VI
c) il tema sta diventando oggetto di complessi insiemi di norme di varia
natura, sia a livello internazionale che nei singoli paesi, inclusa
l’Italia.
Le imprese operanti nei settori più competitivi si trovano oggi a
dover affrontare due sfide fondamentali per quanto riguarda i sistemi di
incentivazione, dalle quali ci sembra interessante prendere spunto per
introdurre le stock option
3
:
• la necessità di allineare gli obiettivi dei manager a quelli degli
azionisti, nell’ottica di creazione di valore per i secondi;
• l’esigenza di attrarre e trattenere le persone più adatte al
raggiungimento degli obiettivi di business.
I piani di stock option si ispirano ad un principio di base: far sì
che gli amministratori operino nell’interesse degli azionisti, in quanto
danno la possibilità a questi stessi soggetti di acquistare azioni della
società in cui prestano la propria attività lavorativa. Occorre però
sottolineare che le stock option non sono l’unico meccanismo in grado di
orientare gli amministratori agli interessi degli azionisti, in quanto
esistono anche altri strumenti (alcuni dei quali verranno presi in esame
nel corso del nostro lavoro). Inoltre, se è vero che gli azionisti devono
ricoprire un ruolo primario nella società, è altrettanto vero che i loro
interessi devono essere contemperati con quelli degli altri stakeholders.
I motivi che portano le imprese, soprattutto nel mondo
anglosassone, a preferire i piani di stock option ad altri meccanismi
equivalenti dal punto di vista degli obiettivi, sono fondamentalmente tre:
1. i principi contabili fino ad ora esistenti consentono di non rilevare nei
bilanci delle imprese il costo dei piani di stock option attuati a favore
del personale o degli amministratori e, di conseguenza, il costo dei
3
BRERO-MARCHESI (2001:95).
VII
piani di stock option non è direttamente osservabile nel conto
economico
4
;
2. i piani di stock option, se rispettano alcune condizioni, producono un
rilevante vantaggio fiscale rispetto ad altre forme retributive, anche
nel contesto italiano;
3. l’idea del piano di stock option ha un forte impatto comunicativo nei
confronti di investitori poco sofisticati
5
.
Lo scopo di questa tesi è quello di affrontare nel dettaglio il
problema della rappresentazione in bilancio delle stock option. La
comprensione del problema contabile, tuttavia, presuppone una
conoscenza approfondita della natura e del funzionamento di tale
strumento. Per questo motivo, la parte iniziale del lavoro è dedicata ad
inquadrare i piani di stock option tra le diverse forme di remunerazione
che le società possono utilizzare, facendo riferimento anche ai risultati di
uno studio condotto a livello mondiale dalla società di consulenza
Towers Perrin. La trattazione si sofferma, sempre nel capitolo primo,
sulle finalità che spingono le società ad introdurre le stock option
all’interno della propria struttura retributiva, ma anche sui limiti impliciti
in questo strumento che, se da una parte è in grado di apportare benefici
notevoli, dall’altra non è certo privo di aspetti negativi e di elementi di
incertezza. Collegandosi a questo tema, risulta necessario fornire un
contesto teorico di riferimento in grado di spiegare la diffusione delle
opzioni azionarie, individuato nella teoria di agenzia. Tale quadro di
riferimento concettuale, alla base del quale vi è il fenomeno della
separazione tra la proprietà ed il controllo delle imprese tipico della
public company anglosassone, conduce ad interpretare gli incentivi
4
Vedremo nei capitoli seguenti come questa situazione è destinata a cambiare in breve tempo,
grazie al nuovo principio contabile in materia di remunerazioni azionarie emesso
dall’International Accounting Standard Board (IASB), ovvero l’IFRS 2, in vigore a partire dal
1° Gennaio 2005.
5
AIROLDI-ZATTONI (2001:12).
VIII
manageriali quali strumenti per la riduzione dei costi di agenzia,
derivanti dall’esistenza di un conflitto di interessi tra azionisti e
management. La base teorica accolta consente inoltre di riflettere sulle
condizioni necessarie affinché i piani di stock option possano avere
efficacia incentivante, partendo dal presupposto che tali piani sono
strutturalmente legati alla performance azionaria nel determinare la
remunerazione attesa per il possessore, per poi individuare dei criteri di
misurazione della performance aziendale alternativi al mercato, a cui
l’impresa può ricorrere con lo scopo di modificare il meccanismo
intrinseco alle opzioni. Sempre nel primo capitolo, si cercano di
sintetizzare le fasi alla base del procedimento di adozione di uno stock
option plan, dato che ciò risulta determinante per comprendere la
complessità di tali piani e riflettere sugli aspetti più problematici che le
imprese devono considerare durante la loro progettazione (come il costo
dei piani e l’attività di comunicazione ad essi associata).
Nel secondo capitolo si illustrano gli elementi di base dei piani di
stock option che le imprese possono adottare, come premessa necessaria
per poi entrare nel dettaglio delle caratteristiche dei piani stessi. Le
classificazioni presentate sono riferite prevalentemente alla realtà
statunitense, in quanto è in questo Paese che lo strumento delle stock
option si è diffuso da più lungo tempo e da tale contesto sono stati
mutuati la maggior parte dei meccanismi utilizzati anche altrove. Il
panorama degli stock option plans si presenta molto ampio, con
classificazioni che possono basarsi sul trattamento fiscale previsto dalla
disciplina statunitense (in base ai diversi destinatari e alla quantità di
titolo concessi in opzione), sul carattere fisso o variabile del prezzo di
esercizio e del numero di opzioni concesse (fixed stock option plans e
variable stock option plans), ma anche sul tipo di parametro di
performance considerato (legato al mercato o all’andamento
IX
dell’impresa). Accanto ai piani di stock option in senso stretto, si
analizzano poi i tratti essenziali di ulteriori forme di incentivazione
azionaria, entrando nello specifico delle Restricted Stock (di recente
molto utilizzate, basti pensare al caso di Microsoft
6
), degli Stock
Appreciation Rights (SAR) e delle Phantom Stock, e riportando anche
alcune delle varianti più diffuse delle stock option tradizionali.
A questo punto, dopo aver delineato un quadro di riferimento
chiaro e completo dei piani di stock option, aver analizzato il loro
funzionamento e le possibili varianti alla tipologia di base, è possibile
passare al corpo centrale del nostro lavoro, ovvero la valutazione e la
rappresentazione contabile delle stock option. Il richiamo dei principali
modelli elaborati per la valutazione delle opzioni è di importanza
strumentale per discutere l’impatto dei piani di stock option sui bilanci
delle imprese; per questo il terzo capitolo si apre con un paragrafo
dedicato alla determinazione del valore delle opzioni. Inizialmente si
presentano le componenti del valore delle opzioni (il valore intrinseco ed
il valore temporale), e si prosegue richiamando i principali modelli di
option pricing. Dato che tali modelli sono stati elaborati per valutare le
opzioni negoziate sui mercati, risultano necessarie alcune modifiche per
renderli uno strumento pienamente efficiente nella valutazione delle
stock option attribuite ai dipendenti; le correzioni da apportare vengono
infatti menzionate in chiusura del paragrafo.
Il problema contabile viene affrontato presentando, dapprima, la
situazione vigente negli Stati Uniti, sempre a causa della maggiore
esperienza in materia di regolamentazione delle stock option, per passare
poi ad illustrare le recenti tendenze dello IASB (International
6
Microsoft, nel Luglio 2002, ha deciso di abbandonare le stock option, in passato molto
utilizzate per i propri dipendenti, per sostituirle con restricted stocks, come specificato negli
articoli di FLORENZANO-PERCIVALLE (2003:15) e PLATERO (2003:8).
X
Accounting Standard Board) sul trattamento contabile delle
remunerazioni azionarie e soffermarci, infine, sulla situazione italiana.
Con riferimento alla realtà statunitense, viene analizzato il
contenuto dei due documenti base in materia di stock option:
l’Accounting Principle Board (APB) Opinion n. 25 del 1972 ed il
Financial Accounting Standard Board (FASB) Statement n. 123 del
1995. Tali paragrafi hanno l’obiettivo di ripercorrere i momenti
dell’evoluzione legislativa statunitense attinente alle opzioni azionarie e,
soprattutto, di presentare i diversi criteri suggeriti per valutare le opzioni
(valore intrinseco per l’Opinion n. 25, fair value per lo SFAS n. 123) e
per rilevare il loro costo nei bilanci delle società, anche attraverso le
scritture in partita doppia associate a ciascuna modalità di rilevazione.
Sempre in relazione agli Stati Uniti, viene infine illustrata
l’evoluzione più recente, sia a livello di legislazione (con alcuni nuovi
interventi del FASB in materia), che per quanto attiene le tendenze
nell’impiego delle stock option che si stanno diffondendo tra le imprese
statunitensi.
La situazione italiana viene introdotta partendo dai recenti
provvedimenti in campo internazionale assunti dallo IASB, organismo
preposto alla statuizione di principi contabili internazionali, il cui
progetto sul trattamento in bilancio delle remunerazioni azionarie
(International Financial Reporting Standard, Share-Based Payment,
IFRS 2, del Febbraio 2004) ha forti ripercussioni sulle imprese italiane.
Questo è dovuto, soprattutto, al Regolamento europeo
7
che impone a
tutte le società quotate dell’Unione Europea di redigere i loro conti
consolidati, a partire dal 2005, in base ai principi contabili emessi dallo
IASB. La proposta di contabilizzazione presentata dall’IFRS 2 mira a
riflettere la natura economica dell’operazione di concessione di opzioni
7
Si tratta del Regolamento CE n. 3626/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio.
XI
al management: il fair value delle opzioni viene riconosciuto quale costo
del personale.
Successivamente si entra nel dettaglio del caso italiano, cercando
di analizzare gli aspetti civilistici e fiscali delle norme sulle stock option,
nonché le disposizioni emanate dalla Consob (Commissione Nazionale
per le Società e per la Borsa) negli ultimi anni. Lo studio di uno
strumento complesso come le stock option non può infatti prescindere
dall’illustrare i presupposti giuridici sui quali i piani si basano in Italia,
valutando la comparabilità del meccanismo incentivante proprio delle
opzioni con la normativa del nostro Paese. Il legislatore italiano non si è
mai occupato di piani di stock option quale forma di retribuzione degli
amministratori e dei manager delle imprese; si è invece occupato di
azionariato dei dipendenti come forma di partecipazione alla vita
dell’azienda. Ci troviamo così in una situazione nella quale i piani di
stock option sono di fatto costruiti sulla base di norme pensate per altri
fini. Per quanto riguarda il trattamento fiscale, le disposizioni in essere
hanno permesso in passato comportamenti opportunistici, che hanno dato
luogo a gravi fenomeni di elusione fiscale. Oggi la normativa è più
organica, anche se riserva comunque ai piani di stock option un
trattamento particolarmente favorevole (sempre che siano soddisfatte
alcune condizioni che successivamente vedremo). È importante
sottolineare che la Consob sta formando un corpus di regole per quanto
riguarda le opzioni concesse agli amministratori ed ai manager delle
imprese quotate, al fine di rendere più trasparenti gli aspetti legati a tale
fenomeno. Il capitolo terzo si conclude con l’analisi del problema
contabile in Italia, cercando di illustrare quali saranno le conseguenze
dell’introduzione dell’obbligo di contabilizzare il costo associato alle
stock option nel bilancio delle imprese. La conclusione a cui si giunge è
che la corretta contabilizzazione dei costi associati alle stock option
XII
rappresenta, senza dubbio, un presupposto fondamentale per la
comparabilità dei bilanci delle imprese ed è inoltre indispensabile per
riflettere in modo adeguato la sostanza economica del fenomeno oggetto
di studio. Anche per quanto riguarda il caso italiano, vengono riportate le
scritture in partita doppia, distinte a seconda dello strumento giuridico
utilizzato per effettuare le assegnazioni di opzioni ai dipendenti.
È importante riflettere sui possibili significati dei piani di stock
option in un contesto economico e culturale come quello italiano,
profondamente diverso da quello statunitense. I piani di stock option veri
e propri sono tipici delle public company anglosassoni, nelle quali esiste
una sostanziale separazione tra proprietà e management; in Italia, non
esiste alcuna impresa per la quale non sia immediatamente individuabile
un nucleo di azionisti di controllo stabili e che, quindi, sia assimilabile ad
una società ad azionariato diffuso. Questi aspetti vengono analizzati nel
capitolo quarto, che si pone l’obiettivo di illustrare da vicino la realtà
italiana, attraverso i risultati di uno studio empirico da noi condotto,
avente ad oggetto prevalentemente imprese italiane quotate nel Mib30. In
questa parte del lavoro vengono presentate le caratteristiche dei piani di
incentivazione azionaria posti in essere dalle imprese del campione nel
triennio 2000/2002, con particolare riferimento alle stock option. Dopo
aver analizzato i dati raccolti, in base ad una serie di variabili di grande
rilevanza (come l’oggetto dei piani, i destinatari o le modalità di
determinazione del prezzo di esercizio), ed aver evidenziato sia le
modalità di attuazione, sia alcuni aspetti economici e di funzionamento
peculiari del nostro Paese, si cerca di trarre delle considerazioni
conclusive. In sostanza è possibile affermare che le stock option stanno
diventando uno strumento ampiamente diffuso nel contesto italiano,
anche se con peculiarità proprie derivanti dalle forti differenze tra la
XIII
realtà italiana e quella del mondo anglosassone, ma è ancora impensabile
che si raggiungano gli eccessi a cui si è assistito negli Stati Uniti.
In virtù di quanto esposto fino ad ora, possiamo concludere che,
nel corso del lavoro, si vogliono analizzare le principali tematiche
inerenti l’attuazione dei piani di stock option a favore del management,
rivolgendo particolare attenzione ai problemi legati alla rappresentazione
contabile delle opzioni, ma anche con riferimento ai presupposti
economici che ne costituiscono il fondamento, la cui comprensione è
indispensabile per un uso appropriato da parte delle imprese di uno
strumento così complesso.
1
Capitolo 1
I PIANI DI STOCK OPTION. GENERALITA’
1.1 DEFINIZIONI
1.2 FINALITÀ DEGLI STOCK OPTION PLANS E LORO POSSIBILI
LIMITI
1.3 CENNI ALLA TEORIA DI AGENZIA
1.4 ARTICOLAZIONE DEI PIANI E CONDIZIONI PER IL LORO
SUCCESSO
2
1.1 Definizioni
Al fine di analizzare il fenomeno delle stock option occorre
innanzitutto fornire alcune definizioni fondamentali per comprendere la
terminologia di seguito utilizzata, nonché inquadrare l’argomento
nell’ambito delle diverse forme di incentivazione del personale che le
società possono utilizzare.
I piani di stock option si basano sull’attribuzione di opzioni call
ad un determinato numero di dirigenti e/o dipendenti della società
emittente, ad un prezzo (exercise/strike price) generalmente inferiore a
quello di mercato (stock price), per l’acquisto (in caso di emissione di
nuove azioni) o la sottoscrizione (se si tratta di azioni già esistenti) di
azioni della società stessa, trascorso un certo periodo di tempo (vesting
period) e lungo un arco temporale determinato (exercise period).
Le differenze tra executives stock option (cioè le opzioni attribuite
ai dirigenti) e traded stock option (le normali opzioni negoziate nei
mercati finanziari) sono notevoli, e di seguito cercheremo di illustrare le
principali.
Innanzitutto, nel caso di executives stock option il diritto di
opzione è attribuito in cambio dello svolgimento di attività lavorativa per
un certo numero di anni da parte del dipendente, che deve quindi
“guadagnarsi” la facoltà di esercitare le opzioni a lui offerte
1
. Le opzioni
riservate ai dipendenti non sono immediatamente attribuite loro, ma sono
sottoposte ad una condizione sospensiva per l’assegnazione (la
cosiddetta vesting requirement): i diritti di opzione decadono se il
beneficiario non resta in servizio presso l’impresa emittente durante il
periodo di tempo stabilito nel piano (service period). In questo modo
l’azienda si assicura una certa fedeltà da parte del dipendente destinatario
1
CATUOGNO (1998:2)
3
delle opzioni. La continuità del rapporto di lavoro durante il service
period rappresenta la condizione minima necessaria per esercitare le
opzioni assegnate, ma, spesso, sono presenti ulteriori condizioni che
legano le stock option al raggiungimento di determinati obiettivi di
performance, sia individuali che aziendali.
Un’altra differenza sostanziale risiede nel fatto che le opzioni
assegnate ai dipendenti non possono essere negoziate: non possono cioè
essere vendute né trasferite in alcun modo ad altre persone, poiché solo il
dipendente può trarne beneficio
2
. Conseguenza di questo è che, mentre le
opzioni negoziabili vengono generalmente esercitate soltanto alla
scadenza oppure vengono vendute prima di tale momento, il manager
che possiede delle stock option , se vuole eliminare la sua esposizione al
rischio, può solo esercitare l’opzione prima della scadenza, a meno che
non decida di lasciar decadere il diritto. Questo fa sì che per le executives
stock option vi sia una forte probabilità di esercizio prima della scadenza.
Un’ultima ed importantissima caratteristica delle stock option
attribuite ai dirigenti, che deriva dalla loro non negoziabilità, è che esse
non hanno un prezzo di mercato e dunque si pone il problema della loro
valutazione. Proprio su questo argomento si concentrerà una parte
rilevante del presente lavoro, al fine di capire come sia possibile
assegnare un valore significativo alle opzioni azionarie attribuite ai
dipendenti e poter quindi determinare il costo che sostengono le imprese
che emettono tali strumenti.
Gli stock option plans nascono principalmente con la finalità di
incentivare il personale, soprattutto i dirigenti, a lavorare per il successo
dell’azienda, riducendo così le conflittualità interne che solitamente
sorgono tra portatori di interessi differenti, ovvero tra azionisti, manager
2
Vedremo in seguito che le stock option sono intrasferibili inter vivos ma, in caso di morte del
beneficiario, la possibilità di esercitare le opzioni maturate si trasferisce agli eredi, anche se per
un periodo di tempo limitato (di solito 6 mesi).
4
e lavoratori. Far partecipare i dipendenti al successo che essi stessi
contribuiscono a creare, attraverso un meccanismo operativo che premia
le performance elevate, è conveniente per l’impresa, dato che i risultati
positivi a livello aziendale sono in larga misura legati al talento, alle
capacità e al coinvolgimento delle persone che vi lavorano.
Le caratteristiche di base degli stock option plans, pur essendo
presenti numerose varianti, possono essere così sintetizzate
3
:
- le opzioni riguardano azioni della società presso la quale il lavoratore
presta servizio, o azioni della società controllante;
- il prezzo di esercizio è definito dalla società che concede le opzioni;
- le opzioni concesse sono personali e intrasferibili;
- le azioni oggetto di opzione derivano da un apposito aumento di
capitale, o sono azioni già esistenti che l’impresa acquista sul mercato
al momento dell’assegnazione delle opzioni o alla data del loro
esercizio da parte del beneficiario;
- lo opzioni offerte a dipendenti e dirigenti sono sempre di tipo call,
quindi danno diritto ad acquistare le azioni sottostanti ad un prezzo
prefissato;
- le opzioni sono di norma concesse gratuitamente dalla società ai
lavoratori destinatari del piano;
- spesso l’entità delle opzioni assegnate a ciascun soggetto è
determinata in proporzione alla retribuzione annua lorda e, soprattutto
per quanto riguarda i dirigenti, l’ammontare delle opzioni concesse
dipende dal raggiungimento di particolari risultati;
- il periodo di esercizio è in genere compreso tra 3 e 10 anni, dato che
si tratta di uno strumento destinato ad esplicare i propri effetti
incentivanti nel lungo termine;
3
BERTONI (2002:3).
5
- talvolta sono previste delle agevolazioni fiscali per i dipendenti, a
condizione che i piani rispettino alcuni requisiti, al fine di impedire
che essi assumano finalità eccessivamente speculative.
L’espressione “stock option” non esaurisce però le forme di
partecipazione azionaria dei dipendenti che una società può realizzare,
anche se nel contesto italiano tale termine viene utilizzato per riferirsi a
tutti gli incentivi di natura azionaria, comprendendovi anche le
assegnazioni di azioni ai dipendenti, sia gratuite che a pagamento.
Facendo riferimento alla terminologia in vigore negli Stati Uniti, Paese
dove questi strumenti si sono maggiormente sviluppati, si devono
menzionare almeno altre due categorie di piani:
a) stock grant plans: piani che attribuiscono a titolo gratuito ai
beneficiari azioni della società in cui prestano la propria attività
lavorativa;
b) stock purchase plans: piani che garantiscono ai beneficiari la facoltà
di acquistare azioni della società ad un prezzo prefissato,
normalmente con uno sconto sul prezzo di mercato dei titoli.
Le diverse tipologie di stock option plans e le possibili varianti di
tale strumento saranno esaminate in modo approfondito nel capitolo 2
del presente lavoro; per il momento basti sottolineare che la differenza
tra assegnazione di opzioni e attribuzione di azioni è notevole. Infatti, i
beneficiari di stock option sono in genere soggetti ad un vincolo
temporale per quanto riguardo l’esercizio delle opzioni (di solito da tre a
dieci anni nei paesi anglosassoni), ma sono liberi di rivendere i titoli
acquistati, una volta esercitata l’opzione, anche immediatamente dopo
l’acquisto. Questo rende molto probabile che i titolari di stock option non
mantengano la proprietà delle azioni per un lungo periodo di tempo e, di
conseguenza, i piani di azionariato ai dipendenti basati sulle azioni sono
spesso ritenuti più indicati delle stock option per creare quella visione di
6
lungo termine e quel senso di appartenenza all’impresa che derivano dal
coinvolgimento diretto dei lavoratori nel capitale della società.
L’attribuzione di stock option ai dirigenti si inquadra in un
contesto più ampio, nel quale la remunerazione manageriale complessiva
è costituita da una pluralità di componenti, legate a scopi differenti
4
. Le
tre componenti base della remunerazione manageriale sono:
1. la retribuzione annua lorda (base pay): rappresenta la componente
principale del trattamento economico, ovvero l’insieme degli
elementi fissi della retribuzione, nonché gli elementi ad essi accessori
(ad esempio indennità legate alla specifica mansione o alla sede di
lavoro). Tale componente viene tradizionalmente determinata in base
a tre parametri fondamentali: la posizione ricoperta, l’equità
retributiva all’interno dell’organizzazione e le condizioni praticate sul
mercato;
2. gli incentivi a breve termine: si tratta di bonus in contanti o
partecipazioni agli utili (profit sharing), generalmente legati al
raggiungimento di specifici obiettivi di performance aziendale o
individuale. Non risultano essere particolarmente efficaci
nell’orientare l’operato dell’alta direzione verso l’ottimizzazione
delle scelte strategiche, in quanto portano i manager a focalizzarsi
essenzialmente su risultati di breve periodo, piuttosto che su progetti
di più ampio respiro. Ad esempio, i manager potrebbero rinunciare ad
investimenti che presentano un rendimento elevato, i cui risultati sono
però visibili solo in un arco temporale piuttosto lungo, ed
intraprendere, invece, progetti che assicurano ritorni meno consistenti
ma immediati, al fine di ottenere i bonus legati ad obiettivi di breve
termine. Tali incentivi, insieme a quelli a lungo termine,
rappresentano la remunerazione variabile (variable pay);
4
MEO (2000:5).