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APPROFONDIMENTI

“Un vestito di cenere”A colloquio con Adriano Sofri nel carcere di Pisa 1

28/02/2006

“Un vestito di cenere”<br>A colloquio con Adriano Sofri nel carcere di Pisa <sup>1</sup>

L’Autore, a colloquio con Adriano Sofri, nel carcere di Pisa, non è intenzionato a riesumare carteggi e vicissitudini giudiziarie, a seguito dell’omicidio Calabresi, di cui tanto si è scritto, parlato, discusso. L’intento ultimo del libro è di carattere pedagogico e descrittivo, in una pacata denuncia, nella narrazione discorsiva, della realtà carceraria. L’accezione pedagogica della struttura del testo assume una valenza pregnante, in quanto l’intera descrizione si riferisce alla condizione del detenuto quale persona, all’interno di un mondo di coercizione, in cui, in primis, viene negato il concetto di individuo con gli annessi diritti di vivere l’esistenza in piena dignità.
Nella realtà carceraria coesistono pluralità di situazioni e di persone, ognuno con una sua storia ed una potenziale volontà di narrazione, di esplicazione della propria interiorità, di un vissuto difficile, gravoso.
Le pratiche discorsive sono negate ai detenuti, costretti a condizioni abiette e coercitive che non permettono alle personalità di evolversi in senso creativo, costruttivo o, semplicemente, di mantenere un contatto dignitoso con la propria persona.
Il titolo “Un vestito di cenere” indica il processo di appiattimento delle menti e di omologazione delle particolari differenze e come la cromia della varietà degli oggetti e degli individui, sia spenta dalla “cenere” dell’indifferenza e vilipesa da una scansione del tempo asfittica, che non lascia spazio ad attività importanti, ma solo a frenetici movimenti.
Qui la parola annientamento ed annichilimento della personalità si contrappongono ad una concezione illuministica, progressista, aperta, della pedagogia della rieducazione e del reinserimento dei detenuti in strutture dove si permetta il recupero delle problematiche e del disagio, in senso lato, al fine di un innalzamento della qualità della vita, agevolando la rieducazione al bello, al senso dell’esistenza, alle capacità creative, con le proprie mani e con la propria mente.
Purtroppo disquisire di queste situazioni ancora attuali richiama momenti oscuri della storia, come le realtà concentrazionarie. Pedagogicamente intese, la carcerazione e la prigionia sono ancora protese alla volontà di coercizione e di annichilimento e non all’educazione culturale e spirituale del detenuto, la cui particolarità e differenza sostanziale, in quanto persona, risulta invece avvilita, deturpata, uniformata ed omologata.

Il microcosmo delle differenze individuali, racchiuse nel macrocosmo del concetto più alto e globale di umanità, devono essere tutelate da concezioni alte dell’agire pedagogico e rieducativo e da politiche di Stato sensate, che pongano al centro della loro azione le più alte concezioni di individuo e persona.













Note:


1. RECENSIONE al libro di Renzo Salvi, Un Vestito di cenere. A colloquio con Adriano Sofri nel carcere di Pisa, Cittadella, Assisi 2004


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