INTRODUZIONE
L’India si presenta oggi come un paese enorme e in continua crescita sia demografica
che economica con numerose e profonde contraddizioni. Nonostante un tasso di crescita
molto elevato negli ultimi anni la povertà all’interno del paese continua ad essere molto
diffusa.
L’India dopo l’indipendenza dalla Madre Patria inglese ha seguito un sentiero tutto
suo, e molto particolare, di sviluppo. I frequenti paragoni con la Cina, che incarna il
modello più tradizionale, ne evidenziano tutti gli aspetti caratteristici.
L’idea di partenza di questa tesi era capire come l’India sia diventata oggi una
potenziale potenza a livello mondiale, qual è stato questo particolare percorso che ha
seguito e come si presenta oggi la situazione del paese: quali sono i suoi punti di forza
ma soprattutto quali i punti deboli che non gli permettono di sfruttare a pieno tutte le
sue enormi potenzialità.
Uno degli aspetti più importanti, che continua a rallentare la crescita economica
indiana, è il mercato del lavoro, perché troppo poco flessibile, sia da un punto di vista
legislativo, sia per la sua struttura intrinseca e sia per l’enorme difficoltà nella mobilità
dei lavoratori. Una sfida che l’India si trova oggi ad affrontare è la creazione di
occupazione necessaria, e sufficientemente diversificata, per poter assorbire la grande e
crescente forza lavoro.
I dati a mia disposizione, tratti da Datastream, con fonte il Fondo Monetario
Internazionale e la Central Statistic Organization, hanno permesso di fare un’analisi
descrittiva del mercato del lavoro organizzato a partire dagli anni ’70 fino ad oggi.
Purtroppo per un paese in via di sviluppo come l’India non è così semplice trovare delle
serie storiche attendibili per un periodo sufficientemente lungo da poter intraprendere
un’analisi econometria.
3
1. BREVE EXCURSUS STORICO SULL’INDIA DEGLI ULTIMI
SECOLI
Dal XVIII°secolo inglesi e francesi
1
, già avversari nelle guerre di Successione Austriaca
(1740-1748) e dei Sette Anni (1756-1763) per l’egemonia sul continente europeo e in quella
coloniale, iniziarono a contendersi il dominio sull’India. Durante quel periodo i francesi
controllavano circa un terzo del subcontinente indiano, ma l’esito delle due guerre di cui sopra,
sfavorevoli alla Francia, e i successi ottenuti in India dagli Inglesi, lasciarono campo libero a
questi ultimi. L’artefice dei successi inglesi fu Robert Clive, un ufficiale della Compagnia delle
Indie. Nel 1757, ottenne una vittoria contro il Principe del Bengala, e instaurato un protettorato
sull’area, creò la base della futura espansione inglese nella zona. I successivi governatori facenti
capo alla Compagnia delle Indie Orientali, organizzazione che per concessione del governo
britannico deteneva il monopolio del commercio asiatico ed esercitava il potere sovrano sui
territori conquistati, riuscirono ad imporre il proprio protettorato su moltissimi principi locali.
Dal 1773 il Parlamento inglese cominciò a controllare la Compagnia delle Indie Orientali. Nel
1772 ne fu nominato governatore Warren Hastings, ma ben presto il titolo si tramutò in
governatore generale del Bengala con poteri di sorveglianza sui territori della Compagnia delle
Indie Orientali. Con lui e con i suoi successori, che dal 1833 furono detti governatori generali
dell’India, l’espansione continuò, con conflitti o con trattati. Nel 1857 la Compagnia controllava
gran parte dell’India, da cui otteneva grandi profitti. Dopo la rivoluzione industriale le materie
prime indiane vennero esportate in Gran Bretagna e i prodotti inglesi, soprattutto i tessuti,
invasero il paese a discapito dell’artigianato locale (l’India tradizionalmente era esportatrice di
manufatti, soprattutto in cotone): mestieri e città iniziarono a declinare.
In quell’anno s’interruppe brutalmente la prima fase della presenza britannica in India. Fino
ad allora vi era sempre stata una certa vicinanza, familiarità e persino una spregiudicata
promiscuità tra inglesi ed indiani; i coloni bianchi si erano integrati con piacere nella società
locale, intrecciando legami d’affari e relazioni e adottando usi e costumi del luogo e non
mancano neppure i casi di conversioni religiose, gi inglesi non avevano nessuna intenzione di
mescolare gli affari col proselitismo cristiano, vi era una buona apertura mentale e tolleranza
verso i valori locali. Tutto ciò terminò nel 1857, anno della rivolta dei sepoys (soldati indiani
1
La storia dell India, dalle origini ella cultura dell Indo alla
storia di oggi . Stanley Wolpert. Bompiani e L età contemporanea
di Guarracino , Ortoleva, Revelli ed scolastiche bruno Mondadori 1998
4
sotto il comando inglese), fu scatenata per un motivo apparentemente futile ma fu la più grande
rivolta anticoloniale del XIX secolo. Gli inglesi persero il controllo di tutta la parte
settentrionale del paese e ci volle un anno per riottenerlo. Questo fu il primo capitolo sulla via
dell’indipendenza e un punto di svolta nel rapporto con gli inglesi.
2
Nel 1858, quando la Gran Bretagna sciolse la Compagnia delle Indie, il paese divenne
colonia della corona, sottoposto al governo di un viceré. La presenza britannica in India si
trasformò: da un dominio mercantile e indiretto, esercitato essenzialmente attraverso un
monopolio commerciale, a un dominio territoriale e in larga parte diretto, che richiedeva una
continua e capillare presenza militare.
Fu liquidato così ogni residuo della vecchia fase del colonialismo mercantilista e s’imposero
la rigida separazione tra colonizzatori e colonizzati, si procedette alla riforma dell’esercito, in
modo da impedire nuove rivolte, e s’inaugurò una politica di divisione religiosa e
contrapposizione tra indù e mussulmani, si aprì un periodo caratterizzato da una tolleranza
molto più debole che in precedenza anche perché a Londra il clima ideologico era cambiato, era
aumentata la presa del movimento cristiano evangelico e secondo questo pensiero l’India era
una terra senza fede popolata di pagani che dovevano essere evangelizzati e salvati dall’eterna
dannazione. A partire dal 1858 furono costruite ferrovie, perché gli inglesi volevano poter
spostare truppe in ogni parte del paese, e altre infrastrutture destinate a modernizzare
l’economia del paese. L’Inghilterra curò anche con attenzione il sistema amministrativo indiano,
attuando una sorta di prevenzione contro possibili ribellioni. Per fare ciò trassero grande profitto
dalla tradizionale divisione religiosa del paese e dal sistema delle caste, garanzia d’immobilità
sociale. Ma la modernizzazione portata dall’Inghilterra destrutturò e destabilizzò l’equilibrio
sociale, soprattutto a discapito della tradizionale economia agraria (nel periodo che va dal 1870
al 1890 e dal 1896 al 1906 vi furono carestie ed epidemie che portano a 40 milioni di morti).
Ciò causò il definitivo tracollo dell’autosufficienza dei villaggi e una gigantesca urbanizzazione.
Ovunque cresceva il malcontento contro gli invasori che non s’integravano più e che
mantenevano la base in un altro paese. Dal 1857 le aspirazioni nazionaliste crebbero e
l’istituzione dell’Indian National Congress nel 1885 creò le fondamenta da cui avanzare la
richiesta d’indipendenza.
Accanto a questo movimento se ne sviluppò uno d’ispirazione nazional rivoluzionaria: per
autodeterminazione bisogna distruggere le catene della dominazione straniera (anche con
2
La speranza indiana. Federico Rampini. Mondadori 2007
5
qualche attentato terroristico). Non era facile trovare un denominatore comune tra indù e
musulmani. Il passato rischiava di diventare elemento di divisione, in più, i censimenti
decennali (dal 1881) alimentavano l’idea di comunità divise, che si contavano e potevano
rivendicare forza o debolezza numerica (i musulmani, in particolare, temevano di essere
sopraffatti). Gli inglesi si resero conto di poter usare a proprio vantaggio queste paure.
Gli anni della prima guerra mondiale e dell’immediato dopo-guerra segnarono un importante
svolta politica. In primo luogo, le esigenze stesse della guerra spinsero il governo britannico a
promettere una politica di riforme e il graduale sviluppo di forme di autogoverno che avrebbe
dovuto portare, in prospettiva, a una forma d’indipendenza all’interno dell’Impero, facendo cioè
dell’India una “domination” simile ai paesi bianchi del Commonwealth. Si trattava di
un’innovazione ancora modesta, ma che non poteva non stimolare l’emergente ceto politico
indiano a intensificare la propria azione. In secondo luogo, all’interno del partito del Congresso
s’impose una figura di leader fino a quel tempo poco conosciuta, il Mahatma Gandhi. Deciso a
spezzare il dilemma fra il moderatismo filoccidentale dei tradizionali dirigenti del partito e
l’estremismo violento di Tilak, Gandhi propose una forma di mobilitazione inedita, la
satyagraha (letteralmente “ forza della verità”) ovvero la resistenza civile non violenta.
È nel marzo-aprile del 1919 che la prima agitazione di questo tipo venne lanciata (un giorno
di astensione dal lavoro, di digiuno e di preghiera, contro una legge del governo che vuole
carcere senza processo per agitatori politici), ottenendo un largo seguito, che si sarebbe
rinnovato nelle successive ondate di agitazioni, fino al grande movimento anticoloniale del
1929-30, alla guida del quale Gandhi ebbe a fianco un giovane leader, Jawaharlal Nehru.
Uno dei grandi elementi di forza del partito del Congresso sotto la guida di Gandhi fu la
capacità di coinvolgere, anche grazie al forte richiamo alla tradizione religiosa hindu e al
comunitarismo rurale, le masse contadine, fino ad allora poco toccate dal movimento
nazionalista. D’altra parte, si manifestava già il problema di fondo che avrebbe pesato sul
movimento per l’indipendenza in India: la difficoltà di stabilire, se non un’unità, quanto meno
una possibilità di alleanza fra il movimento nazionalista hindu e quello parallelo d’ispirazione
islamica.
Negli anni della guerra, quando l’India era divenuta una delle retrovie strategiche della Gran
Bretagna, alcune importanti campagne di disobbedienza civile, pur duramente represse,
segnalarono la sempre più risoluta volontà dei nazionalisti di giungere all’indipendenza piena.
Nell’immediato secondo dopo guerra, il nuovo governo laburista inglese mirò non più alla
6
preservazione del pieno dominio britannico sulle colonie, ma al loro assorbimento
nell’organismo associativo del Commonwealth. All’interno di quest’organizzazione i paesi
dell’Impero britannico sarebbero stati accolti come stati sovrani, ma al tempo stesso sudditi
della corona d’Inghilterra. Non fu, quindi, intenzione della Gran Bretagna ostacolare la nascita
di uno Stato indipendente, ma semmai condizionare fin dalle origini il nuovo Stato, limitando il
potere dei nazionalisti più radicali ed escludendone le ali marxiste. Anche a questo fine, la
rivalità tra la maggioranza hindu e la minoranza mussulmana venne in qualche misura
incoraggiata, o quanto meno sfruttata da parte dei dominatori coloniali.
In India si stava arrivando lentamente all’indipendenza a causa della crisi del sistema di
potere coloniale nel paese che era dovuta sostanzialmente a tre fattori: il declino della potenza
economica e politico-militare dell’Inghilterra, la crescita del nazionalismo indiano (sia hindu
che mussulmano) e la perdita d’importanza a livello economico dell’India per l’Inghilterra.
Durante i negoziati condotti tra il 1945 e il 1947 per il “passaggio dei poteri” dalla Gran
Bretagna al popolo indiano, la contrapposizione tra i due raggruppamenti religiosi si dimostrò
assolutamente inconciliabile. Il 15 agosto 1947 nacquero così non uno ma due stati
indipendenti: l’India e il Pakistan, quest’ultimo un’entità politica costituita da due aree poste
rispettivamente a est e a ovest dell’India, le due zone a maggiore concentrazione islamica (il
paradosso sarebbe venuto a cessare nel 1971, con la cessione del Pakistan orientale, che avrebbe
assunto il nome di Bangladesh). La formazione dei due stati venne accompagnata da migrazioni
massicce nei due sensi e da spaventosi massacri. La Muslim League di Ali Jinnah che si era
battuta per la formazione dello stato indipendente del Pakistan non aveva preso in
considerazione il fatto che i territori a maggioranza musulmana avessero strutture politiche e
sociali molto diverse: nel Punjab erano contadini o grandi feudatari o proprietari di fondi (gli
esponenti politici di punta erano i capiclan delle famiglie di grandi feudatari), nel Bengala,
invece erano contadini affittuari di possedenti indù (c’era un partito dei contadini). Questo
significa che non c’era una base comune per la Lega.
Nel 1948, un fanatico nazionalista hindu assassinò Gandhi, accusato di un atteggiamento
troppo compromissorio nei confronti dei mussulmani. L’India, sotto la direzione di Nehru,
leader del Partito del Congresso, si avviò quindi a una politica di neutralità (nel 1950, con la
proclamazione della Repubblica si scioglievano anche gli ultimi legami formali con la Gran
Bretagna), dominata soprattutto dai drammatici problemi sociali ed economici di un paese
cronicamente povero e sovrappopolato. I piani quinquennali, lanciati da Nehru a partire dal
1951, sull’esempio sovietico, servirono si a incrementare la produzione, ma in modo non
7
risolutivo. Il Pakistan, i cui problemi economici e sociali erano del tutto analoghi a quelli
dell’India, scelse una diversa collocazione internazionale e divenne uno dei maggiori alleati
delle potenze occidentali in Asia.
Nehru pose le fondamenta di uno stato moderno, laico e democratico, con una forte base
industriale, un’economia pianificata. Nel ‘62 la Cina invase l’India e si ritirò dopo aver inflitto
un’umiliante sconfitta, cosa che mise in luce la necessità di modernizzare l’esercito indiano.
Nehru morì nel maggio del 1964, nel 1966 la figlia Indira divenne primo ministro. Proseguì le
politiche socialiste del padre a favore dei poveri e nel ‘71 tolse ai principi indiani titoli e
privilegi. Nello stesso anno aiutò il Pakistan orientale nella lotta contro il Pakistan che portò alla
formazione del Bangladesh. Nel ‘75 sentendo minacciati il suo potere e la sua popolarità
dichiarò lo stato d’emergenza imponendo la censura alla stampa e imprigionando i dissidenti.
Nel ‘77 per la prima volta dall’ indipendenza il suo partito, il Nuovo Congresso, subì una
sconfitta nelle elezioni generali. Nell‘80 ritornò al potere e nell’84 venne assassinata. Le
succedette il figlio, Rajiv Gandhi, che iniziò a liberalizzare l’economia, ma fu anche lui
assassinato nel ‘91. In questo periodo, a cominciare dal 1986 il partito BJP che all’epoca sedeva
all’opposizione lanciò una violenta campagna a favore del nazionalismo indù, alimentando
l’odio anti-islamico. Nel 1996 il paese fu colpito da una crisi politica, il Governo cambiò quattro
volte in undici mesi. Nel 1998 le elezioni vennero vinte dal Bharatiya Janaa Party (BJP), che
sfruttò il clima di tensione creato precedentemente, e il suo leader, Atal Bihari Vajapayee,
diventò primo ministro. In programma vi era il rilancio di esperimenti nucleari a scopo bellico,
si generarono così dissapori con il Pakistan e con la comunità internazionale. Nel 1999 il
governo cadde, ma dopo una nuova vittoria elettorale del BJP e dei suoi alleati, A. B. Vajpayee
tornò a rivestire la carica di Primo ministro. In questi due anni, così come pure in seguito, vi
furono molti attacchi e attentati contro i cristiani, ma neppure i sikh furono immuni negli anni
da aggressioni.
Nel 2001 i rapporti col Pakistan diventarono più tesi dopo una serie di attentati compiuti dai
separatisti del Kashmir. Nel 2002 Abdul Kalam diventa in nuovo capo dello Stato.
Le elezioni del 2004 vengono vinte dal Partito del Congresso con la sua coalizione,
supportata dalle caste più basse e dagli intoccabili, il BJP invece ottiene solo il 20% dei voti.
Nel 2009 vince nuovamente il Partito del Congresso, con a capo Sonja Gandhi, migliorando
anche la propria posizione rispetto alle elezioni precedenti. Il Partito del Congresso ottiene 206
8
poltrone (se contiamo anche gli alleati 261) su un totale di 543; il BJP invece si ferma solo a
116
3
.
Ora ci si attende che questo nuovo governo sia più stabile, meno corrotto e anche più
efficiente dei precedenti, data la crisi economica che non ha risparmiato neppure l’India.
3
Sing when you are winning The Economist del 23 marzo 2009
9