La nozione di lavoratore subordinato a domicilio la ritroviamo all’interno dell’art.1 della L.877/1973, dove è previsto che si per lavoratore a domicilio si intenda "chiunque, con vincolo di subordinazione, nel proprio domicilio o in locale di cui abbia la disponibilità, anche con l’aiuto di membri familiari conviventi e a carico, ma esclusi apprendisti o manodopera salariata, eserciti un lavoro retribuito per conto di uno o più imprenditori, utilizzando materie prime ed attrezzature proprie o dello stesso imprenditore". Quindi, anzitutto vediamo come il legislatore abbia voluto evitare la condotta, in passato molto spesso posta in Il comma 2 del suddetto articolo precisa, poi, la distinzione tra lavoratore subordinato a domicilio e lavoratore autonomo, prevedendo e sottolineando il vincolo di subordinazione esistente nel primo caso, il quale obbliga il lavoratore ad attenersi alle direttive dell’imprenditore nell’esecuzione della prestazione. Si tratta, è appena il caso di dirlo, di una subordinazione tecnico-funzionale per cui è sufficiente attenersi al potere direttivo dell’imprenditore, senza esserne alle dirette dipendenze.
Ovviamente è necessario che il committente, nel caso di cui stiamo trattando, sia un imprenditore, altrimenti si tratta di lavoro autonomo, così come è necessario che l’attività venga svolta in locali direttamente riconducibili al prestatore di lavoro.
Nel lavoro subordinato a domicilio si realizza un vero e proprio decentramento dell’attività di impresa, collocando all’esterno una parte di essa, sebbene il prestatore, in tal caso, goda di un determinato potere di gestione.