4
La realizzazione di una politica agricola comune fu
particolarmente delicata anche perché assorbì quasi completamente le
risorse finanziarie della Comunità, visti gli ambiziosi risultati che si
prefiggeva di ottenere: armonizzare le differenti politiche nazionali, al
fine di migliorare e di sviluppare un settore, che risultava non essere
competitivo a livello mondiale. Inoltre, il meccanismo contributivo
comunitario premiava quei Paesi che facevano dell’agricoltura il
settore trainante della loro economia, a discapito di quegli altri, che, in
virtù della solidarietà comunitaria, erano obbligati a sobbarcarsi la
maggior parte degli oneri che andavano a beneficio dei primi.
Fu proprio una questione agricola la scintilla che fece scoppiare
la più grave crisi che la Comunità Europea dovette affrontare nel
corso della sua storia. Il Consiglio dei ministri della CEE, nella
riunione che si tenne a Bruxelles il 15 dicembre 1964, diede mandato
alla Commissione europea, presieduta da Walter Hallstein, di
formulare entro l’aprile del 1965 delle proposte per il rinnovo del
regolamento finanziario, la cui scadenza era fissata al 30 giugno 1965.
La Commissione, tenendo in debito conto anche le disposizioni
contenute nell’articolo 2 del Regolamento n.25/62/CEE che aveva
istituito il FEOGA
2
, presentò il 15 marzo 1965 al Parlamento di
2
In esso si affermava la necessità di una responsabilità finanziaria
comunitaria, nel momento in cui si fosse entrati nella fase del mercato unico. Cfr.
Gian Paolo Casadio, “Una politica agricola per l’Europa”, Roma, 1967, p.12
5
Strasburgo e all’opinione pubblica, prima ancora che ai governi dei sei
Stati membri della CEE, un documento, che non si limitò a suggerire
un regolamento relativo al finanziamento della politica agricola per il
periodo 1965-1970. Quella proposta mirava infatti anche alla
sostituzione dei contributi finanziari, erogati dagli Stati membri, con
entrate dirette della Comunità, provenienti dai prelievi agricoli e dai
dazi doganali della tariffa esterna comune (riscossi all’importazione di
merci in provenienza da Paesi terzi) nonchè alla modifica dell’articolo
203 del Trattato di Roma, consistente in un potenziamento delle
prerogative del Parlamento europeo in materia di bilancio: ciò al fine
di garantire, a livello europeo, un adeguato controllo parlamentare
sulle notevoli somme costituite dalle entrate proprie della Comunità,
risorse la cui gestione sarebbe in tal modo sfuggita ai parlamenti
nazionali.
Così, le sei delegazioni che si riunirono nel Consiglio dei ministri
della CEE il 30 giugno 1965, in breve tempo, oltre a dover risolvere
una difficile questione tecnica (la formulazione di un nuovo
regolamento finanziario) sulla quale, tuttavia, un compromesso parve
possibile, furono impegnate dalle proposte della Commissione a
compiere, in quell’occasione, anche una fondamentale riflessione
politica sulle modalità, tramite le quali dotare la Comunità
6
dell’autonomia finanziaria (del resto, prevista dallo stesso Trattato di
Roma)
3
.
Favorevoli a discutere unitariamente tutte le proposte della
Commissione europea, senza scinderle, furono gli italiani, i belgi, i
lussemburghesi, gli olandesi e i tedeschi (entrambi questi ultimi,
peraltro, lo esigevano anche perchè vincolati dal voto dei loro
parlamenti, che si erano pronunciati a favore soprattutto del
rafforzamento dei poteri del Parlamento europeo) i quali, sebbene con
talune differenziazioni di vedute, ne avevano sposato globalmente il
contenuto.
4
Negando la necessità di correlare tra sè tutti i temi in questione, i
francesi ritennero invece fosse utile e urgente scindere il problema
tecnico da quello politico: quindi, pretendevano di risolvere il primo e
rimandare l’esame del secondo al momento in cui fosse stata
completata l’unione doganale.
5
La seduta si svolse nella affannosa ricerca di trovare una formula
di compromesso.
3
L’art.201 recita: “La Commissione verifica a quali condizioni i contributi
finanziari degli Stati membri previsti nell’articolo 200 possano essere sostituiti
con mezzi propri, specialmente con introiti ricavati dalla tariffa doganale comune
dopo l’introduzione definitiva di questa. La Commissione sottopone al Consiglio
le proposte relative. Udita l’assemblea su queste proposte, il Consiglio può
stabilire all’unanimità le disposizioni relative e raccomandarle agli stati membri
per l’accettazione, conformemente alle loro norme di diritto costituzionale.”
4
Cfr. Il Popolo, “Rinviati i negoziati per il M.E.C. agricolo”, 1/7/1965 p.1
5
Cfr. Gian Paolo Casadio, “Una politica agricola per l’Europa”, op. cit. p.58
7
Vista la difficoltà di superare la situazione di stallo, il ministro
degli esteri italiano, Fanfani, propose o di definire un regolamento
finanziario transitorio o d’attesa, per permettere di proseguire il
regolare svolgimento dell’attività del MEC (il regolamento, in effetti,
scadeva il 30 giugno), o di stilare un programma di lavoro per le
settimane a venire.
6
Hallstein, dal canto suo, invitò a non considerare come tassativa,
per il raggiungimento di un’intesa, la data del 30 giugno, ma la
delegazione francese rimase ferma sulle sue posizioni e ribadì la
necessità che l’accordo finanziario fosse trovato entro la nottata. Il
ministro degli esteri belga Spaak fu l’unico, tra i rappresentanti dei sei
governi, ad avvicinarsi alla posizione del collega francese Couve de
Murville: egli insistette affinché in quella seduta fosse trovata la
formula per il finanziamento agricolo.
7
La conferenza dei Sei terminò a tarda notte con una rottura:
ritenendo il contrasto insanabile, Couve de Murville decise di
abbandonare la riunione. La seduta fu aggiornata al 26 e 27 luglio ‘65.
6
Cfr. L’Avanti, “Confermato l’impegno per l’unità europea”, 15/7/1965 p.1
7
Cfr. L’Avanti, “Vivace discussione tra i sei a Bruxelles”, 1/7/1965 p.1
8
Il 1 luglio, il Presidente di turno della CEE, l’onorevole
Amintore Fanfani e il cancelliere Erhard rilasciarono dichiarazioni in
cui si affermava la loro volontà di proseguire i negoziati interrotti.
8
Sempre nello stesso giorno, a Parigi, il ministro francese dell’
Informazione Peyrefitte, al termine della riunione del Consiglio di
gabinetto, lesse il seguente comunicato:
In seguito al fallimento dei negoziati condotti a Bruxelles, il
Consiglio ha preso nota, deplorandolo, del fatto che un impegno
risalente a tre anni e mezzo di completare, prima del 30 giugno
1965 il regolamento finanziario non è stato mantenuto. Esso ha
constatato che la Comunità Economica Europea si trova per ciò
stesso, in una crisi tanto più seria in quanto il governo in vista del
regolamento finanziario aveva accettato di passare alla seconda
tappa del Trattato di Roma e in quanto le decisioni relative al
prezzo comune dei cereali, raggiunte il 15 dicembre 1964, erano
state prese tenuto conto di assicurazioni formali e ripetute che il
regolamento finanziario sarebbe stato completato come si era
convenuto, prima del 30 giugno 1965...
L’apertura di questa crisi è tanto meno giustificata in quanto la
delegazione francese aveva fatto proposte tendenti a fare
assumere alla Francia una parte del peso finanziario giudicato
eccessivo da alcuni dei suoi partners ed aveva, d’altra parte
accettato la conclusione dell’unione doganale per i prodotti
industriali al primo luglio 1967.
Il governo francese ha deciso di trarre, per quanto lo riguarda, le
conseguenze politiche, economiche e giuridiche della situazione
che si è creata a Bruxelles la notte scorsa.
9
8
Per le dichiarazioni di Fanfani cfr. Il Popolo, “Rinviati i negoziati per il
M.E.C. agricolo”, 1/7/1965 p.1; per quelle di Erhard cfr. Il Popolo, “Valutazioni
contrastanti sul mancato per il Mec agricolo”, 2/7/1965 p.1
9
Cfr. Il Popolo, “Valutazioni contrastanti sul mancato per il Mec agricolo”,
2/7/1965 p.1
9
In segno di protesta, il 5 luglio 1965, il governo francese
ufficializzò il ritiro dei suoi rappresentanti da Bruxelles, che un
portavoce del ministero degli esteri commentò in tal modo:
Non vi è alcuna utilità nel partecipare a sforzi per promuovere
nuove attività del Mercato Comune poiché non si è fatto fronte a
ciò che si supponeva fosse l’impegno più urgente del Mercato
Comune, e cioè la sistemazione degli accordi finanziari sulla
politica agricola comune. Di conseguenza riteniamo che l’attività
del Mercato Comune debba essere lasciata in sospeso.
10
Scoppiò, in questo modo, la cosiddetta “crisi della sedia vuota”.
Essa consistette in un “boicottaggio” delle istituzioni comunitarie, che
il governo di Parigi realizzò dando le seguenti direttive
11
:
1. i ministri francesi non dovevano, momentaneamente,
partecipare ad alcuna riunione a livello ministeriale dei Sei.
Stessa cosa avrebbero dovuto fare i ministri che rappresentavano
abitualmente la Francia ai consigli della CECA e dell’Euratom;
2. i funzionari francesi facenti parte del gruppo dei
rappresentanti permanenti a Bruxelles, dovevano restare al loro
posto, mentre il loro capo, Jean Marc Boegner, fu invitato a
rientrare a Parigi;
10
Cfr. Il Popolo, “La Francia ritira i rappresentanti da Bruxelles”, 6/7/1965
p.1
11
Cfr. L’Avanti, “Mec: paralizzati gli organismi della Comunità”, 7/7/1965
p.1
10
3. i funzionari francesi dipendenti amministrativamente dalla
Commissione della CEE dovevano rimanere a Bruxelles;
4. i funzionari “viaggianti”, che partecipavano nella capitale
belga ai numerosi gruppi di lavoro della CEE, erano invitati a
restare a Parigi.
Immediatamente, da parte dei cinque partners della Francia
emerse la comune volontà di riprendere il dialogo comunitario
mediante contatti e incontri bilaterali e multilaterali, nella speranza
che già per la riunione del Consiglio dei ministri della CEE del 26 e
27 luglio, la seduta contasse la presenza dei suoi membri al
completo.
12
Anche la Commissione europea si mosse nel tentativo di
ricomporre la rottura che si era verificata il 30 giugno: Hallstein fece
elaborare delle nuove proposte tenendo conto delle argomentazioni
sostenute dai ministri della CEE in quella fatidica giornata. Fu così
compilato un memorandum che lanciava un solido ponte verso le
concrete aspettative del governo francese sulla politica agricola
comunitaria. Per quanto riguardava la parte tecnica, si accettò la
12
Una occasione per parlare della crisi della CEE si presentò il 13 luglio,
giorno in cui i ministri degli Esteri Spaak, Luns e Fanfani, approfittando della
riunione della NATO che si era tenuta a Parigi, colsero l’occasione per incontrare
Couve de Murville. Cfr. L’Avanti, “Iniziati a Parigi i colloqui sulla crisi del
mercato comune”, 13/7/1965 p.2 e cfr. L’Avanti, “Fanfani a colloquio con Couve
de Murville”, 14/7/1965 p.2
11
richiesta italiana di predisporre un regolamento finanziario
provvisorio, in maniera tale da avere un lasso di tempo utile a studiare
gli effetti che questo avrebbe prodotto prima dell’adozione di quello
definitivo. Venne, poi, condiviso il desiderio tedesco di anticipare al
1° luglio 1967 la realizzazione dell’unione doganale.
13
Queste rettifiche andarono a coincidere con quanto la Francia il
30 giugno si era detta disposta a concedere, pur di vedere approvato il
regolamento che finanziasse l’agricoltura. Non fu abbandonata l’idea
di dotare la Comunità di risorse proprie, ma ne veniva solo differita la
data della realizzazione, a decorrere dall’anno 1970. Infine, la
Commissione non ritenne di potersi esprimere sul potenziamento dei
poteri del Parlamento europeo, visto che questo problema non era
stato affrontato nella riunione di giugno.
14
Il documento, formulato dall’organo esecutivo della CEE, fu
prontamente inviato a tutti i governi il 22 luglio, ma, come molti si
attendevano, non fece rientrare la crisi europea: per la prima volta
nella storia della Comunità, alla seduta del massimo organo
comunitario, uno dei Paesi non era rappresentato.
La Francia mantenne fede alla parola data: il 26 luglio non si
presentò a Bruxelles. Fu una conseguenza logica: era improponibile,
13
Cfr. Corrado Malandrino, “Walter Hallstein e la crisi della “sedia vuota”
(1965-1966)”, opera tratta da internet indirizzo www.unipmn.it
14
ibidem
12
per il governo francese, che i fili della mediazione fossero tenuti
proprio da chi (la Commissione), eccedendo dai suoi poteri, a suo
giudizio, aveva scatenato la crisi, avendo voluto introdurre in un
dibattito tecnico temi squisitamente politici.
Fanfani, presidente di turno del Consiglio dei ministri della CEE,
aprì ugualmente la seduta. Per prima cosa, fu illustrato da Hallstein il
nuovo progetto che la Commissione aveva predisposto il 22 luglio.
Dopo l’esposizione del Presidente della Commissione, i capi delle
delegazioni presero a turno la parola per esporre i rispettivi punti di
vista. Tutti espressero il proprio apprezzamento per il lavoro della
Commissione e si dichiararono concordi nel riconoscere interessante il
documento da essa redatto, che costituiva, per il futuro, un’utile base
di discussione. Essa, però, per ragioni di opportunità politica, non fu
avviata subito, in quanto tutti erano coscienti del fatto che un’azione
del genere avrebbe pregiudicato forse in modo definitivo le possibilità
di un ritorno di Parigi all’ovile del MEC. I Cinque, inoltre, tennero a
riconoscere la validità giuridica della sessione e manifestarono un
vivo rammarico per l’assenza della delegazione francese.
15
Si dissero, poi, intenzionati a convocare successive riunioni, sia
per confermare il proprio impegno ad affrontare i problemi, sia per
giungere ad una soluzione delle difficoltà che via via si stavano
15
Cfr. Il Popolo, “Si discute del Mec Assente la Francia”, 27/7/1965 p.1
13
incontrando. Ritennero, inoltre, opportuno evitare di deliberare su
materie di notevole rilievo, per non vincolare la Francia assente.
Considerarono, però, utile compiere taluni atti di ordinaria
amministrazione, necessari per la conservazione e il futuro sviluppo
della Comunità. Decisero, infine, di applicare la procedura scritta per
le comunicazioni alla Francia e di trasmetterle i verbali delle
riunioni.
16
Con queste accortezze i cinque evitarono la paralisi totale della
CEE: fu una soluzione di temporeggiamento che si affidava alla
possibilità di soli contatti bilaterali per risolvere la crisi Francia -
Mercato Comune Europeo.
Malgrado l’atteggiamento conciliante di Hallstein e la
disponibilità mostrata dai Cinque, contrariamente a quanto tutti si
aspettavano, la crisi nei giorni successivi si aggravò.
Il governo francese, infatti, cominciò ad accusare manifestamente
i suoi partners europei di essere responsabili, quanto la Commissione
europea della stasi in seno alla CEE, e, dell’organo esecutivo
comunitario, addirittura, contestò il ruolo istituzionale.
Il primo ministro Pompidou, in un’intervista alla TV, il 27 luglio
dichiarò:
16
ibidem
14
…quando si è trattato di adottare, alla data fissata da tre anni e
mezzo, il regolamento per la fine del periodo transitorio, i nostri
associati – malgrado notevoli concessioni da parte nostra – non
hanno rispettato impegni presi e riaffermati a più riprese. Peggio,
sono state sollevate molteplici questioni, economiche o politiche,
che erano nuove ed inopportune ad un tempo. In realtà, tutto è
stato rimesso in questione… Per l’avvenire vedremo, ogni
situazione può essere risolta, ed i prossimi mesi ci diranno quale
direzione potremo prendere. Di certo vi è che, se si vuole il
Mercato comune, bisognerà che vi sia un mercato comune
agricolo ed un equo regolamento finanziario. Di certo vi è, anche,
che non accetteremo che tutta l’economia francese sia diretta
dall’esterno senza che il governo possa esercitare le
responsabilità che assume nei confronti del popolo francese. Il
buon senso ci indica e l’esperienza ci dimostra che non possiamo
lasciare ad una commissione priva di vocazione politica il
compito di decidere del tenore di vita dei francesi, del destino
della nostra agricoltura e della nostra industria. Tale è la nostra
posizione e a questa posizione noi ci atterremo…
17
La Francia, dunque, non si limitò più a richiedere il
completamento del mercato comune agricolo, ma intraprese una
nuova battaglia il cui obbiettivo fu quello di eliminare le velleità
politiche della Commissione europea e di far abbandonare qualsiasi
tentazione di sviluppo politico della Comunità in senso federale.
Nella conferenza stampa che il Presidente della Repubblica
francese, il generale de Gaulle, tenne il 9 settembre, questo intento fu
palesato in maniera limpida. Egli affermò che gli sforzi francesi
miravano a costruire una Comunità equa e responsabile:
Equa vuol dire che i prodotti agricoli devono entrare nel Mercato
Comune allo stesso tempo dei prodotti industriali. Responsabile
17
Cfr. Il Popolo, “Stentata difesa di Pompidou sui rapporti Francia-M.E.C”,
28/7/1965, p.8
15
significa che ciò che è importante, oggi, nell’organizzazione,
domani, nel funzionamento del Mercato Comune dei Sei, deve
essere deciso e, a maggior ragione applicato, dai poteri
responsabili nei sei Stati, vale a dire dai governi controllati dai
parlamenti. Ora si sappia che c’è una concezione differente nei
confronti di una federazione europea nella quale, secondo i sogni
di coloro che l’ hanno concepita, i Paesi perderebbero la loro
personalità.
18
Ancora più esplicitamente condannò l’idea di un’unione
sovranazionale dell’Europa per la prospettiva che questa prefigurava:
l’Europa “sarebbe stata retta da un areopago tecnocratico, apolide e
irresponsabile”
19
. Per scongiurare questo pericolo, secondo de Gaulle,
era necessario dare una corretta interpretazione al Trattato di Roma in
modo da evitare il ripetersi di certi errori ed equivoci in cui si era
incorsi il 30 giugno. Inaccettabili, per la Francia, le conseguenze di un
assoggettamento al principio del voto a maggioranza per le decisioni
da prendere in seno al Consiglio dei ministri della CEE, principio che
sarebbe automaticamente entrato in vigore a partire dal 1° gennaio
1966; con tale sistema di votazione, a giudizio di de Gaulle, si sarebbe
potuta perfino mettere in discussione l’inclusione della agricoltura nel
Mercato Comune:
Abbiamo potuto misurare più chiaramente ciò cui la Francia
potrebbe essere esposta in futuro se questa o quella disposizione
iscritta nel Trattato di Roma dovesse essere realmente applicata.
Così, secondo il testo, a partire dal 1° gennaio prossimo, le
decisioni del Consiglio dei ministri dei Sei sarebbero prese a
18
Cfr. Il Popolo, “Il generale anti-comunitario minaccia la crisi della
N.A.T.O.”, 10/7/1965 p.1
19
ibidem
16
maggioranza, il che significa che la Francia potrebbe vedersi
forzare la mano in ogni materia economica e di conseguenza
sociale e addirittura politica, e che persino ciò che potrebbe
sembrare acquisito dal punto di vista agricolo, potrebbe, suo
malgrado, essere rimesso in causa ad ogni momento. E d’altra
parte, le proposte della Commissione, sempre secondo il
medesimo testo, a partire dal 1° gennaio prossimo, presentate al
Consiglio dei Ministri per essere adottate o no tali e quali, senza
che gli Stati possano mutarne nulla, a meno che per casi
straordinari fossero unanimi a formulare un emendamento. Si
vede ciò a cui potrebbe condurci una simile subordinazione, se ci
lasciassimo andare a rinnegare nello stesso tempo la libera
disposizione di noi stessi e la nostra Costituzione, la quale fissa
che la sovranità francese appartiene al popolo che la esprime
attraverso i rappresentanti e per mezzo dei referendum senza che
sia prevista dalla Costituzione alcuna eccezione...
20
Dopo aver sferzato un nuovo attacco alla Commissione Hallstein
per le sue proposte, il Presidente della Repubblica francese dettò le
condizioni per la ripresa di un dialogo europeo:
Checchè ne sia, la Francia è pronta a partecipare a qualsiasi
scambio di idee che venga proposto dai governi ed è disposta a
riprendere il negoziato di Bruxelles a partire dal momento in cui
l’ingresso dell’agricoltura sia realmente adottato e la si faccia
finita con le pretese che miti abusivi si oppongano al buon senso
e alla realtà.
21
I rappresentanti dei cinque Paesi soci della Francia, pur
manifestando qualche perplessità per l’atteggiamento tenuto da de
Gaulle nella sua conferenza stampa, non disperarono, ma si misero
20
ibidem
21
ibidem
17
subito alla ricerca di una possibile mediazione, visto che da parte dello
statista francese non si era mostrata una totale chiusura al dialogo.
Questa disponibilità, tuttavia, non prescindeva dalla fermezza a
salvaguardare il Trattato di Roma.
22
Del resto, trovare una soluzione si
faceva pressante: le importanti scadenze che stavano di fronte al
Consiglio dei ministri degli Esteri della CEE (politica agricola,
Kennedy Round, bilancio della Comunità e fusione degli esecutivi)
non potevano essere rispettate fin quando la Francia avesse continuato
a restare assente nelle riunioni comunitarie.
23
Il modo per uscire dalla situazione di quasi paralisi che stava
attraversando la Comunità fu suggerito dal ministro degli Esteri belga
Spaak verso la fine del mese di settembre. Questi propose di
convocare una riunione dei ministri degli Esteri dei sei Paesi del
MEC, senza la partecipazione della Commissione esecutiva presieduta
da Hallstein (l’artefice, secondo de Gaulle, della rottura del 30
giugno). Il belga rilevò che l’unica strada percorribile era quella di
accantonare momentaneamente la Commissione, lasciando ai soli
governi la responsabilità delle azioni da adottare. Precisò, inoltre, che,
la mancata presenza della Commissione, escludeva l’ipotesi che si
potesse parlare di modifiche ai suoi poteri: questa era stata il motore
22
Cfr. Il Popolo, “I primi commenti italiani”, 10/9/1965, p.1, cfr. Il Popolo,
“Caute ma ferme reazioni di Bonn alle tesi golliste”, 11/9/1965, p.7 e cfr. Il
Popolo, “Ottimisti Luns e Spaak sulla crisi del Mec”, 18/9/1965, p.1
23
Cfr. L’Avanti, “Incontro dei Sei proposto da Spaak”, 29/9/1965, p.2