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Le differenze tra appalto e vendita


L’appalto è definito dall’art. 1655 c.c. come il “contratto con il quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio, verso un corrispettivo in danaro”.
La legge richiede che l’appaltatore svolga la sua attività con organizzazione di impresa; diversamente si rientra nel contratto d’opera, se non proprio del lavoro subordinato.
Di fondamentale rilevanza è la distinzione dell’appalto dalla vendita.
Anche nell’appalto l’opera o il servizio compiuto passano in proprietà del committente.
Nell’appalto, però, la prestazione tipica attorno alla quale si articolano la disciplina e l’aspettativa del committente è il facere dell’appaltatore, e non la prestazione di dare tipica della vendita.
La giurisprudenza prevalente ha elaborato il discrimine sulla finalità che le parti hanno impresso al contratto e non sul raffronto fra il valore del lavoro e quello della materia: classico è l’esempio della vendita di prodotti di serie che resta vendita anche se devono essere ancora fabbricati; se invece il prodotto ordinato esce dalla produzione seriale del fornitore si ha appalto.
In sede internazionale, l’art. 3 Conv. Vienna considera vendite i contratti di fornitura dei beni da fabbricare o produrre, a meno che il committente non si impegni a fornire una parte sostanziale dei materiali necessari per la produzione.

Tratto da DIRITTO COMMERCIALE di Stefano Civitelli
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