2
Colei che Lukács definì «uno dei massimi talenti di scrittore»
1
fu di
ingegno «precoce, ma di originalità tardiva. Precoci e irresistibili i primi
passi, il bisogno di raccontare favole e storie; ma tardiva la rivelazione di
sé a se stessa, la conquista della personalità e dello stile»
2
.
Il romanzo è il genere in cui la Morante realizza meglio la sua
straordinaria capacità di affabulazione; tale scelta è istintiva, ma non
casuale, parte dalla convinzione che solo nel romanzo (genere
estensivamente comprensivo anche del poema epico e cavalleresco) un
autore possa restituire «intera una propria immagine dell’universo reale (e
cioè dell’uomo nella propria realtà)»
3
.
In questa scelta la scrittrice compie in maniera decisiva, ma seguendo
vie diverse dai neorealisti, il progetto inattuato dei solariani, che a loro
volta avevano fatto propria l’esigenza stilistica della «Ronda»: il rilancio
del romanzo in Italia, l’aspirazione ad una narrativa «drammatica e
umana», predilige, sul piano dei contenuti, lo scavo interiore e il recupero
memoriale e sul piano formale un’“aura poetica” che sollevi la pagina ad
un livello lirico-evocativo.
Ogni sua opera propone «un intero sistema del mondo» tramite un
nuovo personaggio, ogni destino diviene una storia di precedenti e la
narrazione risulta un metodo di conoscenza per precedenti e
conseguenze, così «quasi tutti i libri della Morante nascono dalla fertilità
1
G. LUKÁCS, L’ottobre e la letteratura, «Rinascita», 27 ottobre 1967, 329-31.
2
C. GARBOLI, Il gioco segreto, Milano, Adelphi, 1995, 21.
3
E. MORANTE, Nove domande sul romanzo, «Nuovi argomenti», XXXVIII-IX (1959), 18.
3
di questa contraddizione, e dalla sua capacità di creare, di volta in volta, e
spesso simultaneamente, l’ilarità e la tragedia»
4
.
Passando attraverso le esperienze dei «luoghi dell’assenza» (Alibi) del
pamphlet poetico e il lirismo mitizzante (Il mondo salvato dai ragazzini) il
romanzo viene reinventato, arricchendosi di connotazioni e motivi
poetici; in ogni romanzo morantiano è proprio l’intera costituzione del
mondo che viene rielaborata e definita di nuovo: così prende forma
l’irrealtà divorante, il morbo fantastico, che sprigiona follia da una
passione idolatrica, erotico-snobistica (Menzogna e sortilegio). Poi l’isola
della felicità e dell’avventurosa innocenza, l’eroe ragazzo che incontra la
realtà come incubo della degradazione (L’isola di Arturo).
Successivamente veste i panni del «cronista impotente, poeta epico
appassionato»
5
della strage degli indifesi e della realtà rappresentata in La
storia per rientrare nella memoria e nella visionarietà col barocco
monologo interiore di Aracoeli.
Rispetto al panorama culturale del tempo in cui visse, tali opere
nascono subito con la certezza di essere autosufficienti e valide in se
stesse: il loro linguaggio non può essere sostituito da altri, nessun
supporto critico le accompagna, nessuna spiegazione o giustificazione:
esse ci attendono, sole, per rivelarci la loro «verità poetica incorruttibile».
4
C. GARBOLI, Il gioco segreto…, 128.
5
C. GARBOLI, Saggi di Elsa, in Scritti servili, Torino, Einaudi 1989, 162-63.
CAPITOLO I
LA PREISTORIA NARRATIVA
5
I. 1 GLI ESORDI LETTERARI.
L’attività letteraria di Elsa Morante si divide in due grandi fasi
cronologiche, ciascuna distinta da un diverso ritmo di produzione e da
un diverso rapporto ideologico con la letteratura; la prima fase, dal 1930
al 1945, anno in cui inizia la stesura di Menzogna e sortilegio, è relativa a
quella produzione minore, semisconosciuta alla grande critica, la seconda
fase, dal 1945 ad Aracoeli è la stagione della grande produzione
romanzesca.
La vocazione letteraria si manifestò nella scrittrice precocemente,
ispirandole da prima fiabe per fanciulli e successivamente una vastissima
produzione destinata a comparire sulla stampa periodica. Nei primi anni
trenta, non ancora ventenne, collabora al «Corriere dei piccoli» con
racconti e novelle che a volte si sviluppavano fino ad occupare più
puntate, come il racconto Storia dei bimbi e delle stelle.
La letteratura ― alla quale si affida come «cercando il miracolo,
l’affermazione di una religione magica, insieme sontuosa e dolce,
cerimoniale e consolatrice»
1
― diviene per una professione obbligata il
1
G. FERRONI, Elsa Morante, in Storia della letteratura italiana. Il Novecento, Torino,
Einaudi, 1991, IV, 551.
6
giorno in cui, interrotti gli studi, «per curiosità della vita»
2
, si distacca
progressivamente dalla famiglia dando inizio ad una sistematica attività di
‘pubblicista’ su vari giornali e riviste: «I diritti della scuola», «Il meridiano
di Roma», «Il popolo di Roma», «Oggi», «Il selvaggio». Tra il settembre
1935 e l’agosto 1937 esce sui «Diritti della scuola» il romanzo a puntate
Qualcuno bussa alla porta e nel 1937, presentata da Giacomo Debenedetti,
collabora al «Meridiano di Roma» coi racconti: L’uomo dagli occhiali, Il gioco
segreto, La nonna e Via dell’angelo.
Sin da questa prima produzione la Morante rivela un gusto
originalmente fantastico-verista, debitore nei confronti del grande
romanzo popolare e psicologico dell’Ottocento e totalmente estraneo al
surrealismo allora imperante di Bontempelli e Savinio.
Ai testi tronfi e intrisi di retorica fascista essa contrappone il proprio
incontenibile impulso a raccontare, la propria lontananza da ogni moda e
modello, la propria scrittura già assolutamente personale e tanto libera,
nella sua levità, da suonare anche eversiva rispetto alle ridondanze degli
“eroismi”, dei fanatismi e delle grettezze del periodo.
A partire dal 19 gennaio fino al 30 luglio 1938 redige un diario dal
titolo Lettere ad Antonio, pubblicato nel 1989 col titolo cronachistico di
Diario 1938. E’ un’«autobiografia subliminale […] trascrizione di eventi
labili, frammenti di un labirintico viaggio notturno nell’ ‘altrove’
dell’irrazionale, dei cui enigmi la scrittura quasi automatica ferma anche
stilisticamente la percezione non ordinaria»
3
; la materia autobiografica
2
E. MORANTE, Opere, a cura di C. Cecchi e C. Garboli, Milano, Mondadori, 1988 e
1990 (= Om), XXVII.
3
A. ANDREINI, Prefazione a E. MORANTE, Diario 1938, Torino, Einaudi, 1989, X.
7
non si presenta in forma di raccolta di lettere non spedite, ma con gli
attributi distintivi del genere diaristico cui pertiene, non proponendosi
mero taccuino di vita o fatti personali, ma avventuroso diario del sogno,
anzi dei sogni; tale distinzione è segnalata reiteratamente dalla scrittrice
stessa con la definizione ontologica La vida es sueño, presa a prestito da
Calderón de la Barca, e con la dicitura Libro dei sogni che ricorda la
sistematica trattazione di Artemidoro.
Nel diario sono contenuti pensieri estetici - «colori, luci, sensualità e
angoscia»
4
- sull’etimo dell’invenzione quale memoria dei sogni, mentre
che per gli elementi di dettaglio (descrizioni di luoghi, di circostanze),
sono molte le analogie con i precedenti racconti pubblicati su periodici.
La scrittura privata, oltre il fittizio interlocutore Antonio, è motivata
da una profonda necessità di indagine introspettica, in un tumulto
drammatico di contrari, nell’alternanza tra risolutezze e umilizioni, si
scopre una coraggiosa consapevolezza di sé, il «sapere di essere», che
spiega l’eccezionalità del diario. C’è tutto «un passato, una memoria»
5
che
appartiene alla rappresentazione del luogo e del pensiero del sogno, e che
«forse il segreto dell’arte sia qui? Ricordare come l’opera si è vista in uno
stato di sogno, ridirla come si è vista, cercare soprattutto di ricordare. Che
forse tutto l’inventare è ricordare»
6
.
Sul palcoscenico di tali processi notturni reminescenze improvvise
riaprono paesaggi ed eventi rimossi: i visi materni, le cattedrali del
romanzo, oppure suggestive visioni, come il sogno della morte di un
4
E. MORANTE, Diario 1938, a cura di A. Andreini, Torino, Einaudi, 1989, 24.
5
Ivi, 17.
6
Ivi, 20.
8
Kafka «cosciente e tragico» costretto alla «rassegnazione finale»
7
.
Risultano chiari anche gli interessi letterari dell’epoca, un universo
letterario che va da Dante a Rimbaud a Kafka, ricorre all’interpretazione
freudiana dei sogni, si sofferma su un’impossibile e rimpianta armonia
artistica («che compagnia veramente aristocratica quella dei capolavori!si
sente veramente la razza, il dono indicibile in ogni pagina in ogni parola.
Da dove viene? […] Felice chi lo ha avuto»
8
). Inoltre si registrano gli alti
e bassi della relazione tormentata con Moravia, la cui discontinuità trova
il suo placato compimento nel matrimonio, col solo rito cattolico, del
1941.
In chiusura del diario si compie il prodigio di una salvezza che si era
affacciata più volte, a compensare l’insoddisfazione della realtà,
attraverso l’immagine dei fiori di pesco, di viaggi e stagioni propizie,
chimera precaria di una giovane scrittrice ossessionata «da una
incoercibile pesanteur che la separa angosciosamente dall’incanto della
felicità»
9
.
Dal 1939 al 1941 collabora con una rubrica fissa, dal titolo «Giardino
d’infanzia», al settimanale «Oggi» e traduce per la Longanesi Scrapbook di
Katherine Mansfield, col titolo Il libro degli appunti.
7
Ivi, 41.
8
Ibidem.
9
A. ANDREINI, Prefazione…, XII.
9
I. 2 IL GIOCO SEGRETO
Il gioco segreto, edido da Garzanti nel 1941, raccoglie venti racconti
pubblicati tra il 1937 e il 1941 su varie riviste: L’uomo dagli occhiali, Il gioco
segreto, La nonna, Via dell’angelo sul «Meridiano di Roma»; Lo scolaro pallido
nel «Selvaggio»; La pellegrina su «Panorama»; Il cavallo dell’ortolano su
«Tesoretto»; Il cane, Una storia d’amore, Il cocchiere, Innocenza, L’anima,
Appuntamento, I due zaffiri, Il compagno, I gemelli, Il barone, un Uomo senza
carattere su «Oggi»; Il confessore su «Prospettive»; di questa produzione
«l’autrice riconosce validi soltanto: La nonna e Via dell’angelo»
10
.
Si tratta di racconti «il cui dato realistico-memoriale possiede non
tanto una dimensione autobiografica quanto una scoperta del mondo
inesauribile di magie e di sogni che ogni avventura umana sprigiona per
propria natura»
11
, il loro fine primo «è la creazione di atmosfere magiche
e vagamente angosciate, ove i personaggi si muovono circondati dal
mistero a cui tentano di opporre la forza della loro primitiva percezione
delle cose, ridotta a sensazioni che si caricano di sensi mitici e simbolici,
inquietanti ed ambigui»
12
. Si ha una rappresentazione di una realtà fuori
del tempo, immortalata in una ritualità di azioni non risolte, «in una
ambiguità, in una tensione che è carattere preciso della poetica
10
L. DEL FRA, Elsa Morante premio Strega, «L’Italia che scrive», XL (1957), 7-8.
11
F. LANZA, Morante Elsa, in Dizionario autori italiani contemporanei, dir. da V. Branca,
Milano, Miano, 2001, 257.
12
S. BRIOSI, Morante Elsa, in Dizionario critico della letteratura italiana, Torino, UTET,
1973, III, 221.
10
novecentista e troverà la sua ultima espressione col fondersi ad esigenze
di un diverso impegno nell’opera maggiore di Vittorini»
13
.
Elabora «uno stile a volte sovrabbondante e preciso, a volte
apparentemente concitato ma sempre, nella scelta delle parolee dei
periodi, letterario a modo ci certi narratori inglesi e francesi»
14
.
In L’uomo dagli occhiali, dalla stessa scrittrice indicato come un caso di
kafkismo, «la preoccupazione per il tempo narrativo assorbe l’intera
scrittura del racconto, in bilico tra sogno e realtà, quasi una proiezione
raccontata di un incubo»
15
. Il protagonista del racconto va ad attendere
una ragazza già morta all’uscita di scuola, convinto che sia lunedì, mentre
è già giovedì, simile nel suo comportamento febbrile a certi personaggi di
Dostoevskij, mentre il mistero dei giorni mancati, e il conseguente
disorientamento angoscioso del protagonista, contribuiscono a creare
un’atmosfera alla Poe o alla Hoffman.
La trama si risolve fluidamente, «più esuberante che altrove e più
scopertamente succube degli schemi del romanzo popolare, dei moduli
caratteristici dell’intreccio composito, delle tipiche iterazioni, degli ancor
più tipici luoghi obbligati»
16
e soprattutto della produzione feuilletonista,
caratterizzata da stilemi tipicamente fiabeschi, consistenti soprattutto
nella ripetizione ritmica, nell’aggettivazione accesa, nell’indeterminatezza
cronologica, nell’iperbole e nel presagio.
13
Ibidem.
14
G. BELLONCI, Vicende e uomini, «Giornale d’Italia», 24 marzo 1949.
15
G. VENTURI, Elsa Morante, Firenze, La Nuova Italia, 1977, 8.
16
E. RAGNI, Elsa Morante, in AA.VV, Letteratura Italiana Contemporanea, Roma, Lucarini,
1980, II, 768.
11
Il gioco segreto, racconto che dà il titolo alla raccolta, invece rivela
pienamente il talento della giovane scrittrice, ma scopre anche i motivi
centrali della sua narrativa: Il gusto del fittizio, gli incanti e l’evasione dal
reale attraverso la fantasia e la recitazione. All’inizio del racconto
troviamo la descrizione di una casa patrizia disfatta e squallida, dimora di
marchesi dall’aspetto altrettanto «insignificante e meschino» (Om I 1464)
e di fanciulli che «inventano» il gioco affascinante della recitazione per
salvarsi dalla grettitudine che li circonda; il gioco nasce da letture in cui si
agitano personaggi parlanti «un linguaggio alato, che sapeva toccare
altezze e precipizi, dolce nell’amore, feroce nell’ira» (Om I 1467) e diviene
presto una «congiura» ambientata «in un pianeta favoloso e lontano, noto
soltanto ai tre fratelli» (Om I 1469). I personaggi prendono forma
uscendo dalla nebbia dell’invenzione, si sostituiscono morbosamente ai
fanciulli, sottraendo ad essi corpo e voce e trasformandoli in veri e
propri sonnambuli invasati dalla strana febbre del teatro.
Come in una favola l’incantesimo viene bruscamente interrotto
dall’intervento dei due scialbi genitori che li richiamano alla realtà; i
ragazzi riescono a riaversi, eccetto l’ultimo, esso resta imprigionato in un
mondo chimerico: «subito la sua vista divenne acuta, così che egli
distingueva ora il brulichio degli animali notturni […] li riconosceva tutti,
e forse avrebbe potuto chiamarli uno per uno e fare ad essi le infinite
domande che fin dall’infanzia si accumulavano in lui» (Om I 1478). Il
racconto è «un preludio alle molteplici variazioni della Morante sul tema
12
dell’evasione dal mondo oggettivo»
17
e una preannunciazione del lungo
sabba di Menzogna e sortilegio.
Nel racconto La nonna, una vedova già matura, Elena, scopre di
trovarsi «in un vuoto spietato e senza rimedio» (Om I 1425), decide di
evadere dalla sua tetra situazione recandosi in una casa di campagna in
cui abitano una vecchia madre e il figlio, che scolpisce statue di santi; la
presenza del giovane turba Elena: il suo desiderio carnale, però,
sconvolge il cerchio magico del rapporto tra la madre e il figlio.
Le nozze fra la donna e il giovane vengono celebrate in fretta e quasi
all’insaputa della vecchia madre che «divenne simile ad una mendicante:
elemosinava dal figlio uno sguardo, una parola come segno della loro
antica comunione, […] finì per irrigidirsi, e divenne anch’essa una statua
di legno. Immobile in una delle nicchie così numerose in quella casa»
(Om I 1437) fino a scomparire del tutto dopo la nascita dei nipoti.
Passano gli anni, i fanciulli crescono e la nonna così come era sparita
ritorna, tutta coperta di stracci «e il suo aspetto non aveva più nulla di
umano; ella sembrava piuttosto un uccello. I polsi e le mani dalle vene
gonfie parevano un intrico di corde; e sulla faccia le rughe le formavano
strani segni neri, tagli e croci», ma tuttavia «agli occhi dei gemelli, ella era
una cosa bellissima» (Om I 1441).
La fantasia della Morante ha compiuto la trasformazione del
personaggio in una strega che pare tornata soltanto per incantare i due
nipoti con una fiaba malefica che annuncia lo stile della scrittrice matura:
17
C. SGORLON, Invito alla lettura di Elsa Morante, Milano, Mursia, 1997, 42.
13
«Laggiù, disse, ― dove è stata la nonna, c’è un grande prato, un gran prato
coi fiori fatti d’acqua. Ci sono solo cavalli di vetro che saltano, e uccelli
d’acqua che volano.
― pure le ali d’acqua? ― domandò il maschio.
― Certo, ― ella rispose con furia. ― E per dormire c’è una camicina d’erba,
una per uno» (Om I 1444).
Finito il «racconto magico»
18
la vecchia si getta nel fiume, incapace di
spegnere altrimenti la sua inestinguibile gelosia; tuttavia, la sua malefica
influenza riappare nei sogni dei due coniugi, svilendo il loro rapporto e
corrompendo, tramite maleficio, in una «vecchiezza inebetita e pallida»
(Om I 1446) la giovinezza del figlio.
Il giorno stesso dei funerali della nonna i due fanciulli si perdono
inseguendo un insetto bizzarro e attraente: «una grossa farfalla dalle ali
nere arabescate di ricami rossi» (Om I 1447), del tutto simile alla
descrizione dello scialle della vecchia; l’insetto scompare nelle vicinanze
di un torrente, dove è legata una vecchia barca la cui fune si spezza
quando i gemelli vi salgono, iniziando un viaggio verso i grandi fiori e i
cavalli d’acqua di una cascata, che costituiscono per loro il preludio della
morte. Il racconto si svolge nel segno dell’ambiguità, «che l’autore
riconoscerà in Menzogna e sortilegio come la vera possibilità della
scrittura»
19
e nell’affacciarsi dell’elemento fiabesco che progredisce fino
alla trionfale conclusione, infatti, se all’inizio la narrazione presenta
ancora motivi realistici, i suoi sviluppi saranno all’insegna di un favoloso
che cresce lungo il racconto fino a sostanziarlo di se stesso.
18
C. BRIA, Elsa Morante, Roma, Ciranna, 1976, 29.
19
G. VENTURI, Invito alla lettura…, 10.
14
Via dell’angelo è, per confessione della scrittrice stessa, quasi la
trascrizione di un sogno, «come il celebre frammento del Kubla Khan di
Coleridge»
20
, un sogno di tipo freudiano, che nella conclusione erotica
potrebbe far «pensare alla metafora di un trapasso vitale, quello
dall’infanzia all’adolescenza»
21
. In questo racconto onirico è possibile
trovare l’antesignano di Edoardo Cerentando in un giovinetto misterioso
che porta via dal convento una giovane orfana e la rende folle di amore e
gelosia; un Narciso corruttore in cui «l’ostinazione e il fiammeggiare di
un empio orgoglio erano vinti dai segni di una stanchezza sconsolata, di
un pianto irrimediabile» e l’odore d’infanzia umiliata lo rende simile «ad
un insetto luminoso a cui bruciarono il lume, e che batte cieco da
un’ombra all’altra» (Om I 1460).
Lo stupefatto lirismo di queste prime prove testimonia l’impotente
contemplazione dello stato delle cose, «la rinuncia all’intervento,
l’incapacità, l’impossibilità di reazione al potere di una non bene
identificata forza oppressiva che lascia, come unica alternativa, il canto
mesto della vanificazione della parola, dell’azione»
22
.
Insomma, il significato dell’operazione che con questi racconti
giovanili compie la scrittrice sta nel tentativo di formulazione di un
progetto di mondo fantastico, governato da leggi autonome, in cui si
metaforizza una realtà mutevole e inafferrabile che sfuma in un lirismo
allegoria dell’impotente contemplazione dello stato delle cose.
20
C. SGORLON, Invito alla lettura…, 38.
21
G. VENTURI, Invito alla lettura…, 10.
22
A. R. PUPINO, Elsa Morante, in Letteratura Italiana. I contemporanei, Milano, Marzorati,
1982, III, 7570.