulle abitudini
culturali dell’individuo all’interno dell’attuale società di massa, dall’altro il
risultato di indagini scientifiche sulla situazione psicofisica indotta nella mente
umana dalla fruizione di un prodotto audiovisivo multimediale.
19
M. Ulrych, “Film Dubbing and the Translatabilty of Modes of Address: Power Relations and
Social Distance in the French Lieutenant's Woman”, Traduzione multimediale per il cinema la
televisione e la scena, a cura di C. Heiss, R.M. Bollettieri Bosinelli, Bologna: CLUEB, 1996, p.
140. (Trad.: La traduzione filmica, come tutte le forme di traduzione, è un processo comunicativo
che ha luogo all’interno di un contesto socioculturale ed è in definitiva la comunità culturale della
lingua d’arrivo a decidere se un film d’arrivo è accettabile come traduzione nel suo sistema
socioculturale.)
14
1.4.1. Abitudini culturali
Il fruitore medio che, al cinema o in televisione, vede un film doppiato non
percepisce il testo come tradotto. Questo approccio aproblematico è conseguenza,
come si accennava prima, di un’abitudine culturale – rivelatrice della
superficialità e del disinteresse nell’approccio con l’‘altro’ – che consiste nella
sistematica ignoranza del processo traduttivo, nonostante esso sia alla base,
svolgendo un ruolo mediatore, di quasi tutti i nostri contatti con lo ‘straniero’.
La traduzione, infatti, nonostante i notevoli sviluppi recenti e la sua decisa
rivendicazione di dignità, continua ad essere un fenomeno linguistico e letterario
fortemente discriminato. A dimostrare l’interesse pressoché nullo (esclusi
naturalmente gli ‘addetti ai lavori’) per la traduzione, la penalizzazione di cui essa
è oggetto nella gerarchia delle discipline scolastiche: non è forse altamente
significativo che tutte le letture di opere letterarie straniere proposte a scuola –
rigorosamente in italiano – non abbiano fatto scomodare un solo nome di
traduttore o perlomeno richiamare l’attenzione sul fatto che quelle opere fossero
state create in un idioma diverso dal nostro?
La traduzione, per una via o per l’altra, entra nella vita di ciascun
individuo e vi gioca un ruolo decisivo in quanto filtro di quasi ogni esperienza del
culturalmente e linguisticamente ‘diverso’. È una contraddizione di notevole
rilievo il carattere multiculturale della società in cui viviamo – una sorta di
‘villaggio globale’ quotidianamente crocevia di molteplici scambi culturali, reali o
virtuali che siano – e la discriminazione operata nei confronti della traduzione.
Inoltre, tornando al cinema tradotto, la natura stessa del doppiaggio
contribuisce a occultare l’operazione traduttiva cancellando ogni traccia della
lingua originale e generando così nello spettatore un’illusione linguistica: lo
spettatore percepisce la lingua doppiata come se fosse la reale lingua di
comunicazione della realtà filmica (pur se razionalmente consapevole che a New
York, Parigi o dove altro è ambientata l’azione filmica, non si parla italiano).
Questa illusione, che fa percepire allo spettatore la lingua doppiata come normale,
spontanea, non viene rotta né da eventuali fenomeni di asincronia né da usi
linguistici atipici. Il linguista tedesco Thomas Herbst, nel suo vasto studio sul
doppiaggio di serie televisive, dimostra, attraverso svariati esperimenti, come
15
entrambi gli elementi – potenzialmente disturbatori – non vengano notati dallo
spettatore nella normale situazione di fruizione:
“beim Film konzentriert man sich wohl auf den Text der Dialoge,
auf die generelle Entwicklung der Handlung, wobei aber auch
andere Faktoren wie Aussehen, Bewegung, Kleidung oder
Schmuck der Schauspieler, Landschaft und die musikalische
Untermalung in nicht unerheblichem Masse von der Sprache des
Films ablenken“
20
.
Per quanto riguarda l’accettabilità delle produzioni linguistiche Herbst dimostra
come la qualità della pronuncia influenzi la percezione degli errori: le infrazioni
alla norma linguistica o semplicemente gli usi che si discostano dalla
consuetudine passano inosservati quando la pronuncia è perfetta, nel senso di
riconoscibile come quella di un parlante nativo.
Nemmeno questi elementi potenzialmente stranianti, quindi, hanno il
potere di rompere l’illusione linguistica creata dal doppiaggio e di richiamare lo
spettatore ad una presa di coscienza dell’esperienza del culturalmente ‘diverso’
che gli si offre nel vedere un’opera cinematografica straniera.
Ancora relativamente alle abitudini ricettive deteriori dello spettatore
medio nella società di massa, esse sono in buona parte da attribuire alla
televisione
21
, presenza costante tra le pareti domestiche (e non solo), sorta di
colonna sonora perenne che accompagna tutte le altre attività e in cui, quindi, tutto
si confonde e perde d’importanza, incoraggiando un atteggiamento ricettivo
acritico e passivo. Lo spettatore medio, come abbiamo visto, non si pone il
problema se il film che sta guardando sia stato tradotto e ancor meno mette in
discussione la qualità linguistica e culturale della lingua che ascolta durante la
visione del film.
20
T. Herbst, Aspekte der Synchronisation von Fernsehserien. Phonetik, Textlinguistik,
Übersetzungstheorie, Tübingen: Niemeyer, 1994, p. 63. (Trad.: durante il film ci si concentra
indubbiamente sul testo dei dialoghi, sullo sviluppo generale della trama; anche altri fattori,
tuttavia, come l’aspetto, il movimento, l’abbigliamento o i gioielli degli attori, il paesaggio e il
sottofondo musicale distraggono in misura non irrilevante dalla lingua del film.)
21
U. Eco, Apocalittici e integrati. Milano: Bompiani, 1999, p. 321.
16
1.4.2. Componente psicofisica
Le cause di questa acriticità ricettiva sono però da ricercarsi – oltre che
nell’elemento culturale – anche nella componente psicofisica: ricerche
sperimentali condotte da Gilbert Cohen-Séat nell’ambito dell’Insitut de
Filmologie della Sorbona sui vari fenomeni connessi alla ricezione del messaggio
visivo, cinematografico e televisivo, confermano come questo possa essere
considerato a buon diritto “una sorta di attacco subdolo e ipnotico alla capacità di
reazione dello spettatore”, ribadendo cioè che “le possibilità di vigilanza critica”
sono “scarsissime”
22
.
Il rapporto ipnotico che si instaura tra spettatore e teleschermo rappresenta
quindi già di per sé un ostacolo ad una fruizione dell’opera audiovisiva in quanto
‘esperienza culturale’ – che presupporrebbe la consapevolezza del soggetto di
essere coinvolto in questa esperienza – proprio perché indebolisce fino ad
annullare l’atteggiamento critico, mettendo il fruitore nella condizione di accettare
senza riserve tutto ciò che gli viene propinato.
Accenniamo in questa sede solo brevemente alle conseguenze di carattere
linguistico che questa situazione ricettiva genera: la ripetuta esposizione alla
lingua doppiata (in cui sono presenti spesso espressioni atipiche rispetto
all’italiano effettivamente parlato dai nativi – si pensi ai calchi di espressioni
americane presenti in buona parte dei film statunitensi doppiati –) può essere
causa dell’acquisizione di abitudini linguistiche deteriori.
22
op. cit. p. 332.
17
2. LA TRADUZIONE DEL TESTO FILMICO: I VINCOLI DEL
SINCRONISMO
2.1. Il testo multimediale
La traduzione realizzata nel doppiaggio trova il suo carattere specifico nel
fatto di occuparsi della trasposizione linguistica e culturale non di un testo
esistente nella sua sola dimensione scritta, ma di un testo multimediale.
Secondo la definizione formulata da Katherina Reiss
23
, il testo
multimediale è un testo scritto per la recitazione o per il canto, che per la sua
completa realizzazione dipende da un medium non linguistico (tecnico) o da altre
forme di espressione non verbale (grafica, acustica, visiva). Questo tipo di testo è
quindi caratterizzato da un’interdipendenza dinamica di fattori espressivi:
l’elemento linguistico rappresenta solo una tra le molteplici componenti che
interagiscono nell’attualizzazione dell’atto espressivo. La componente linguistica
di un testo multimediale non ha un’esistenza autonoma; non è, come nel romanzo,
unica artefice di un nuovo mondo; essa, per realizzare tutte le proprie
potenzialità, necessita del completamento di un contesto multimediale.
Proprio in questa estrema dipendenza dagli elementi contestuali è da
individuare il tratto distintivo del testo filmico, testo multimediale per eccellenza.
2.1.1. Il linguaggio filmico
L’opera filmica è un’entità espressiva risultante da un complesso intreccio
di diverse componenti segniche: il senso globale, infatti, non è veicolato da un
unico codice, ma piuttosto da una fitta rete costituita da livelli semiotici differenti.
I codici che interagiscono nella comunicazione filmica possono essere brevemente
schematizzati come segue
24
:
23
K. Reiss, H. J. Vermeer, Grundlegung einer allgemeinen Translationstheorie, Tübingen:
Niemeyer, 1984 (citato da C. Heiss, “Il testo in un contesto multimediale”, Traduzione
multimediale per il cinema la televisione e la scena, a cura di C. Heiss, R. M. Bollettieri Bosinelli,
Bologna: CLUEB, 1996, p. 17.
24
La ripartizione dei livelli semiotici in cui il linguaggio filmico può essere scomposto è ripresa
essenzialmente da M. Ulrych, “Film dubbing and the translatability of modes of address. Power
relations and social distance in The French Lieutenant’s woman”, Traduzione multimediale per il
cinema la televisione e la scena, a cura di C. Heiss, R. M. Bollettieri Bosinelli, Bologna: CLUEB,
1996, p. 140.