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Ucraina: carestia come processo di sovietizzazione


La decisione di Stalin di stroncare con ogni mezzo la volontà di affermazione del popolo ucraino dipende soprattutto dall’ascesa di un comunismo nazionale degli anni della NEP. Al XII congresso del Partito Comunista dell’Unione Sovietica del 1923 era stata adottata la cosiddetta politica di nativizzazione ovvero una politica di ucrainizzazione per consentire ai dirigenti comunisti di comunicare con le masse contadine e di far passare il messaggio sovietico attraverso la cultura e le lingue ucraine. Secondo la strategia leninista il discorso doveva essere nazionale nella forma ma socialista nel contenuto. I responsabili comunisti ucraini sfruttarono al meglio le possibilità che erano loro offerte. La dichiarazione dei 66 firmata dal Governo della Repubblica nel 1924 era un manifesto nazionale in cui veniva proclamata al tempo stesso la fedeltà all’Unione Sovietica e alla nazione Ucraina. Per alcuni anni la cultura ucraina conobbe una vera e propria rinascita. La lingua ucraina viene depurata da tutti i suoi russismi, la letteratura ucraina è spinta a rompere con la cultura russa per ispirarsi ai modelli occidentali, viene reclamato un diritto d’ispezione esclusivo sull’economia della repubblica e infine si chiede al governo centrale di Mosca di definire un nuovo assetto territoriale per incorporare le regioni a maggioranza ucraina della repubblica di Russia. All’inizio degli anni 30 gli ucraini sono ormai a maggioranza in tutte le industrie. I giornali abbandonano il russo e le università tengono lezioni in ucraino.
Per Stalin si trattava di una deviazione nazionalistica e 2 anni dopo il potere centrale imputò il mancato raggiungimento delle quantità prestabilite di cereali da requisire nelle campagne ucraine all’autonomia decisionale dei responsabili locali, più inclini a proteggere i propri compatrioti che a servire gli interessi superiori dell’URSS. Bisognava trasformare l’Ucraina in repubblica sovietica modello eliminando i sabotatori e privandoli della loro identità etnica e sociale. L’intenzione manifesta è solo quella di denazionalizzare l’Ucraina in modo da facilitarne la sovietizzazione. Lo strumento al servizio di questa intenzione è una carestia artificiale che ha mietuto vittime senza fare distinzioni tra amici e nemici del regime. Non viene colpita solo la popolazione civile ma il gruppo nazionale in quanto tale. Per questo si parla di genocidio.
È molto difficile che la comunità internazionale riconosca del tutto questo crimine sebbene all’epoca l’opinione pubblica fosse stata subito informata della gravità di questa catastrofe umana. Se da una parte negli anni 50 proliferano le testimonianze di ucraini fuggiti dall’URSS durante la seconda guerra mondiale, dall’altra la guerra fredda contribuì molto a delegittimarle come espressione di un anticomunismo radicale. La svolta in Ucraina avviene solo alla fine degli anni 80. nel 1993, nell’Ucraina ormai indipendente si commemora ufficialmente il sessantesimo anniversario della carestia. Oggi, 12 anni dopo l’indipendenza e mentre l’Ucraina ha inoltrato all’ONU una nuova risoluzione chiedendo che la grande carestia sia riconosciuta come genocidio, la celebrazione dell’avvenimento del 1933 è più che mai attuale in un paese ansioso di ritrovare la propria identità.

Tratto da IL SECOLO DEI GENOCIDI di Filippo Amelotti
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