Influenza delle zone non coltivate sul ciclo degli insetti predatori

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1.1  Gestione ambientale 
 
Sono trascorsi ormai diversi decenni da quando Tothill (1958) affermò al 
10° Congresso di Entomologia che l’uomo, siccome  era stato in grado di 
cambiare l’agroecosistema nel corso della storia,  poteva modificarlo 
nuovamente, cercando di renderlo compatibile con un sistema di controllo 
degli insetti dannosi basato fondamentalmente sulla prevenzione. Questo 
implicava una visione a lungo termine dei problemi riguardanti i fitofagi. 
Da allora molto è stato fatto sia nella ricerca che nelle aziende, ma si 
potrebbe sospettare che i miglioramenti siano dovuti più alla resistenza dei 
fitofagi ai pesticidi e della sovrapproduzione, che non di un aumento della 
sensibilità ambientale dei produttori (Delucchi, 1997). 
Negli anni si è compreso sempre più che il campo coltivato è un sistema 
dinamico complesso, in cui agendo su un elemento si determinano effetti 
collaterali su altri fattori del sistema. Nel tempo si è definito il concetto di 
“gestione ambientale” (habitat management) come l’insieme delle pratiche 
agronomiche che mirano a diversificare l’agroecosistema, al fine di 
renderlo meno favorevole allo sviluppo di organismi nocivi (Delucchi, 
1997). Per l’agricoltore l’obiettivo è ridurre l’impiego di fitofarmaci e 
creare le condizioni per un’agricoltura sostenibile nel tempo. 
Per rendere il campo un’ambiente che riesca, entro certi limiti, ad 
autoregolarsi è necessario che sia diversificato, in quanto più un ecosistema 
è complesso, più è stabile (Goldsmith et al., 1972). Da numerosi studi si è 
potuto concludere che spesso la complessità dell’ambiente diminuisce il 
numero degli insetti nocivi e che il suo effetto è più marcato sul 
comportamento dei fitofagi che non sull’attività degli antagonisti 
(Delucchi, 1997). 
I risvolti benefici della gestione ambientale dipendono fondamentalmente 
da come essa viene realizzata e da come la biodiversità viene mantenuta. È