Costruzioni della "razza" attraverso la lingua: dal Volksgeist al nazionalsocialismo
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6 Tutti questi sforzi non portarono, però, a un confronto fra le lingue europee che destasse un qualche sospetto su un’origine comune delle stesse. Mancavano ancora alcune tessere fondamentali del mosaico linguistico che si sarebbe dipanato di lì a poco tempo con i viaggi in India condotti da missionari e mercanti che avrebbero appreso qualche rudimento del sanscrito, riscontrando un’incredibile somiglianza tra questa lingua e quelle europee antiche e moderne. Il mercante fiorentino Filippo Sassetti, durante un suo soggiorno in India negli anni ’80 del XVI secolo, notò che i numerali italiani e quelli del sanscrito si somigliavano e con lui anche i due missionari Bonaventura Vulcanio e Thomas Stephens appurarono delle somiglianze nel lessico e nelle strutture grammaticali 2 . Questi riscontri non colpirono particolarmente la comunità scientifica europea, perché semplici somiglianze lessicali potevano essere spiegate come il risultato dei contatti fra popoli diversi che condividevano la stessa area geografica. Nel 1686, però, fu pubblicato a Wittenberg un libro intitolato De lingua vetustissima Europae, il cui autore, lo svedese Andreas Jäger, metteva a confronto celtico, lingue germaniche, latino, greco e antico persiano per dimostrare il loro legame con una lingua parlata nel Caucaso in tempi remoti e che non ha lasciato testimonianza se non nelle lingue in esame. Le intuizioni di Jäger, come qualsiasi nuova scoperta scientifica, non superarono l’ambito delle cerchie degli specialisti ed erano troppo avanzate per le concezioni vigenti in quel periodo. Jäger padroneggiava solo il persiano come lingua orientale, idioma ufficiale della dinastia achemenide che più volte si scontrò con il mondo ellenico per la supremazia nel mediterraneo. L’evento che costrinse definitivamente i linguisti a non ignorare più tali coincidenze e a creare strumenti di ricerca atti a spiegarle fu la colonizzazione dell’India da parte della corona d’Inghilterra. Il contatto con la cultura indiana tramandata dai brahmani diede ai dotti inglesi l’accesso alle sacre scritture dei Veda e quindi alla loro lingua, il sanscrito. In Europa iniziarono a circolare due grammatiche, divenute indispensabili per apprendere l’idioma indiano: la prima risale al 1790, pubblicata a Roma dal missionario carmelitano Paulinus a Sancto Bartholomeo, il quale pubblicò successivamente a Padova nel 1798 la Dissertatio de antiquitate et affinitate linguae Zendicae, Samscridamicae et Germanicae, opera che il carmelitano scrisse dopo aver notato durante i suoi studi del sanscrito e dell’iranico le incredibili somiglianze con le lingue germaniche, ma che non dava la sicurezza scientifica della parentela; la seconda grammatica fu quella di Henry Thomas Colebrooke, pubblicata a Calcutta nel 1805, A Grammar of the Sanscrit Language, e patrocinata dallo stesso William 2 Cfr. Römer R., Sprachwissenschaft und Rassenideologie in Deutschland, Wilhelm Fink Verlag, München 1989, pag. 49.
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Informazioni tesi
Autore: | Gemmita La Peruta |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2011-12 |
Università: | Università degli Studi di Salerno |
Facoltà: | Lingue e Culture Straniere |
Corso: | Lingue e culture moderne |
Relatore: | Beatrice Wilke |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 53 |
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