Le destre italiane e il piano Marshall
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Dipartimento di Stato a formulare progetti. A Harvard, in breve, egli espresse il desiderio degli Stati Uniti di impegnarsi a sostenere l’Europa nell’opera di ricostruzione e di ripresa postbelliche a condizione che l’iniziativa provenisse dagli stessi europei che avrebbero dovuto coordinarsi al fine della predisposizione di un programma da presentare agli USA. Marshall (o meglio il suo assistente Bohlen che redasse il discorso letto dal Segretario di Stato) si basò essenzialmente sul memorandum di Clayton e sul rapporto del PPS di Kennan , del quale seguì, tra l’altro, il parere di rivolgere la proposta a tutta l’Europa, sicché si può che il nome di Marshall restò associato al Piano “soltanto casualmente”. (15) Esaminati i tratti essenziali attraverso i quali si realizzò il processo di evoluzione dell’universalismo americano è opportuno, ora, analizzare con maggiore attenzione come la storiografia lo ha discusso e interpretato. Si esporranno in particolare le tesi di C. S. Maier, di J. Gimbel, di E. Di Nolfo, di M.J. Hogan e di A.S. Milward. L’analisi di Maier parte dal presupposto che l’iniziativa americana muoveva da una visione globale politica ed economica della realtà internazionale. Non è corretto, secondo Maier, limitarsi a concepire l’ERP come uno strumento di assistenza economica attraverso cui ottenere risultati politici, impedire, cioè, che l’Europa cadesse preda del comunismo. Non solo, infatti, il disegno dei policy makers statunitensi conteneva obiettivi sia politici che economici, ma questi erano fra loro strettamente collegati: “From its conceptualization in 1947 to its transformation into a program of military assistance by 1951, the European Recovery Program integrated a wide range of policy aspirations: political and economic. It began in response to a perceived crisis – political and economic at the same time.” (16) Due sono, secondo Maier, le basi concettuali del Piano: a quella del legame tra politica ed economia si affiancava la sua “portata europea” e il suo tentativo di conciliare ruoli nazionali differenti. Il primo orientamento viene definito da Maier “politica della produttività”. I policy makers statunitensi, in altre parole, erano convinti che alla base della stabilità politica vi fosse il benessere economico e che alle radici di quest’ultimo vi fosse un sistema economico fondato sui principi della produttività quale era quello degli USA. L’impiego di una tecnologia sempre più efficiente e la realizzazione di economie di scala erano alla base degli incrementi di produzione e della redditività dei fattori. Maggiore era la produzione, maggiore era la crescita economica, maggiori erano i benefici non solo per le imprese ma anche per le forze lavorative. Le prime, avendo incrementato i propri fatturati e incoraggiate dalle prospettive di consumi più elevati, erano più disponibili a concessioni salariali; le seconde percependo redditi reali più alti erano destinate ad abbandonare la conflittualità sociale e a riconoscere la indispensabilità della collaborazione interclassista per il raggiungimento di condizioni economiche
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Informazioni tesi
Autore: | Vito Verdecchia |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 1998-99 |
Università: | Università degli Studi di Urbino |
Facoltà: | Scienze Politiche |
Corso: | Scienze Politiche |
Relatore: | R. D'agata |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 165 |
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